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ilmarino testo integrale, brano completo, citazione delle fonti, commedie opere storiche opere letterarie in prosa e in versi, operaomnia #
CANTO OTTAVO
I trastulli
ALLEGORIA
Il Piacere, che nel giardino del tatto sta in compagnia della Lascivia, allude alla scelerata opinione di coloro che posero il sommo bene ne' diletti sensuali. Adone che si spoglia e lava, significa l'uomo che, datosi in preda alle carnalità e attuffandosi dentro l'acque del senso, rimane ignudo e privo degli abiti buoni e virtuosi. I vezzi di Venere, che con essolui si trastulla, vogliono inferire le lusinghe della carne licenziosa e sfacciata, laquale ama e accarezza volentieri il diletto.
ARGOMENTO
Perviene Adone ale delizie estreme e, prendendo tra lor dolce trastullo, l'innamorata diva e 'l bel fanciullo ala meta d'amor giungono insieme.
1
Giovani amanti e donne innamorate in cui ferve d'amor dolce desio, per voi scrivo, a voi parlo, or voi prestate favorevoli orecchie al cantar mio. Esser non può ch'ala canuta etate abbia punto a giovar quelche cant'io; fugga di piacer vano esca soave bianco crin, crespa fronte e ciglio grave.
2
Spesso la curva e debile vecchiezza, che gelate ha le vene e l'ossa vote, incapace del'ultima dolcezza aborre quel, che conseguir non pote; uom non atto ad amar, disama e sprezza anco il tenor del'amorose note e 'l ben che di goder si vieta a lui per invidia dannar suole in altrui.
3
Lunge, deh! lunge, alme severe e schive dala mia molle e lusinghiera musa! da poesie sì tenere e lascive incorrotta onestà vadane esclusa. Ah! non venga a biasmar quant'ella scrive d'implacabil censor rigida accusa, la cui calunnia con maligne emende le cose irriprensibili riprende.
4
Di poema moral gravi concetti udir non speri ipocrisia ritrosa, che, notando nel ben solo i difetti, suol cor la spina e rifiutar la rosa. So che, fra le delizie e fra i diletti degli scherzi innocenti, alma amorosa cautamente trattar saprà per gioco, senza incendio o ferita, il ferro e 'l foco.
5
Suggon l'istesso fior ne' prati iblei ape benigna e vipera crudele, e, secondo gl'instinti o buoni o rei, l'una in tosco il converte e l'altra in mele. Or s'averrà ch'alcun da' versi miei concepisca veleno e tragga fele, altri forse sarà men fiero ed empio che raccolga da lor frutto d'essempio.
6
Sia modesto l'autor; che sien le carte men pudiche talor, curar non deve. L'uso de' vezzi e 'l vaneggiar del'arte o non è colpa, o pur la colpa è lieve. Chi, dale rime mie, d'amor consparte, vergogna miete o scandalo riceve, condanni o scusi il giovenile errore, ché, s'oscena è la penna, è casto il core.
7
Già sergenti ed ancelle avean levati dale candide nappe i nappi d'oro, in cui di cibi eletti e dilicati i duo presi d'amor preser ristoro; onde, poich'a versar fiumi odorati venne l'aureo baccin tra le man loro, sula mensa volò lieta e fiorita il bianco bisso ad asciugar le dita.
8
Allor, dal seggio suo Venere sorta, verso l'ultima torre adduce Adone. Vien tosto a disserrar l'aurata porta l'ostier del'amenissima magione. Ignudo ha il manco braccio, e l'unghia torta v'affige dentro e stringelo un falcone. Le talpe, le testudini e l'aragne son sempre di costui fide compagne.
9
Chiuso nel'ampio e ben capace seno è quel giardin dela maestra torre, degli altri assai più spazioso e pieno di quante seppe Amor gioie raccorre. Un largo cerchio e di bell'ombre ameno vien un teatro sferico a comporre, che, col gran cinto del'eccelse mura, protege la gratissima verdura.
10
Adon va innanzi e par che novo affetto d'amorosa dolcezza il cor gli stringa. Non fu mai d'atto molle osceno oggetto che quivi agli occhi suoi non si dipinga: sembianti di lascivia e di diletto, simulacri di vezzo e di lusinga, trastulli, amori, o fermi il guardo o giri, gli son sempre presenti, ovunque miri.
11
Sembra il felice e dilettoso loco pien d'angelica festa un paradiso. Spira quivi il Sospiro aure di foco, vaneggia il Guardo e lussureggia il Riso. Corre a baciarsi con lo Scherzo il Gioco. Stassi il Diletto in grembo al Vezzo assiso. Scaccia lunge il Piacer con una sferza le gravi Cure e col Trastullo scherza.
12
Chino la fronte e con lo sguardo a terra l'amoroso Pensier rode sestesso. Chiede conforto al Duol, pace ala Guerra il Prego, in atto supplice e dimesso. Scopre negli occhi quelche 'l petto serra il Cenno, del Desir tacito messo. Sporge le labra e l'altrui labra sugge il Bacio e, nel baciar, sestesso strugge.
13
Sta l'Adulazion sovra le soglie del dolce albergo e 'l peregrin vi guida. La Promessa l'invita e 'n guardia il toglie, la Gioia l'accompagna e par che rida. La Vanità ciascun che v'entra accoglie e la Credenza ogni ritroso affida. La Ricchezza, di porpore vestita, superbamente i suoi tesor gli addita.
14
Havvi l'Ozio che langue e si riposa, lento ed agiato, e in ogni passo siede. Pigro e con fronte stupida e gravosa seguelo il Sonno e mal sostiensi in piede. Ordir di giglio, incatenar di rosa fregi al suo crin la Gioventù si vede. Seco strette ha per mano in compagnia Beltà, Grazia, Vaghezza e Leggiadria.
15
Con l'ingordo Desio ne vien la Speme, Perfida, adulatrice e lusinghiera. Mascherati la faccia, errano insieme l'accorto Inganno e la Menzogna in schiera. Sparsa le chiome insu la fronte estreme fuggendo va l'Occasion leggiera. Balla per mezzo la Letizia stolta, salta per tutto la Licenzia sciolta.
16
L'esca e 'l focile in man, sfacciata putta, tien la Lussuria ed al'Infamia applaude. Baldanzosa l'Infamia, ignuda tutta, non apprezza e non cura onore o laude. Le serpi dela chioma orrida e brutta copre di vaghi fior l'astuta Fraude e 'l velen dela lingua aspro ed atroce, di dolce riso e mansueta voce.
17
Tremar l'Audacia ai primi furti e starsi vedi smorto il Pallor caro agli amanti. Volan con lievi penne in aria sparsi gli Spergiuri d'amor vani e vaganti. Con l'Ire molli e facili a placarsi van le dubbie Vigilie e i rozzi Pianti e le gioconde e placide Paure e le Gioie interrotte e non secure.
18
Ride la terra qui, cantan gli augelli, danzano i fiori e suonano le fronde, sospiran l'aure e piangono i ruscelli, ai pianti, ai canti, ai suoni Eco risponde. Aman le fere ancor tra gli arboscelli, amano i pesci entro le gelid'onde, le pietre istesse e l'ombre di quel loco spirano spirti d'amoroso foco.
19
– A dio, ti lascio; omai fin qui (di Giove disse là giunto il messaggier sagace) per ignote contrade ed a te nove averti scorto, o bell'Adon, mi piace. Eccoci alfine insu 'l confin, là dove ogni guerra d'amor termina in pace. Di quel senso gentil questa è la sede, a cui sol di certezza ogni altro cede.
20
Ogni altro senso può ben di leggiero deluso esser talor da' falsi oggetti; questo sol no loqual sempr'è del vero fido ministro, e padre de' diletti. Gli altri, non possedendo il corpo intero, ma qualche parte sol, non son perfetti; questo, con atto universal, distende le sue forze pertutto e tutto il prende.
21
Vorrei parlarne, e ti verrei solvendo più d'un dubbio sottil dele mie scole; ma tempo è da tacer, ch'io ben comprendo che la maestra tua non vuol parole. Io qui rimango, ad Erse mia tessendo ghirlandetta di mirti e di viole. Tu vanne e godi. Io so che 'n tanta gioia qualunque compagnia ti fora a noia. –
22
Con un cenno cotal di ghigno astuto si rivolse a Ciprigna in questo dire; poi smarrissi da lor, siché veduto non fu per più d'un dì, fino al'uscire. Ma pria che desse l'ultimo saluto ai due focosi amanti insu 'l partire, del'un e l'altro, in pegno di mercede, giunse le destre e gl'impalmò per fede.
23
Restar soletti in quell'orror frondoso poiché Mercurio dipartissi e tacque. Rigava un fonte il vicin margo erboso in cui forte Natura si compiacque. L'acque innaffiano il bosco e 'l bosco ombroso specchia sestesso entro le limpid'acque, talch'un giardino in duo giardin distinto vi si vedea, l'un vero e l'altro finto.
24
Porta da questo fonte umile e lento per torto solco il picciol corno un rio. Parria vero cristallo e vero argento, senon sene sentisse il mormorio. D'oro ha l'arene, e quindi è sempre intento di sua mano a raccorlo il cieco dio, onde fabrica poi gli aurati strali, strazio immortal de' miseri mortali.
25
In duo rivi gemelli si dirama l'amoroso ruscel: l'uno è di mele, pien di quanta dolcezza il gusto brama, l'altro corrompe il mel di tosco e fele, quel fel, quel tosco ond'armò già la Fama l'aspre saette del'arcier crudele. Crudel arcier, ch'anco il materno seno infettò d'amarissimo veleno.
26
Dal velenoso e torbido compagno sen va diviso il fiumicel melato, onde per canal d'or più d'un rigagno verga di belle linee il verde prato e sboccan tutte in un secreto bagno che nel centro del bosco è fabricato. Di questo bagno morbido e soave la Lascivia e 'l Piacer tengon la chiave.
27
Siede al'uscio il Piacer di quell'albergo con la Lascivia a trastullarsi inteso, garzon di varia piuma alato il tergo, ridente il volto e di faville acceso; l'aurato scudo, il colorato usbergo giacegli inutilmente a piè disteso; torpe tra' fior, pacifico guerriero, l'elmo, ch'una sirena ha per cimiero.
28
Curvo arpicordo da' vicini rami pende e spesso dal'aura ha moto e spirto. D'ambra tersa e sottile in biondi stami forcheggia il crine intortigliato ed irto, tutto impacciato di lacciuoli e d'ami, di fresca rosa e di fiorito mirto. Arco di bella e varia luce adorno gli fa diadema in testa, iride intorno.
29
Né di men bella o men serena faccia mostrasi in grembo a lui la lusinghiera; di viti e d'edre i capei d'oro allaccia, di canuti armellin guarda una schiera. Un capro a lato e con la destra abbraccia il collo d'una libica pantera; regge con l'altra ad un troncon vicino ammiraglio lucente e cristallino.
30
Quivi al venir d'Adone e Citerea, componendo del crin le ciocche erranti, i dolcissimi folgori tergea dele luci umidette e scintillanti. Spesso a un nido di passere volgea, che sul'arbor garrian, gli occhi incostanti e la succinta, anzi discinta, gonna scorciava più che non conviensi a donna.
31
Feriro il bell'Adon di meraviglia quelle forme vezzose e lascivette, e, con l'alma sospesa insu le ciglia, a contemplarle immobile ristette. Ella, d'un bel rossor tutta vermiglia, impedita da scherzi e lusinghette, col suo drudo per man dal'erba sorse ed al donzel che l'incontrava occorse.
32
Vergata a liste d'or candida tela di sottil seta e di filato argento vela le belle membra e, quasi vela, si gonfia in onde e si dilata al vento, e l'interno soppanno apre e rivela, tra' suoi volazzi, in cento giri e cento. Crespa le rughe il lembo e non ben chiude l'estremità dele bellezze ignude.
33
Dal'ali del'orecchie ingiù pendente di due perle gemelle il peso porta. Sostiene il peso, di fin or lucente, sferica verga in picciol'orbe attorta. Di smeraldi cader vezzo serpente si lascia al sen con negligenza accorta e dela bianca man, ch'ad arte stende, d'indiche fiamme il vivo latte accende.
34
Dal'estivo calor, che mentre bolle le 'nfiamma il volto d'un incendio greve, schermo si fa d'un istromento molle di piuma vie più candida che neve e, per gonfiar di sua superbia folle con doppio vento il vano fasto e lieve, v'ha di cristallo oriental commessi duo specchi in mezzo, e si vagheggia in essi.
35
Tese costei sue reti al vago Adone, ogni atto er'amo, ogni parola strale. Rompea talor nel mezzo il suo sermone languidamente e con dolcezza tale che 'l diamante spezzar dela ragione potea, nonché del senso il vetro frale. Parlava, e 'l suo parlar tronco e diviso fregiava or d'un sospiro, or d'un sorriso.
36
– Se quanto di beltà nel volto mostri tanto di cortesia chiudi nel petto, ché tal certo (diss'ella) agli occhi nostri argomento di te porge l'aspetto, venirti a sollazzar ne' chiusi chiostri non sdegnerai di quel beato tetto. Nel tetto là ch'io ti disegno a dito, come degno ne sei, sarai servito.
37
Questi è quei, se nol sai, ch'altrui concede quel ben che può far gli uomini felici. Ognuno il cerca, ognuno il brama e chiede, usan tutti per lui vari artifici. Chi ritrovar nele ricchezze il crede, chi nele dignità, chi negli amici, ma raro il piè da quest'albergo ei move, né, fuorché nel mio grembo, abita altrove.
38
Del sozzo vaso, ov'ogni mal s'accoglie, apena uscì che fu chiamato in cielo; ma gli convenne pria depor le spoglie, talch'ignudo v'andò senz'alcun velo. Scende dal ciel sovente in queste soglie dov'io gelosa agli occhi indegni il celo, il celo altrui con ogni industria ed arte, solo a qualche mio caro io ne fo parte.
39
Quando volò nel'immortal soggiorno, nacque nel mondo un temerario errore; del manto ch'ei lasciò si fece adorno un aversario suo, detto Dolore; questi sen va con le sue vesti intorno, siché 'l somiglia al'abito di fore; onde ciascun mortal, preso al'inganno, invece del Piacer segue l'Affanno.
40
Io son poi sua compagna, io son colei che volgo in gioia ogni travaglio e duolo. Da noi soli aver puoi, se saggio sei, quel piacer de' piacer ch'al mondo è solo. De' suoi seguaci e de' seguaci miei è quasi innumerabile lo stuolo; né tu dei men felice esser di questi, poiché giunger tant'oltre oggi potesti.
41
Qui lavarti conviene. A ciò t'invita il loco agiato e la stagion cocente. Nostra legge il richiede e la fiorita tua bellezza ed etate anco il consente. Ma più quella beltà che teco unita, teco, o te fortunato, arde egualmente. Non entra in questa casa, in questo bosco chi non vaneggia e non folleggia nosco. –
42
A queste parolette Adon confuso nulla risponde e taciturno stassi, ch'a tenerezze tante ancor non uso tien dimessa la fronte e gli occhi bassi. Ma da più ninfe è circondato e chiuso che non voglion soffrir ch'innanzi passi. Qual dal bel fianco la faretra scioglie, qual gli trae la cintura e qual le spoglie.
43
Al'importuno stuol che l'incatena non senza scorno il giovinetto cede e, salvo un lento vel che 'l copre apena, nudo si trova dala testa al piede. Gira la vista allor lieta e serena ala sua diva, e nuda anco la vede, ch'ogni sua parte più secreta e chiusa confessa agli occhi ed ala selva accusa.
44
Ella tra 'l verde del'ombrosa chiostra vergognosetta trattasi in disparte, sue guardinghe bellezze or cela or mostra, fa di sestessa inun rapina e parte; impallidisce, indi i pallori inostra, sembra caso ogni gesto ed è tutt'arte; giungon vaghezza ai vaghi membri ignudi consigliati disprezzi, incolti studi.
45
Copriala aprova ogni arboscel selvaggio con braccia di frondosa ombra conteste, peroché 'l sol con curioso raggio spiar volea quella beltà celeste. Videsi di dolcezza ancora il faggio, il faggio, onde pendean l'arco e la veste, non possendo capir quasi in sestesso far più germogli e divenir più spesso,
46
Il groppo allor che 'nsu la fronte accolto stringea del crine il lucido tesoro, con la candida man lentato e sciolto sparse Ciprigna in un diluvio d'oro, onde, a guisa d'un vel dorato e folto celando il bianco sen tra l'onde loro, in mille minutissimi ruscelli dal capo scaturir gli aurei capelli.
47
Celò 'l bel sen con l'aureo vel, ma come appiattando la testa in cespo erboso invan l'augel che trae di Fasi il nome crede tutto a chi 'l mira essersi ascoso, così, seben dele diffuse chiome fece al'altre bellezze un manto ombroso, scopriva intanto infra quell'ombre aurate sol nel sol de' begli occhi ogni beltate.
48
Oltre che di quel sol chiaro e sereno quella nube gentil non splendea manco. Ella pur cerca or il leggiadro seno velarsi, or il bel tergol or il bel fianco; ma le fila del'or tenersi a freno sul'avorio non san, lubrico e bianco e quelche di coprir la man si sforza, audace venticel discopre a forza.
49
Vanno al gran bagno. Or dal'antiche carte di Baia e Cuma il paragon si taccia. In un quadro perfetto è con bell'arte disposto, ed ogni fronte è cento braccia, di ben commodi alberghi in ogni parte cinto, e tre ne contien per ogni faccia; camere e logge in triplicata fila vistanno ed ogni stanza ha la sua pila.
50
In mezzo al'edificio alto si scorge piantato di diaspro un gran pilastro per le cui vene interne il fonte sorge, forate sì da diligente mastro che per dodici canne intorno porge l'acque in vasi d'acate e d'alabastro. è d'argento ogni canna assai ben tersa, come d'argento son l'acque che versa.
51
Vansi l'acque a versar, ma pigre e lente, in ampie conche di forbiti sassi, siché raccor si può l'umor cadente dal'ordin primo de' balcon più bassi. Pigra dico sen va l'onda lucente e move tardi i cristallini passi che 'n sì ricco canal mentre s'aggira, le sue delizie ambiziosa ammira.
52
E quindi poscia per occulta tromba a sua propria magion passa ciascuna, e, traboccando con fragor, rimbomba, tanto lucida più quanto più bruna. Rassembra ogni magion spelonca o tomba, par la luce del sol luce di luna. Pallido v'entra per anguste vie, tanto che non v'è notte e non v'è die.
53
Il portico a cui l'onda in grembo piove serie di curvi fornici sostiene. Fregiano il muro interior là dove l'umido gorgo a scaricar si viene, marmi dipinti in strane fogge e nove di belle macchie e di lucenti vene. Lusingan d'ognintorno i bei riposi covili opachi e molli seggi ombrosi.
54
Ma null'opra mortal l'arte infinita dela cava testudine pareggia, che di pietre mirabili arricchita splende, e gemma plebea non vi lampeggia: v'ha quelche 'l ciel, v'ha quelche l'erba imita, v'ha quelch'emulo al foco arde e rosseggia; stucchi non v'ha, ma di sottil lavoro smalti sol coloriti in lame d'oro.
55
Tra' bei confin dele gemmate rive sì serena traspar l'onda raccolta che i non suoi fregi usurpa, e 'n sé descrive tutti gli onor dela superba volta. Non tanto forse in sì bell'acque e vive sdegneria Cinzia esser veduta e colta; forse in acque sì belle il suo bel viso meglio ameria di vagheggiar Narciso.
56
Quinci, penso, adivien che la loquace già ninfa che per lui muta si tacque, d'abitar, fatta voce, or si compiace dov'ei di vaneggiar già si compiacque. Quivi de' detti estremi ombra seguace d'arco in arco lontan fugge per l'acque; e, qual d'Olimpia entro l'eccelsa mole, moltiplica risposte ale parole.
57
Venne allor l'una coppia, e l'altra scorse de' bei lavacri al più vicin recesso; né molto andò che quindi uscir s'accorse d'accenti e baci un fremito sommesso. Adone a quella parte il passo torse tanto che per veder si fè dapresso. Vide, e gli cadder gli occhi in fondo al fonte tanta vergogna gli gravò la fronte.
58
Su la sponda d'un letto ha quivi scorto libidinoso satiro e lascivo ch'a bellissima ninfa in braccio attorto il fior d'ogni piacer coglie furtivo. Del bel tenero fianco al suo conforto palpa con una man l'avorio vivo, con l'altra, ch'ad altr'opra intenta accosta, tenta parte più dolce e più riposta.
59
Tra' noderosi e nerboruti amplessi del robusto amator la giovinetta geme, e con occhi languidi e dimessi dispettosa si mostra e sdegnosetta. Il viso invola ai baci ingordi e spessi, e nega il dolce, e più negando alletta; ma mentre si sottragge e gliel contende, nele scaltre repulse i baci rende.
60
Ritrosa a studio e con sciocchezze accorte svilupparsi da lui talor s'infinge, e 'ntanto tra le ruvide ritorte più s'incatena e più l'annoda e cinge, in guisa tal che non giamai più forte spranga legno con legno, inchioda e stringe. Flora non so, non so se Frine o Taide trovar mai seppe oscenità sì laide.
61
Serpe nel petto giovenile e vago l'alto piacer del'impudica vista, ch'ale forze d'Amor tiranno e mago esser non può ch'un debil cor resista; anzi dal'esca dela dolce imago l'incitato desio vigore acquista; e, stimulato al natural suo corso, meraviglia non fia se rompe il morso.
62
E la sua dea, che d'amorosi nodi ha stretto il core, a seguitarlo intenta, con detti arguti e con astuti modi pur tra via motteggiando il punge e tenta: – Godi pur (dicea seco) il frutto godi de' tuoi dolci sospir, coppia contenta. Sospir ben sparsi e ben versati pianti, felici amori e più felici amanti!
63
Sia fortuna per voi. Non so se tanto fia cortese per me chi m'imprigiona. – Così favella al suo bel sole a canto e sorride la dea mentre ragiona, facendo pur del destro braccio intanto al suo fianco sinistro eburnea zona. E già colei che gl'introdusse quivi spargea dal suo focil mille incentivi.
64
Come fiamma per fiamma accresce foco, come face per face aggiunge lume, o come geminato a poco a poco prende forza maggior fiume per fiume, così 'l fanciullo al'inonesto gioco raddoppia incendio e par che si consume, e, tutto in preda ala lascivia ingorda dela modestia sua non si ricorda.
65
Già di sestesso già fatto maggiore drizzar si sente al cor l'acuto strale, tanto ch'omai di quel focoso ardore a sostener lo stimulo non vale; ond'anelando il gran desir che 'l core con sollecito spron punge ed assale e bramoso di farsi apien felice, pur rivolto ala dea, la bacia e dice:
66
– Io moro, io moro oimé, se non mi dona oportuna pietà matura aita. Se di me non vi cal, già si sprigiona, già pendente al suo fin corre la vita. Ferve la fiamma, ed imminente e prona l'anima già prorompe insu l'uscita. Quella beltà per cui convien ch'io mora suscita con gli spirti i membri ancora.
67
Tosto ch'a dolce guerra amor protervo mi venne oggi a sfidar con tanti vezzi, tesi anch'io l'arco, ed or già temo il nervo per soverchio rigor non mi si spezzi. Non posso più, del'umil vostro servo il troppo ardir non si schernisca o sprezzi, che vorria pur, come veder potete, dela gloria toccar l'ultime mete. –
68
Così parlando e dela lieve spoglia la falda alquanto in languid'atto aperta, l'impazienza del'accesa voglia senz'alcun vel le dimostrò scoverta. – Soffri (diss'ella allor) finché n'accoglia apparecchio miglior, la speme e certa; dala Commodità, mia fida ancella, data in breve ne fia stanza più bella.
69
Ritardato piacer, portalo in pace, nele dilazion cresce non poco. Bastiti di saver che mi disface di reciproco amor scambievol foco. Teco insu l'ora dela prima face m'avrai, ti giuro, in più secreto loco. Fa pur bon cor, tien la mia fede in pegno, tosto averrà che 'n porto entri il tuo legno.–
70
Come a fiero talor veltro d'Irlanda buon cacciator che 'nfuriato il veda, benché venga a passar dala sua banda vicina assai la desiata preda, la libertà però che gli dimanda non così tosto avien che gli conceda, anzi fermo e tenace ad ogni crollo tira il cordon che gl'imprigiona il collo,
71
così né men, per più scaldar l'affetto nel difficil goder l'amante accorta, mentr'ei volea del suo maggior diletto con la chiave amorosa aprir la porta, di quel primo appetito al giovinetto l'impeto affrena e 'l bacia e 'l riconforta. Poi con la bella man quindi il rimove e l'invita a girar le piante altrove.
72
Può da que' chiusi alberghi al'ampia corte libero uscir per più d'un uscio il piede; e scritta dele stanze insu le porte d'ogni lavanda la virtù si vede. Ciascun'acqua ha virtù di varia sorte, come l'esperienza altrui fa fede. Qual vigor, qual sapore in sé contegna il tatto e 'l gusto espressamente insegna.
73
O miracol gentil, vena che scorre d'un sasso solo in varie urne stillante, come possa distinte in sé raccorre doti diverse e qualità cotante! Chi può di tutte i propri effetti esporre? Qual più, qual meno è gelida o fumante, altra più torbidetta, altra più chiara, altra dolce, altra salsa ed altra amara.
74
La tempra di quell'onde ove fu posta la bella dea con l'idol suo gradito del fonte insidioso era composta che congiunse a Salmace Ermafrodito, e 'n sé tenea proprietà nascosta di rinfiammare il tepido appetito, oltre l'erbe ch'infuse erano in essa, dotate pur dela virtute istessa.
75
V'era il fallo e 'l satirio in cui figura oscene forme il fiore e la radice, la menta che salace è per natura, l'eruca degli amori irritatrice, e v'era d'altri semplici mistura, già di Lampsaco colti ala pendice. Amor, ma dimmi tu nel bel lavacro qual fu nudo a veder quel corpo sacro.
76
Non così belle con le chiome sparse quando ala prima ingiuria il mar soggiacque ai duci d'Argo vennero a mostrarse le vezzose Nereidi in mezzo al'acque. Tal mai non so se la sua stella apparse qualor dal'ocean più chiara nacque; pare il bel volto il sol nascente, e pare il seno l'alba e quella conca il mare.
77
Simulacro di ninfa, inciso e fatto di qual marmo più terso in pregio saglia, posto in ricca fontana, o bel ritratto d'avorio fin, cui nobil fabro intaglia, somiglia apunto ala bianchezza, al'atto, senon che 'l moto sol la disagguaglia; e la fan differir dal sasso scolto l'oro del crin, la porpora del volto.
78
Al folgorar dele tremanti stelle arser gli umori algenti e cristallini, ed avampar d'insolite fiammelle l'umide pietre e i margini vicini. Vedeansi accese entro le guance belle dolci fiamme di rose e di rubini e nel bel sen per entro un mar di latte tremolando nuotar due poma intatte.
79
Or qual Fortuna insu la fronte ammassa l'ampio volume dela treccia bionda; or qual cometa andar parte ne lassa dopo le terga ad indorar la sponda; aura talor che la scompiglia e squassa fa rincresparla ed ondeggiar con l'onda, onde il crin rugiadoso e sparso al vento oro parea che distillasse argento.
80
Parea, battuta da beltà sì cara, disfarsi di piacer l'onda amorosa, e bramava indurarsi e spesso avara in sen la si chiudea, quasi gelosa. Chiudeala, ma qual pro s'era sì chiara che mal teneala al bell'Adone ascosa? Però che tralucea nel molle gelo come suol gemma in vetro o lampa in velo.
81
O qual gli move al cor lascivo assalto l'atto gentil, mentre si lava e terge! Or nel'acque s'attuffa, or sorge in alto, or le vermiglie labra entro v'immerge, or di quel molle e cristallino smalto con la man bianca il caro amante asperge, or il sen sene spruzza ed or la fronte e fa d'alto piacer piangere il fonte.
82
Adone anch'egli de' leggiadri arnesi scinto, e pien di stupore e di diletto, sotto effigie gelata ha spirti accesi, agghiacciando di fore, arde nel petto e mentre ha gli occhi al suo bel foco intesi, svelle dale radici un sospiretto così profondo e fervido d'amore che par che sospirar si voglia il core.
83
– Ahi qual m'abbaglia (sospirando dice) folgore ardente e candido baleno? quai vibrar veggio, spettator felice, fiamme i begli occhi e nevi il bianco seno? forse del ciel del'acque abitatrice fatta è quest'alma? o questo è un ciel terreno? Traslato è in terra il ciel. Venga chi vole in aquario quaggiù vedere il sole.
84
Beltà, cred'io, non vide in val di Xanto Paride tal nela medesma diva, né d'amoroso foco arse cotanto quando mirò la malmirata argiva, qual'io la veggio allettatrice e quanto sento l'alma stemprarmi in fiamma viva; fiamma di cui maggior non so se fusse quella che la sua patria arse e distrusse.
85
Dimmi, padre Nettun, se ti rimembra quand'ella uscì dele tue salse spume, di' se vedesti nele belle membra tanto splendore accolto e tanto lume. Dimmi tu, Sol, quella beltà non sembra oggi maggior del solito costume? maggior che quando in ciel fosti di lei invido testimonio agli altri dei.
86
Fosti men fortunato, Endimione, indegno di mirar quelch'oggi io miro, quando a te scese dal sovran balcone la bianca dea del'argentato giro. Cedimi cedi, o misero Atteone, ch'io per più degno oggetto ardo e sospiro; e differente è ben la nostra sorte, ch'io ne traggo la vita e tu n'hai morte.
87
O bellezza immortal, perché nel'onde ti lavi tu, se son di te men pure? l'acque ale macchie tue divengon monde e fansi belle con le tue brutture. Deh, poich'a sì soavi e sì seconde destinato son io gioie e venture, ch'io ti lavi e t'asciughi ancor consenti con vivi pianti e con sospiri ardenti.
88
E, s'è ver che ne' fonti anco e ne' fiumi amoroso talor foco sfavilli, fa che com'Aci in acqua io mi consumi e com'Alfeo mi liquefaccia e stilli. Forse raccolto tra' cerulei numi, mirando i fondi miei chiari e tranquilli, fia che nela stagion contraria al ghiaccio la bella fiamma mia mi guizzi in braccio. –
89
Così discorre, e 'ntanto i freddi umori prendon vigor dal'amorose faci. Amor gli stringe e stringe i corpi e i cori con lacci indissolubili e tenaci. Del nodo che temprò que' fieri ardori fè catene le braccia e groppi i baci, e con la propria benda ai vaghi amanti forbì le membra gelide e stillanti.
90
Giunto era il sol del gran viaggio al fine lasciando al suo sparir smarriti i fiori. Facean scorta ai silenzi ed ale brine l'ombre volanti e i sonnacchiosi orrori. Chiudea la notte in bruno velo il crine mendica de' suoi soliti splendori, ché la stella d'amor, d'amore accesa, in ciel non venne, ad altro ufficio intesa.
91
Cameretta riposta, ove consperse olezzan l'aure d'aliti soavi, ai solleciti cori Amor aperse Amor l'uscier che ne volgea le chiavi. Tutte incrostate e qual diamante terse v'ha di fino cristallo e mura e travi, che con lusso superbo, ov'altri miri, son specchi agli occhi e mantici ai desiri.
92
Talamo sparso di vapor sabeo, cortine ha qui di porpora di Tiro. Quelche per Arianna e per Lieo d'indiche spoglie le baccanti ordiro, quelch'a Teti le ninfe ed a Peleo fabricar di corallo e di zaffiro, povero fora al paragon del letto ch'è dale Grazie ai lieti amanti eretto.
93
Splende il letto real di gemme adorno e colonne ha di cedro e sponde d'oro. Fanno le coltre al'oriente scorno, vincono gli origlieri ogni tesoro. Purpurea tenda gli distende intorno fregiato un ciel di barbaro lavoro; biancheggiano fra gli ostri e fra i rubini morbidi bissi ed odorati lini.
94
Quattro strani sostegni ha ne' cantoni su le cui cime il padiglion s'appoggia. Son fatti a guisa d'arbori a tronconi d'oro e smeraldo in disusata foggia. Qui, quasi in verdi e concave prigioni, stuol d'augellini infra le fronde alloggia, onde s'alcun talor scote la pianta ode concerto angelico che canta.
95
Questo fu il porto che tranquillo accolse la nobil coppia dal dubbioso flutto. Qui del seme d'amor la messe colse, qui vendemmiò de' suoi sospiri il frutto; qui, tramontando il sol, Vener si tolse d'Adon più volte il bel possesso intutto; e qui per uso al tramontar di quello spuntava agli occhi suoi l'altro più bello.
96
Daché la queta, oscura, umida madre del silenzio e del sonno i colli adombra, finché le bende tenebrose ed adre il raggio mattutin lacera e sgombra, di quelle membra candide e leggiadre gode la dea gli abbracciamenti al'ombra, senza luce curar, senon la cara luce che le sue tenebre rischiara,
97
e dal'orto ancor poi fin al'occaso se 'l cova in grembo e con le braccia il fascia. Notte e dì sempr'è seco; e se per caso di necessario affar talvolta il lascia, che sia brev'ora senza lei rimaso sentesi sospirar con tanta ambascia, ch'aver sembra nel cor la fiamma tutta che Troia accese e Mongibello erutta.
98
Quando il rapido sol per dritta verga poggiando a mezzo 'l ciel fende le piaggie, là 've de' monti le frondose terga tesson verde prigion d'ombre selvagge, per soggiornar dove il suo bene alberga solitaria sovente il piè ritragge, e gode o lungo un fiume o sotto un speco partir l'ore, i pensieri e i detti seco,
99
e sempre in suo desir costante e salda o siede o giace o scherza il dì con esso. Concorde al'acque del'ombrosa falda freme de' baci il mormorar sommesso, né raggio d'altro sol la fiede o scalda che de' begli occhi in cui si specchia spesso, né sul meriggio estivo aura cocente senon sol quella de' sospir, mai sente.
100
Vassene poi per questa riva e quella l'orme seguendo del'amate piante, predatrice di fere ardita e bella, del caro predator compagna errante, e l'arco in mano, al fianco le quadrella porta talor del fortunato amante, talch'ogni fauno ed ogni dea silvana gli crede Apollo l'un, l'altra Diana.
101
Così qualor giovenca giovinetta sen va per campi solitari ed ermi, tenera sì che calpestar l'erbetta ancor non sa con piè securi e fermi, né curva in sfera ancor piena e perfetta dela fronte lunata i novi germi, seguela, ovunque va, per la verdura la torva madre e la circonda e cura.
102
Fatta gelosa è sì di quel bel volto che teme Amor d'amor non sen'accenda; teme non Borea in turbine disciolto dale nubi a rapirlo in terra scenda; teme non Giove in ricca pioggia accolto a sì rara bellezza insidie tenda. Vorria poter celar luci sì belle ala vista del sole e dele stelle.
103
Se si rischiara il mondo o se s'imbruna, spieghi, o pieghi la notte il fosco velo, del'aurora ha sospetto e dela luna, ch'a lei nol furi e non sel porti in cielo. Odia come rival l'aura importuna, gli augelli, i tronchi, i fior l'empion di gelo. Ha quasi gelosia de' propri baci, de' propri sguardi suoi troppo voraci.
104
Sotto le curve e spaziose spalle d'un incognito al sol poggio frondoso, cinto da cupa e solitaria valle, s'appiatta in cavo sasso antro muscoso. Raro de' suoi recessi il chiuso calle altri tentò che 'l Sonno e che 'l Riposo. L'ombre sue sacre, i suoi riposti orrori e fere reveriscono e pastori.
105
Questo, l'Arte imitando, avea Natura di rozzi fregi a meraviglia adorno. L'avea con vaga e rustica pittura sparso di fronde e fior dentro e dintorno. Gli fea d'appio e di felce un'ombra oscura schermo al'ingiurie del cocente giorno. Difendea l'edra incontr'al sol l'entrata di cento braccia e cento branche armata.
106
Qui spesso ricovrar da' campi aprici la bellissima coppia avea costume, e 'n liet'ozio passar l'ore felici, secura dal'ardor del maggior lume. Eran de' sonni lor l'aure nutrici, cortinaggi le fronde e l'erbe piume, secretarie le valli e le montagne, e l'erme solitudini compagne.
107
Incontro al biondo arcier che folgoranti dritto dal'arco d'or scoccava i raggi, scudo faceano ai duo felici amanti con torte braccia i Briarei selvaggi. Mossi dal'aure vane e vaneggianti con alterni sussurri abeti e faggi pareano dire, e lingua era ogni fronda: – Più ne nutrisce amor che 'l sole e l'onda.–
108
Or quivi un dì fra gli altri, ecco che stanco tornar di caccia ed anelante il vede. L'or biondo e crespo, il terso avorio e bianco tre volte e quattro a rasciugar gli riede. Gli fa catena dele braccia al fianco, sel reca in grembo e 'n grembo al'erba siede; e 'n vagheggiando lui che l'invaghisce, pur com'aquila al sol, gli occhi nutrisce.
109
Tien le luci ale luci amate e fide congiunte, il seno al seno, il viso al viso. Divora e bee, qualora ei bacia o ride, con la bocca e con l'occhio il bacio e 'l riso. – Deh chi dagli occhi miei pur ti divide, o non da' miei pensier giamai diviso? qual'altra esser può mai cura che vaglia a far che del mio duol nulla ti caglia?
110
Or m'avveggio ben io che d'egual foco, chi creduto l'avria? meco non ardi, e che formi talor, sicome poco avezzo a ben amar, vezzi bugiardi, poiché posposto ala fatica il gioco, dale tue cacce a me torni sì tardi, e curi, come suole ogni fanciullo, più che tutt'altro, un pueril trastullo. –
111
Così dicendo col bel vel pianpiano gli terge i molli e fervidi sudori, vive rugiade, onde il bel viso umano riga i suoi freschi e mattutini fiori. Poi degli aurei capei di propria mano coglie le fila e ricompon gli errori e di lagrime il bagna e mesce intanto, tra perle di sudor, perle di pianto.
112
Ed egli a lei: – Deh! questi pianti asciuga, deh! cessa omai queste dogliose note. Pria seminar di neve, arar di ruga tu vedrai queste chiome e queste gote, che mai per altro amor sia posto in fuga l'amor che dal mio cor fuggir non pote. Se tu, fiamma mia cara, immortal sei, immortali saran gl'incendi miei.
113
Per quella face ond'infiammato io fui giuro, e per quello stral che 'l cor m'offende, giuro per gli occhi e per le chiome, in cui lo strale indora Amor, la face accende, ch'Adon fia sempre tuo, né mai d'altrui, tal è quel sol ch'agli occhi suoi risplende. S'altro che 'l ver ti giuro, o bella mia, di superbo cinghial preda mi sia.–
114
Ed ella a lui: – Se tu, ben mio, sapessi quanto sia dolce esser amato amando, e quant'è duro esperienza avessi lunge dal'amor suo girsene errando, di scambievole amor segni più espressi mi daresti talor meco posando, e saremmo egualmente amanti amati, tu contento, io felice, ambo beati.
115
è ver che nulla il bel pensiero affrena, che sempre al'occhio il caro oggetto appressa. In alme strette di leal catena so che per lontananza amor non cessa. Dividale, se può, libica arena, oceano profondo, alpe inaccessa: pur lasciar il suo bene è peggio assai che desiarlo e non goderlo mai.
116
Godianci, amianci. Amor d'amor mercede, degno cambio d'amore è solo amore. Fansi in virtù d'un'amorosa fede due alme un'alma e son duo cori un core. Cangia il cor, cangia l'alma albergo e sede, in altrui vive, in semedesma more. Abita amor l'abbandonata salma, e vece vi sostien di core e d'alma.
117
O dolcezza ineffabile infinita, soave piaga e dilettosa arsura, dove, quasi fenice incenerita, ha culla insieme il core e sepoltura; onde da duo begli occhi alma ferita muor non morendo e 'l suo morir non cura e, trafitta d'amor, sospira e langue senza duol, senza ferro e senza sangue.
118
Così dolce a morir l'anima impara esca fatta al'ardor, segno alo strale, e sente in fiamma dolcemente amara per ferita mortal morte immortale. Morte, ch'al cor salubre, ai sensi cara, non è morte, anzi è vita, anzi è natale. Amor che la saetta e che l'incende, per più farla morir, vita le rende.
119
Or se risponde il tuo volere al mio e son conformi i miei desiri ai tuoi; se quanto aggrada a te, tanto bram'io e quanto piace a me tanto tu vuoi; s'è diviso in duo petti un sol desio ed è commune un'anima tra noi; se ti prendi il mio core e 'l tuo mi dai, perché de' corpi un corpo anco non fai?
120
O del'anima mia dolce favilla, o del mio cor dolcissimo martiro, o dele luci mie luce e pupilla, o mio vezzo, o mio bacio, o mio sospiro, volgimi quegli, ond'ogni grazia stilla, fonti di puro e tremulo zaffiro, porgimi quella ove m'è dato in sorte in coppa di rubino a ber la morte.
121
Que' begli occhi mi volgi. Occhi vitali, occhi degli occhi miei specchi lucenti, occhi, faretre ed archi e degli strali intinti nel piacer fucine ardenti, occhi del ciel d'amor stelle fatali e del sol di beltà vivi orienti; stelle serene, la cui luce bella può far perpetua ecclisse ala mia stella.
122
Quella bocca mi porgi. O cara bocca, dela reggia del riso uscio gemmato, siepe di rose, in cui saetta e scocca viperetta amorosa arabo fiato, arca di perle ond'ogni ben trabocca, cameretta purpurea, antro odorato, ove rifugge, ove s'asconde Amore poich'ha rubata un'alma, ucciso un core. –
123
Tace, ma qual fia stil che di ciascuna paroletta il tenore a pien distingua? Certo indegna è di lor, senon quell'una che la forma sì dolce, ogni altra lingua. Sì parlando e mirando ebra e digiuna pasce la sete sì, non che l'estingua, anzi, perché più arda e si consumi, bacia le dolci labra e i dolci lumi.
124
Bacia e dopo 'l baciar mira e rimira le baciate bellezze or questi, or quella. Ribacia, e poi sospira e risospira le gustate dolcezze or egli, or ella. Vivon due vite in una vita e spira, confusa in due favelle, una favella. Giungono i cori insu le labra estreme, corrono l'alme ad intrecciarsi insieme.
125
Di note ador ador tronche e fugaci risona l'antro cavernoso e scabro. – Dimmi o dea (dice l'un) questi tuoi baci movon così dal cor, come dal labro? – Risponde l'altra: – Il cor nele mordaci labra si bacia, amor del bacio è fabro, il cor lo stilla, il labro poi lo scocca, il più ne gode l'alma, il men la bocca.
126
Baci questi non son, ma di concorde amoroso desio loquaci messi. Parlan tacendo in lor le lingue ingorde ed han gran sensi in tal silenzio espressi. Son del mio cor, che 'l tuo baciando morde, muti accenti i sospiri e i baci istessi. Rispondonsi tra lor l'anime accese con voci sol da lor medesme intese.
127
Favella il bacio e del sospir, del guardo voci anch'essi d'amor, porta le palme, perch'al centro del cor premendo il dardo su la cima d'un labro accoppia l'alme. Che soave ristoro, al foco ond'ardo, compor le bocche, alleggerir le salme! Le bocche, che di nettare bramose han la sete e 'l licor, son api e rose.
128
Quel bel vermiglio che le labra inostra alcun dubbio non ha che sangue sia. Or se nel sangue sta l'anima nostra, sicome i saggi pur vogliono che stia, dunque, qualor baciando entriamo in giostra, bacia l'anima tua l'anima mia, e mentre tu ribaci ed io ribacio, l'alma mia con la tua copula il bacio.
129
Siede nel sommo del'amate labbia, dove il fior degli spirti è tutto accolto, come corpo animato in sé pur abbia, il bacio che del'anima vien tolto. Quivi non so d'amor qual dolce rabbia l'uccide, e dove muor resta sepolto; ma là dove ha sepolcro, ancora poi, baci divini, il suscitate voi.
130
Mentre a scontrar si va bocca con bocca, mentre a ferir si van baci con baci, sì profondo piacer l'anime tocca, ch'apron l'ali a volar, quasi fugaci; e di tanta che 'n lor dolcezza fiocca essendo i cori angusti urne incapaci, versanla per le labra e vanno in esse anelando a morir l'anime istesse.
131
Treman gli spirti infra i più vivi ardori quando il bacio a morir l'anima spinge. Mutan bocca le lingue e petto i cori, spirto con spirto e cor con cor si stringe. Palpitan gli occhi e dele guance i fiori amoroso pallor scolora e tinge; e morendo talor gli amanti accorti ritardano il morir, per far due morti.
132
Da te l'anima tua morendo fugge, io moribonda insu 'l baciar la prendo, e 'n quel vital morir che ne distrugge, mentre la tua mi dai, la mia ti rendo; e chi mi mira sospirando e sugge, suggo, sospiro anch'io, miro morendo; e per morir, quando ti bacio e miro, vorrei ch'anima fusse ogni sospiro. –
133
– Fa dunque, anima mia (l'altro le dice) ch'io con vita immortal cangi la morte. Voli l'anima al ciel, siché felice sia degli eterni dei fatta consorte. Fa ch'io viva e ch'io mora, e, se ciò lice, fa ch'io riviva poi con miglior sorte. Dolcemente languendo al'istess'ora, fa che 'n bocca io ti viva, in sen ti mora.
134
Un albergo medesmo in que' dolci ostri unisca il mio desir col tuo desire. Le nostr'anime, i cor, gli spirti nostri vadano insieme a vivere e morire. Ferito a un punto il feritor si mostri, pera la feritrice insu 'l ferire, onde, mentre ch'io moro e che tu mori, ravivi il morir nostro i nostri ardori.
135
Sostien, diletta mia, ch'a mio diletto senza cessar dale tue labra io penda, ma col labro vermiglio il bianco petto avarizia d'amor non mi difenda, né que' begli occhi al mio vorace affetto dispettoso rigor, prego, contenda. Morendo io vivrò in te, tu in me vivrai, così ti renderò quanto mi dai.
136
Se nulla è in noi di nostro e non v'ha loco cosa che possa tua dirsi né mia, se 'l mio cor non è mio molto né poco, come 'l tuo credo ancor, che tuo non sia; poiché tu sei mia fiamma, io son tuo foco, e ciò che brama l'un, l'altro desia; poiché di propria mano amor ha fatto e fermato tra noi questo contratto,
137
consenti pur ch'io ti ribaci e dammi ch'io te, come tu me, stringa ed abbracci. Pungi, ferisci, uccidi e svenir fammi finché l'anima sudi e 'l core agghiacci. Te l'ardor mio, me la tua fiamma infiammi e me teco e te meco un laccio allacci. Perpetuo moto abbian le lingue e doppi sien dele braccia e dele labra i groppi.
138
Per mezzo il fior dele tue labra molli Amor, qual augellin vago e vezzoso, con cento suoi fratei lascivi e folli vola scherzando e vi tien l'arco ascoso. Né vuol ch'io le mie fami ivi satolli, dele dolcezze sue quasi geloso, ché, tosto ch'io per mitigar l'ardore ne colgo un bacio, ei mi trafige il core.
139
Ma qualor da lui scampo e là rifuggo dov'ha più di vermiglio il tuo bel viso, più dolce ambrosia, o me beato, io suggo di quella che si gusta in paradiso. Zefiretto soave, ond'io mi struggo, sento spirar dele tue rose al riso, loqual del foco che 'l mio cor consuma, ventilando l'ardor, vie più l'alluma.
140
No, che baci non son questi ch'io prendo, son dela dolce Arabia aure odorate, d'una soavità ch'io non intendo, più che di cinnamomo, imbalsamate. Son profumi d'Amor ch'ei va traendo dal'incendio del'alme innamorate. Par ch'abbia in queste porpore ricetto quanto mele han Parnaso, Ibla ed Imetto.
141
Felice me, che meritar potei quel dolce mai che tanto ben m'ha fatto. Ma son ben folle ne' diletti miei, che bacio e parlo in un medesmo tratto. è sì grande il piacer, che non vorrei la mia bocca occupar, fuorché 'n quest'atto. E con la bocca istessa il cor si dole quando i baci dan luogo ale parole. –
142
– Ed io (dic'ella) che fruir mi vanto gloria infinita in que' superni seggi, non provo colassù diletto tanto, ch'ala gioia presente si pareggi. Prendi pur ciò che chiedi, e chiedi quanto di me ti piace, a tuo piacer mi reggi. Ecco a picciole scosse a te mio bene sospirando e tremando il cor sen viene.
143
Deh nel core, o mio core, omai m'aventa quella lingua d'amor dolce saetta, e 'n cote di rubino aguzzar tenta la punta ch'a morir dolce m'alletta; e fa tanto ch'anch'io morir mi senta, del tuo dolce morir dolce vendetta. Serpe sembri al ferir, ché ben ascose stan sovente le serpi infra le rose.
144
E se, perch'ella è velenosa e schiva, forse imitar la vipera ti spiace, movila almen, sicome suol lasciva coda guizzar di rondine fugace. O pur qual fronda di novella oliva rincresparla t'insegni Amor sagace. Vibrala sì, che la tua bocca arciera emula de' begli occhi, il cor mi fera. –
145
– Non sono (egli ripiglia) or non son questi gli occhi, onde dolci al cor strali mi scocchi? Gli occhi, onde dolce il cor dianzi m'ardesti? Begli occhi! – e 'n questo dir le bacia gli occhi. – Begli occhi (ella soggiunge) occhi celesti cagion che di dolcezza il cor trabocchi. Core, ond'io vivo senza cor, tesoro, ond'io povera son, vita, ond'io moro. –
146
Allora il vago: – Anzi tu sol tu sei quel core onde 'l mio cor vita riceve. Cor mio... – Più volea dir, quando colei la parola in un bacio e 'l cor gli beve. Ella per lui si strugge, egli per lei, com'a raggio di sol falda di neve. Suonano i baci e mai dal cavo speco forse a più dolce suon non rispos'eco.
147
Fa un groppo allor del'un e l'altro core quel sommo del piacer, fin del desio. Formano i petti in estasi d'amore di profondi sospiri un mormorio. Stillansi l'alme in tepidetto umore, opprime i sensi un dilettoso oblio. Tornan fredde le lingue e smorti i volti, e vacillano i lumi al ciel travolti.
148
Tramortiscon di gioia ebre e languenti l'anime stanche, al ciel d'amor rapite. Gl'iterati sospiri, i rotti accenti, le dolcissime guerre e le ferite, narrar non so. Fresche aure, onde correnti, voi che 'l miraste e che l'udiste, il dite, voi secretari de' felici amori verdi mirti, alti pini, ombrosi allori.
149
Ma già fugge la luce e l'ombra riede, e s'accosta a Marocco il sole intanto; imbrunir d'oriente il ciel si vede, cangia in fosco la terra il verde manto. Già cede al grillo la cicala e cede il rossignuolo ala civetta il canto, che garrisce le stelle e dice oltraggio del bel pianeta al fuggitivo raggio.
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