Giambattista Marino - Opera Omnia >>  Adone




 

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CANTO SECONDO

Il palagio d'Amore



ALLEGORIA

Le ricchezze della casa d'Amore e le sculture della porta di essa, contenenti l'azzioni di Cerere e di Bacco, ci danno a conoscere le delizie della sensualità, e quanto l'uno e l'altra concorrano al nutrimento della lascivia. Le cinque torri comprese nel detto palazzo son poste per essempio de' cinque sentimenti umani, che son ministri delle dolcezze amorose; e la torre principale, ch'è più elevata dell'altre quattro, dinota in particolare il senso del tatto, in cui consiste l'estremo e l'eccesso di simili dilettazioni. La soavità del pomo gustato da Adone ci insegna che per lo più sogliono sempre i frutti d'amore essere nel principio dolci e piacevoli. Il giudicio di Paride è simbolo della vita dell'uomo, a cui si rappresentano innanzi tre dee, cioè l'attiva, la contemplativa e la voluttaria; la prima sotto nome di Giunone, la seconda di Minerva la terza di Venere. Questo giudicio si commette all'uomo, a cui è dato libero l'arbitrio della elezzione, perché determini qual di esse più gli piaccia di seguitare. Ed egli per ordinario più volentieri si piega alla libidine e al piacere che al guadagno o alla virtù.



ARGOMENTO
Al palagio, ov'amor chiude ogni gioia,
ne van Clizio e Adone in compagnia.
Clizio gli prende a raccontar per via
il gran giudicio del pastor di Troia.

1

Giunto a quel passo il giovinetto Alcide,
che fa capo al camin di nostra vita,
trovò dubbio e sospeso infra due guide
una via, che 'n due strade era partita.
Facile e piana la sinistra ei vide,
di delizie e piacer tutta fiorita;
l'altra vestìa l'ispide balze alpine
di duri sassi e di pungenti spine.

2

Stette lungh'ora irrisoluto in forse
tra duo sentieri il giovane inesperto;
alfine il piè ben consigliato ei torse
lunge dal calle morbido ed aperto;
e dietro a lei, ch'a vero onor lo scorse,
scelse da destra il faticoso ed erto,
onde per gravi rischi e strane imprese
di somma gloria insu la cima ascese.

3

E così va ehi con giudicio sano
di virtù segue l'onorata traccia.
Ma chiunque credendo al vizio vano
cerca il mal, ch'ha di ben sembianza e faccia,
giunge per molle e spazioso piano
dove in mille catene il piede allaccia.
Quante il perfido ahi! quante e 'n quanti modi
n'ordisce astute insidie, occulte frodi.

4

Per l'arringo mortal, nova Atalanta,
l'anima peregrina e semplicetta
corre veloce, e con spedita pianta
del gran viaggio al termine s'affretta.
Ma spesso il corso suo stornar si vanta
il senso adulator, ch'a sé l'alletta
con l'oggetto piacevole e giocondo
di questo pomo d'or, che nome ha mondo.

5

Curi lo scampo suo, fugga e disprezzi
le dolci offerte, i dilettosi inganni,
né perché la lusinghi e l'accarezzi,
disperda in fiore il verdeggiar degli anni.
Mille ognor le propon con finti vezzi
per desviarla da' lodati affanni
gioie amorose, amabili diporti,
che poi fruttano altrui ruine e morti.

6

Da sì fatte dolcezze ella invaghita
di farsi esca al focile e segno al'arco,
nela cruda magion passa tradita
di mille pene a sostener l'incarco;
gabbia senz'uscio e carcer senza uscita,
mar senza riva e selva senza varco,
labirinto ingannevole d'errore,
tal è il palagio, ov'ha ricetto Amore.

7

Già l'augel mattutin battendo intorno
l'ali, a bandir la luce ecco s'appresta,
e 'l capo e 'l piè superbamente adorno
d'aurato sprone e di purpurea cresta,
dela villa oriuol, tromba del giorno,
con garriti iterati il mondo desta,
e sollecito assai più che non suole,
già licenzia le stelle e chiama il sole,

8

quando di là, dove posò pur dianzi
dal suo sonno riscosso Adon risorge,
che veder vuol, pria che 'l calor s'avanzi,
se 'l ciel di caccia occasion gli porge.
Clizio pastor con la sua greggia innanzi
al vicin bosco l'accompagna e scorge,
là dove a suon di rustica sambuca
convien su 'l mezzo di ch'ei la riduca.

9

Disegna Adon, se pur tra via s'abbatte
in damma, in daino o in altra fera alcuna,
errando ancor per quell'ombrose fratte
torcer del'arco la cornuta luna.
Quest'armi avea, come non so, ritratte
in salvo dal furor dela fortuna
né so qual tolto avria, fra le tempeste
più tosto abbandonar la vita o queste.

10

Così, mentre vagante e peregrino
scorre l'antico suo paterno regno,
del crudo arcier, del perfido destino
affretta l'opra, agevola il disegno.
Ma stimando fatale il suo camino,
poiché campò gran rischio in picciol legno,
spera, quando alcun di quivi soggiorni,
che lo scettro perduto in man gli torni.

11

Veggendo come per sì strania via
dala terra odorifera Sabea
mirabilmente al'isola natia
pietà d'amico ciel scorto l'avea,
e che del loco, ond'ebbe origin pria,
il leggittimo stato in lui cadea
nel favor di fortuna ancor confida,
che de' suoi casi a' bei progressi arrida.

12

Apunto il sol su la cornice allora
dela finestra d'or levava il ciglio,
forse per risguardar s'avesse ancora
nulla esseguito Amor del suo consiglio,
quando di lei, che 'l terzo giro onora,
dolente pur del fuggitivo figlio,
vie più da lui, che dal pastor guidato,
giunse presso al'ostello aventurato.

13

Anchorché chiusa sia, com'ognor suole,
l'entrata principal dela magione,
tanta è però di sì superba mole
la luce esterior, ch'abbaglia Adone.
La reggia famosissima del sole
de' suoi chiari splendori al paragone
fora vile ed oscura, e 'l giovinetto
d'infinito stupor ne colma il petto.

14

Sorge il palagio, ov'ha la dea soggiorno,
tutto d'un muro adamantino e forte.
I gran chiostri, i gran palchi invidia e scorno
fanno ale logge del'empirea corte.
Ha quattro fronti e quattro fianchi intorno,
quattro torri custodi e quattro porte;
e piantata ha nel mezzo un'altra torre,
che vien di cinque il numero a comporre.

15

Ne' quattro angoli suoi quasi a compasso
poste le torri son tutte egualmente.
Quella di mezzo è del medesmo sasso,
ma del'altre maggiore e più eminente.
L'una al'altra risponde e s'apre il passo
per più d'un ponte eccelso e risplendente,
e con arte assai bella e ben distinta
ciascuna dele quattro esce ala quinta.

16

Sì alto e sì sottile è ciascun arco
che sotto ciascun ponte si distende,
che ben si par che quel sublime incarco
per miracol divino in aria pende.
L'incurvatura, ond'ogni ponte ha varco,
di tante gemme variata splende,
ch'ogni arco ai lumi ed ai color che veste,
somiglia in terra un'iride celeste.

17

Le quattro torri insu i canton costrutte
son fatte in quadro e son d'egual misura,
tranne la principal fra l'altre tutte,
ch'è fabricata in sferica figura.
Son distanti del pari e son condutte
le linee a fil con vaga architettura,
e salvo la maggior che 'n grembo il tiene,
per ogni torre in un giardin si viene.

18

Non di porfidi ornaro o serpentini
quello strano edificio i dotti mastri,
ma fer di sassi orientali e fini
comignoli e cornici, archi e pilastri.
Preziosi crisoliti e rubini
segar di marmi invece e d'alabastri,
e tutte qui del'indiche spelonche,
e de' lidi eritrei votar le conche.

19

Dale vene del Gange il fabro scelse
il più pregiato e lucido metallo,
e dale rupi del'Arabia svelse
il diamante purissimo e 'l cristallo,
onde compose le colonne eccelse
con ben dritta misura ed intervallo,
che su diaspro rilucente e saldo
ferman, le basi e i capi han di smeraldo.

20

Tra colonna e colonna al peso altero
sommessi i busti smisurati e grossi,
servon d'appoggio al grave magistero
in forma di giganti alti colossi.
Son fabricati d'un berillo intero
e d'ardente piropo han gli occhi rossi;
ciascun regge un feston distinto e misto
di zaffir, di topazio e d'ametisto.

21

Splende intagliata di fabril lavoro
la maggior porta del mirabil tetto.
Sovra gangheri d'or spigoli d'oro
volge, e serragli ha d'or limpido e schietto,
e sostegno e non fregio al gran tesoro
del ricco ingresso il calcidonio eletto.
Soggiace al piè, quasi sprezzato sasso,
nela lubrica soglia il fin balasso.

22

Quel di mezzo è d'argento, e mille in esso
illustri forme industre mano incise,
e di lor col rilievo e col commesso
gli atti e i volti distinse in varie guise.
Vero il finto dirà, vero ed espresso,
uom, che v'abbia le luci intente e fise.
L'opra, ch'opra è del'arte e quasi spira,
com'opra di sua man, Natura ammira.

23

In una parte del superbo e bello
uscio, ch'al vivo ogni figura esprime,
scolpì Vulcan col suo divin scarpello
l'alma inventrice dele biade prime.
Fumar Etna si vede e Mongibello
fiamme eruttar dale nevose cime.
Ben sepp'egli imitar del patrio loco
con rubini e carbonchi il fumo e 'l foco.

24

Vedesi là per la campagna aprica,
tutta vestita di novella messe,
biondeggiar d'oro ed ondeggiar la spica,
sparsa pur or dale sue mani istesse.
– Scoglio gentil (par che tacendo dica
sì ben le voci ha nel silenzio espresse)
siami fido custode il tuo terreno
del caro pegno ch'io ti lascio in seno. –

25

Ecco ne vien con le compagne elette
la vergin fuor dela materna soglia,
e per ordir monili e ghirlandette
de' suoi fregi più vaghi il prato spoglia.
Già par che i fior tra le ridenti erbette
apra con gli occhi e con le man raccoglia.
Ritrar non sapria meglio Apelle o Zeusi
la bella figlia dela dea d'Eleusi.

26

Ed ecco aperte le sulfuree grotte,
mentre ch'ella compon gigli e viole,
dal fondo fuor dela tartarea notte
il rettor dele furie uscire al sole.
Fuggon le ninfe e con querele rotte
la rapita Proserpina si dole.
Spuman tepido sangue e sbuffan neri
aliti di caligine i destrieri.

27

Ecco Cerere in Flegra afflitta riede,
ecco gemino pin succide e svelle
e, per cercarla, fattone due tede,
le leva in alto ad uso di facelle.
Simile al vero il gran carro si vede
ricco di gemme sfavillanti e belle.
Van con lucido tratto il ciel fendenti
l'ali verdi battendo i duo serpenti.

28

Dal'altro lato mirasi scolpito
il giovinetto dio che 'l Gange adora,
come immaturo ancor, non partorito
Giove dal sen materno il tragge fora,
come gli è madre il padre, indi nutrito
dale ninfe di Nisa i boschi onora.
Stranio parto e mirabile, che fue
una volta concetto e nacque due.

29

In un carro di palmiti sedere
vedilo altrove, e gir sublime e lieve.
Tirano il carro rapide e leggiere
quattro d'Ircania generose allieve.
Leccano intinto il fren l'orride fere
del buon licor che fa gioir chi 'l beve.
Egli tra i plausi dela vaga plebe
passa fastoso e trionfante a Tebe.

30

Il non mai sobrio e vecchiarel Sileno
sovra pigro asinel vien sonnacchioso,
tinto tutto di mosto il viso e 'l seno,
verdeggiante le chiome e pampinoso.
Già già vacilla e per cader vien meno,
reggon satiri e fauni il corpo annoso.
Gravi porta le ciglia e le palpebre
di vino e di stupor tumide ed ebre.

31

Vulgo dal destro lato e dal sinistro
di fanciulli e di ninfe si confonde.
e par ch'a suon di crotalo e di sistro
vibrin tirsi e corimbi e frasche e fronde.
Inghirlandan di Bacco ogni ministro
verdi viticci, uve vermiglie e bionde;
e son le viti di smeraldo fino,
l'uve son di giacinto e di rubino.

32

Quinci e quindi dintorno ondeggia e bolle
la turba dele vergini baccanti,
e corre e salta infuriato e folle
lo strepitoso stuol de' coribanti.
Par già tutto tremar facciano il colle
buccine e corni e cembali sonanti.
Pien di tant'arte è quel lavor sublime,
che nel muto metallo il suono esprime.

33

Quanto Adon più dapresso al loco fassi,
più la mente gl'ingombra alto stupore.
– Questo è il ciel dela terra e quinci vassi
ale beatitudini d'amore. –
Così, colà volgendo i guardi e i passi,
in fronte gli mirò scritto di fore.
Tutto d'incise gemme era lo scritto,
tarsiato a caratteri d'Egitto.

34

– Ecco il palagio, ove Ciprigna alberga,
(disse allor Clizio) e dov'Amor dimora.
Io, quando avien che 'l sol più alto s'erga,
menar qui la mia greggia uso talora,
né, finché poi nel'ocean s'immerga,
la richiama al'ovil canna sonora.
Ma poiché Sirio latra, io vo' ben oggi
miglior ombra cercar tra que' duo poggi.

35

Tra que' duo poggi che non lunge vedi,
teco verrò per solitarie vie.
Poi da te presi i debiti congedi,
t'attenderò su 'l tramontar del die
e recherommi a gran mercé se riedi
a ricovrar nele cappanne mie.
Forse intanto il tuo legno esposto al'onda
fia che guidi a buon porto aura seconda. –

36

Adon, disposto di seguir sua sorte,
cortesemente al contadin rispose.
In questo mentre innanzi ale gran porte
estranie vide e disusate cose.
In mezzo un largo pian che vi fa corte,
stende tronco gentil braccia ramose,
di cui non verdeggiò mai sotto il cielo
più raro germe o più leggiadro stelo.

37

Cedan le ricche e fortunate piante,
che dispiegaro la pomposa chioma
nel bel giardin del libico gigante,
che 'l tergo incurva ala stellata soma.
Non so se là nele contrade sante,
carica i rami di vietate poma,
arbor nutrì sì preziosa e bella
quelche suo paradiso il mondo appella.

38

Ha di diamante la radice e 'l fusto,
di smeraldo le fronde, i fior d'argento.
Son d'oro i frutti, ond'è maisempre onusto,
e la porpora al'or cresce ornamento.
Di contentar dopo la vista il gusto
al curioso Adon venne talento,
ond'un ne colse e, com'apunto grave
fusse d'ambrosia, il ritrovò soave.

39

E tutto colmo d'un piacer novello
al pastor dimandò: – Che frutto è questo? –
– Il frutto di quel nobile arboscello
non è (rispose) di terreno innesto;
e s'è dolce ala bocca, agli occhi bello,
ben di gran lunga è più perfetto il resto.
Per la virtù ch'asconde il suo sapore,
s'accresce grazia e si raddoppia amore.

40

Udito hai ragionar del pomo ideo,
che 'n premio di bealtà Venere ottenne,
per cui con tanto sangue il ferro Acheo
fè il ratto del'adultera sollenne.
Questo, poiché di lei restò trofeo,
la dea qui di sua mano a piantar venne
e, piantato che fu, volse dotarlo
dela proprietà di cui ti parlo. –

41

– Deh (gli soggiunse Adon) se non ti pesa,
narra l'origin prima e 'n qual maniera
nacque fra le tre dee l'alta contesa,
com'ella andò di sì bel pomo altera;
dale ninfe sabee n'ho parte intesa,
ma bramo udir di ciò l'istoria intera.
Così men malagevole ne fia
l'aspro rigor dela malvagia via. –

42

– Poich'ebbe Amor con tanti lacci e tanti,
(il pastor cominciò) tese le reti,
ch'alfin pur strinse dopo lunghi pianti
in nodo marital Peleo con Teti,
le nozze illustri di sì degni amanti
vennero ad onorar festosi e lieti
quanti son numi in ciel, quanti ne serra
il gran cerchio del mare e dela terra.

43

Fu di Tessaglia aventuroso il monte,
dove si celebrar questi imenei.
Di mirti e lauri gli fiorì la fronte,
del trionfo d'amor fregi e trofei;
e le stelle gli fur propizie e pronte,
e le genti mortali e gli alti dei,
se non spargea dissension crudele
tra le dolci vivande amaro fiele.

44

Senza invidia non è gioia sincera,
né molto dura alcun felice stato.
Quel gran piacer dala Discordia fiera,
madre d'ire e di liti, ecco è turbato;
ch'esclusa fuor dela divina schiera
e dal convito splendido e beato,
gli alti diletti e l'allegrezze immense
venne a contaminar di quelle mense.

45

Al'arti sue ricorre e, col consiglio
di quella rabbia che la punge e rode,
corre al giardin d'Esperia e dà di piglio
ale piante che 'l drago ebber custode.
Quindi un pomo rapisce aureo e vermiglio,
de' cui rai senz'offesa il guardo gode.
Di minio e d'oro un fulgido baleno
vibra e gemme per semi accoglie in seno

46

Nela scorza lucente e colorita,
il cui folgore lieto i lumi abbaglia,
la diva, di disdegno inviperita,
cui nulla Furia in fellonia s'agguaglia,
di propria man, come il furor l'irrita,
parole poi sediziose intaglia.
Dice il motto da lei scolpito in quella:
"Diasi questo bel dono ala più bella".

47

Torna ove la richiama ala vendetta
del'alta ingiuria la memoria dura
e, d'astio accesa e di veleno infetta,
nel velo ascosa d'una nube oscura,
con la sinistra man su 'l desco getta
del'esca d'or la perfida scrittura.
Questo magico don fra tante feste
gettò nel mezzo al'assemblea celeste.

48

Lasciaro i cibi e da' fumanti vasi
le destre sollevar tutti coloro
e, di stupore attoniti rimasi,
presero a contemplar quel sì bell'oro.
Donde si vegna non san dir, ma quasi
un presente del fato ei sembra loro;
e dì di sé gli alletta al bel possesso,
che par ch'Amor si sia nascosto in esso.

49

Ma sovra quanti il videro e 'l bramaro
le tre cupide dee n'ebber diletto
e, stimulate da desire avaro
che di quel sesso è natural difetto,
la sollecita man steser di paro
ala rapina del leggiadro oggetto
e con gara tra lor non ben concorde
sene mostraro a meraviglia ingorde.

50

Quando lo dio, che del signor d'Anfriso
guardò gli armenti e che conduce il giorno,
meglio in esso drizzando il guardo fiso
vide le lettre ch'avea scritte intorno;
e lampeggiando in un gentil sorriso,
di purpuree scintille il volto adorno,
fè, dele note peregrine e nove
sculte su la corteccia, accorger Giove.

51

Letta l'inscrizzion di quella scorza,
le troppo avide dee cessaro alquanto
e cangiar volto e 'nsu la mensa a forza
il deposito d'or lasciaro intanto.
Cede il merto al desio, ma non s'ammorza
l'ambizion ch'aspira al primo vanto.
San ch'averlo non può se non sol una,
il voglion tutte e nol possiede alcuna.

52

Degli assistenti l'immortal corona
nova confusion turba e scompiglia.
Con vario disparer ciascun ragiona,
chi di qua, chi di là freme e bisbiglia.
Sovra ciò si contende e si tenzona,
omai tutta sossovra è la famiglia.
Tutta ripiena è già d'alto contrasto
la gran sollennità del nobil pasto.

53

Giunon superba è sì di sua grandezza,
che più del'altre due degna s'appella.
Né sé cotanto Pallade disprezza,
che non pretenda la vittoria anch'ella.
Vener, ch'è madre e dea dela bellezza,
e sa ch'è destinato ala più bella,
ridendosi fra sé di tutte loro,
spera senz'altro al mirto unir l'alloro.

54

Tutti gli dei nel caso hanno interesse
e son divisi a favorir le dee.
Marte vuol sostener con l'armi istesse,
che 'l ricco pomo a Citerea si dee.
Apollo di Minerva in campo ha messe
le lodi e chiama l'altre invide e ree.
Giove, poich'ascoltato ha ben ciascuno,
parzial dela moglie, applaude a Giuno.

55

Alfin, perch'alcun mal pur non seguisse
in quel drappel ch'al paragon concorre,
bramoso di placar tumulti e risse
e querele e litigi in un comporre,
"Le cose belle (a lor rivolto disse)
son sempre amate, ognun v'anela e corre,
ma quanto altrui più piace il bello e 'l bene,
con vie maggior difficoltà s'ottiene.

56

Ubbidir fia gran senno, ed è ben dritto
ch'ala ragion la passion soggiaccia,
e ch'a quanto si vole ed è prescritto
dala necessità si sodisfaccia;
che seben di chi regna alcuno editto
talor troppo severo avien che spiaccia,
non ostante il rigor con cui si regge,
giusto non è di violare la legge.

57

Parlo a voi, belle mie, tutte rivolte
ala pretension d'un pregio istesso.
Pur non può questo pomo esser di molte,
sapete ad una sola esser promesso.
Or se le bellezze eguali in voi raccolte
ponno egualmente aver ragione in esso,
né voglion l'altre due dirsi più brutte,
come possibil fia contentar tutte?

58

Giudice delegar dunque conviensi,
saggio conoscitor del vostro merto,
a cui conforme il guiderdon dispensi
con occhio sano e con giudicio certo.
A lui quanto di bello ascoso tiensi
vuolsi senz'alcun vel mostrar aperto,
perché le differenze, onde garrite,
distinguer sappia e terminar la lite.

59

Io renunzio al'arbitrio; esser tra voi
arbitro idoneo inquanto a me non posso,
ché s'ad una aderisco, io non vo' poi
l'odio del'altre due tirarmi addosso.
Amo dipar ciascuna, i casi suoi
pari zelo a curar sempre m'ha mosso.
Potess'io trionfanti e vincitrici
vedir così dipar tutte felici.

60

Pastor vive tra' boschi in Frigia nato,
ma sol nel nome e nel'ufficio è tale,
ché, s'ancor non tenesse invido fato
chiuso tra rozze spoglie il gran natale,
al mondo tutto il suo sublime stato
conto fora e 'l legnaggio alto e reale.
Di Priamo è figlio, imperador troiano,
di Ganimede mio maggior germano.

61

Paride ha nome, e non è forse indegno
ch'egli tra voi la question decida,
poich'ha l'integrità pari al'ingegno
da poter acquetar tanta disfida.
Sconosciuto si sta nel patrio regno
dove il Gargaro altier s'estolle in Ida.
Itene dunque là, colui che porta
l'ambasciate del ciel vi sarà scorta".

62

Così diss'egli e con applauso i detti
raccolti fur del gran rettor superno,
e scritti per man d'Atropo fur letti
nel bel diamante del destino eterno;
e le dive a quel dir sedar gli affetti,
pur di vento pascendo il fasto interno.
Già s'apprestano a prova al gran viaggio,
e ciascuna s'adorna a suo vantaggio.

63

L'altera dea, che del gran rege è moglie,
del'usato s'ammanta abito regio.
Di doppie fila d'or son quelle spoglie
tramate tutte, e d'oro han doppio fregio;
sparse di soli e folgorando toglie
ogni sole al sol vero il lume e 'l pregio.
Di stellante diadema il capo cinge,
e lo scettro gemmato in man si stringe.

64

Quella ch'Atene adora, ha di bei stami
di schietto argento e semplice la vesta,
riccamata di tronchi e di fogliami
di verde olivo e di sua man contesta.
Tien d'una treccia degl'istessi rami
il limpid'elmo incoronato in testa.
Sostien l'asta la destra e 'l braccio manco
di scudo adamantin ricopre il fianco.

65

L'altra, ch'ha ne' begli occhi il foco e 'l telo,
d'artificio fabril pompa non volse,
ma d'un serico apena azzurro velo
la nudità de' bianchi membri involse;
color del mare, anzi color del cielo,
quello la generò, questo l'accolse;
leggier leggiero e chiaramente oscuro
che facea trasparer l'avorio puro.

66

Prende Mercurio il pomo, agili e presti
ponsi ale tempie i vanni ed a' talloni,
e la verga fatal, battendo questi,
si reca in man ch'attorti ha duo, dragoni.
Per ben seguirlo, l'emule celesti
lascian colombe e nottule e pavoni,
ed è lor carro un nuvoletto aurato
lievemente da zefiro portato.

67

Dipinge un bel seren l'aria ridente
di vermiglie fiammelle e d'aurei lampi,
e qual sol, che calando in occidente
di rosati splendori intorno avampi,
segnando il tratto del sentier lucente
indora e inostra i suoi cerulei campi,
mentre condotta dala saggia guida
la superbia del ciel discende in Ida.

68

Stassene in Ida ale fresch'ombre estive
Paride assiso a pasturar le gregge,
là dove intorno in mille scorze vive
il bel nome d'Enon scritto si legge.
Misera Enon, se dele belle dive
giudice eletto ei la più bella elegge,
di te che fia, ch'hai da restar senz'alma?
Ahi che perdita tua fia l'altrui palma!

69

Voglion costor la tua delizia cara,
lassa, rapirti, e 'l tuo tesor di braccio.
Vanne dunque infelice, e pria ch'avara
fortuna un tanto ardor converta in ghiaccio,
quanto gioir sapesti, or tanto impara
a dolerti di lui che scioglie il laccio;
e mentre puoi, dentro il suo grembo accolta
bacia Paride tuo l'ultima volta.

70

A piè d'un antro nel più denso e chiuso
siede il pastor dela solinga valle.
La mitra ha in fronte e, qual de' Frigi è l'uso,
barbaro drappo annoda insu le spalle.
Lungo il chiaro Scamandro erra diffuso
l'armento fuor dele sbarrate stalle;
e 'l verde prato gli nutrisce e serba
di rugiada conditi i fiori e l'erba.

71

Egli gonfiando la cerata canna,
v'accorda al dolce suon canto conforme.
Per gran dolcezza, le palpebre appanna
il fido cane e non lontan gli dorme.
Tacciono intente a piè dela cappanna
ad ascoltarlo le lanose torme.
Cinti le corna di fiorite bacche
obliano il pascolar giovenchi e vacche.

72

Quand'ecco declinar la nube ei vede
che 'l fior d'ogni bellezza in grembo serra,
e rotando colà dov'egli siede
di giro in giro avicinarsi a terra.
Ecco ala volta sua drizzano il piede
accinte a nova e dilettosa guerra
le tre belle nemiche, a' cui splendori
rischiara il bosco i suoi selvaggi orrori.

73

In rimirando sì mirabil cosa
stringe le labra allor, curva le ciglia,
e su la fronte crespa e spaventosa
scolpisce col terror la meraviglia.
Sovra il tronco vicin la testa posa,
ed al tronco vicin si rassomiglia.
La canzon rompe, e lascia intanto muta
cadersi a piè la garrula cicuta.

74

"Fortunato pastor, giovane illustre,
(il messaggio divin dissegli allora)
il cui gran lume ascoso in vel palustre
lo stesso ciel nonché la terra onora;
degno ti fa la tua prudenza industre
di venture a mortal non date ancora.
A te con queste dee Giove mi manda,
e che tu sia lor giudice comanda.

75

Vedi questo bel pomo? Ala contesa
quello, che fu suggetto, or premio fia.
Colei l'avrà che 'n così bella impresa
di bellezza maggior dotata sia.
Donalo pur senza temere offesa
a chi 'l merita più, ch'a chi 'l desia.
Ben sopir saprai tu discordie tante
come bel, com'esperto e com'amante."

76

Tanto dic'egli, e l'aureo pomo sporto
consegna al'altro, ilqual fra gioia e tema
in udir quel parlar facondo e scorto,
e 'n risguardar quella beltà suprema,
il prende e tace, e sbigottito e smorto
fuor di sestesso impallidisce e trema.
Pur fra tanto stupor che lo confonde,
moderando i suoi moti alfin risponde:

77

"La conoscenza ch'ho del'esser mio,
o dele stelle ambasciador felice,
queste gran novità, che qui vegg' io,
al mio basso pensier creder disdice;
gloria, di cui godere ad alcun dio
maggior forse lassù gloria non lice
che dal ciel venga a povero pastore
tanto bene insperato e tanto onore.

78

Ma ch'abbia a proferir lingua mortale
decreto in quel ch'ogn'intelletto eccede,
quanto alo stato mio sì diseguale
più mi rivolgo ei tanto meno il crede.
Nulla degnar mi può di grado tale,
senon l'alto favor che mel concede.
Pur, se ragion di merito mi manca,
grazia celeste ogni viltà rinfranca.

79

Può ben d'umane cose ingegno umano
talor deliberar senza periglio.
Trattar cause divine ardisce invano
senz'aiuto divin saggio consiglio.
Come dunque poss'io rozzo e villano
nonché le labbra aprir, volgere il ciglio,
dove l'istessa ancor somma scienza
non seppe in ciel pronunziar sentenza?

80

Com'esser può che l'esquisita e piena
perfezzion dela beltà conosca
uom, ch'oltre la caligine terrena
tra queste verdi tenebre s'imbosca,
dov'altro mai di sua luce serena
non n'è dato mirar ch'un'ombra fosca?
Certo inabil mi sento e mi confesso
di tali estremi a misurar l'eccesso.

81

S'avessi a giudicar fra toro e toro,
o decretar fra l'una e l'altra agnella,
discerner saprei ben forse di loro
qual si fusse il migliore e la più bella.
Ma così belle son tutte costoro,
che distinguer non so questa da quella.
Tutte egualmente ammiro e tutte sono
degne di laude eguale e d'egual dono.

82

Dogliomi, che tre pomi aver vorrei
qual'è quest'un ch'a litigar l'ha mosse
ch'allor giusto il giudizio io crederei,
quando commun la lor vittoria fosse.
Aggiungo poi che degli eterni dei
paventar deggio pur l'ire e le posse,
poiché di questa schiera aventurosa
due son figlie di Giove e l'altra è sposa.

83

Ma daché tali son gli ordini suoi
forza immortale il mio difetto scusi,
purché dele due vinte alcuna poi
non sia ch'irata il troppo ardire accusi.
Intanto, o belle dee, se pur a voi
piace che 'l peso imposto io non ricusi,
quel chiaro sol che tanta gloria adduce
ritenga il morso ala sfrenata luce".

84

Qui Cillenio s'apparta, ed ei restando
chiama tutti a consiglio i suoi pensieri,
e gli spirti al gran caso assottigliando
comincia ad aguzzar gli occhi severi.
Già s'apparecchia ala bell'opra, quando
con atti gravi e portamenti alteri
di real maestà gli s'avicina
e gli prende a parlar la dea Lucina:

85

"Poich'al giudicio uman si sottomette
dala giustizia tua fatta secura
la ragion, che le prime e più perfette
meraviglie del ciel vince ed oscura,
dela beltà, ch'eletta è fra l'elette,
dei conoscer, pastor, la dismisura;
ma conosciuta poi, riconosciuta
convien che sia con la mercé devuta.

86

E s'egli è ver che l'eccellenza prima
possa sol limitar la tua speranza
di mai meglio veder, vista la cima
e 'l colmo di quel bel ch'ogni altro avanza,
accioché l'occhio tuo, ch'or si sublima
sovra l'umana e naturale usanza,
non curi Citerea più né Minerva,
in me rimira e mie fattezze osserva.

87

Tu discerni colei, se me discerni,
cui cede ogni altro nume i primi onori,
imperadrice degli eroi superni,
consorte al gran motor re de' motori.
Vedi il più degno infra i suggetti eterni,
che 'l cielo ammiri o che la terra adori;
innanzi ai raggi dela cui beltade
lo stupor di stupor stupido cade.

88

L'istesso sol d'idolatrarmi apprese
di scorno spesso e di vergogna tinto;
e 'l mio più volte il suo splendore accese,
l'estinse pria, poi ravivollo estinto.
Negar dunque non puoi di far palese
quel lume altrui che 'l maggior lume ha vinto,
senza accusar di cecità la luce
di colui che per tutto il dì conduce".

89

Rompe allora il silenzio ed apre il varco
ala voce il pastor con questo dire:
"Poich'a' suoi cenni col commesso incarco
legge di ciel mi sforza ad ubbidire,
non fia ritroso ad onorarvi o parco,
gloriosa reina, il mio desire,
del cui pronto voler vi farà noto
un schietto favellar libero il voto.

90

Io vi giudico già tanto perfetta,
che più nulla mirar spero di raro,
talché 'l merto di quel ch'a voi s'aspetta,
contentar ben vi può, ch'a tutti è chiaro,
senza bisogno alcun, ch'io vi prometta
ciò che tor non vi dee giudice avaro,
onde cosa la speme abbia a donarvi,
che 'n effetto il dever non può negarvi.

91

Ben volentier, se senza ingiuria altrui
così determinar fusse in mia mano,
concederei questo bel pomo a vui,
né dal dritto giudicio andrei lontano.
Ma mi convien, com'ammonito fui
dal facondo corrier del re sovrano,
darlo a colei ch'al'altre il pregio invola;
e voi scesa dal ciel non siete sola".

92

L'orgogliosa moglier del gran tonante
sì fatte lodi udir non si scompiacque,
e senza trionfar già trionfante
attese il fin di quel certame e tacque.
Ed ecco allor, colei trattasi avante
che senza madre del gran Giove nacque,
d'onestà virginal sparsa le gote
chiede il pomo al pastor con queste note:

93

"Tutti i mortali e gl'immortali in questo
sospetti a mio favor sarebbon forse.
Paride sol ch'amico è del'onesto
e dal giusto e dal ver giamai non torse,
degno è d'ufficio tale, ed io ben resto
paga d'un tant'onor che 'l ciel gli porse,
poiché non so da cui più certo or io
mi potessi ottener quanto desio.

94

Tu, che lume cotanto hai nela mente,
ed appregi valore e cortesia,
rivolgerai nel'animo prudente
tutto ciò ch'io mi vaglia e ciò ch'io sia,
ond'oggi crederò che facilmente
vincitrice farai la beltà mia,
quell'ossequio e quel dritto a me porgendo
che merito, che bramo e che pretendo.

95

Non son non son qual credi; in me vedere
di Vener forse o di Giunon pensasti
lusinghe false ed apparenze altere,
i risi e i vezzi e le superbie e i fasti?
Cose tu vedi essenziali e vere,
vedi Minerva e tanto sol ti basti,
senza cui nulla val regno o ricchezza,
fuor del cui bel difforme è la bellezza.

96

Virtù son io, di cui non altro mai
vide uom mortal ch'una figura, un'orma.
A te però con disvelati rai
ne rappresento la corporea forma;
da cui, se saggio sei, prender potrai
dela vera beltà la vera norma
e conoscer quaggiù fuor d'ogni nebbia
quelche seguir, quelch'adorar si debbia.

97

Forse mentre tu miri ed io ragiono,
per troppo meritar mi stimi indegna,
e la vergogna di sì picciol dono
ti fa parer che poco a me convegna.
Ma io mi scorderò di quelche sono,
solché la palma di tua mano ottegna.
Purch'ella oggi da te mi sia concessa,
per amor tuo sconoscerò mestessa."

98

Dala virtù di quel parlar ferito
Paride parer cangia e pensier muta
e, dal presente oggetto instupidito,
la memoria del'altro ha già perduta:
"Diva (risponde) il merito infinito
di cotanta beltà non più veduta
dona al mio cieco ingegno occhi abastanza
da poter ammirar vostra sembianza.

99

Io ben conosco che quel ch'oggi appare
in quest'ombroso e solitario chiostro
è puro specchio e lucido essemplare
dela divinità ch'a me s'è mostro.
Ma se vittime e voti, incensi ed are
consacra il mondo al simulacro vostro,
qual sacrificio or v'offerisco e porgo
io, che vivo e non finto il ver ne scorgo?

100

Il presentarvi ciò che vi conviene
è dever necessario e giusta cosa
e l'istessa ragion che v'appartiene,
vi fa senza il mio dir vittoriosa.
La speranza del ben potete bene
concepire omai lieta e baldanzosa.
Intanto in aspettandone l'effetto
purghi la grazia vostra il mio difetto".

101

Queste offerte cortesi assai possenti
furo nel cor dela più saggia dea.
E qual più certo omai di tali accenti
pegno, i suoi dubbi assecurar potea?
Da parole sì dolci e sì eloquenti,
con cui quasi il trofeo le promettea,
presa rimase, e fu delusa anch'essa
la sapienza e l'eloquenza istessa.

102

Ma la madre d'Amor, nel cui bel viso
ogni delizia lor le Grazie han posta,
quel ciglio ch'apre in terra il paradiso,
verso il garzon volgendo a lui s'accosta
e la serenità del dolce riso
d'una gioconda affabiltà composta,
la favella de' cori incantatrice
lusinghevole scioglie e così dice:

103

"Paride, io mi son tal che nel'acquisto
del desiato e combattuto pomo
senza temer d'alcun successo tristo
rifiutar non saprei giudice Momo;
te quanto meno, in cui sovente ho visto
accortezza e bontà più che 'n altr'uomo;
quanto più volentier senza spavento
al foro tuo di soggiacer consento?

104

In terra o in ciel tra più tenaci affetti
qual cosa più sensibile d'amore?
qual possanza o virtù, ch'abbia ne' petti
più dele forze sue forza e valore?
Or che pensi? che fai? che dunque aspetti?
dove, dove è il tuo ardir? dove il tuo core?
Dimmi come avrai core e come ardire
da poterti difendere o fuggire?

105

Se 'l pomo per cui noi stiam qui pugnando,
come senso non ha, potesse averlo,
tu lo vedresti a me correr volando,
né fora in tua balia di ritenerlo.
Poich'e' venir non pote, io tel dimando,
sicome degna sol di possederlo.
Qualunque don la mia beltà riceve
è tributo d'onor che le si deve.

106

La vista, il veggio ben, del mio bel volto
t'ha dolcemente l'anima rapita.
Or riprendi gli spirti, e 'n te raccolto
il cor rinfranca e la virtù smarrita.
Quelche mirabil'è mirato hai molto,
comprender non si può luce infinita.
Gli occhi tuoi che veduto oggi tropp'hanno,
ad ogni altro splendor ciechi saranno.

107

Faccian prima però di quanto han scorto
testimoni del ver, fede ala bocca,
accioché poi sentenziando il torto
non s'abbia a dimostrar maligna o sciocca.
E s'è dever di giudicante accorto
a ciascun compartir ciò che gli tocca,
bella colei dichiara infra le belle
che di beltà sovrasta al'altre stelle.

108

Poiché l'istesso dono a sé mi chiama,
il dritto il chiede e la ragione il vole;
poiché del senno tuo la chiara fama
t'obliga ad esseguir quelch'egli suole;
s'a quant'oggi da me si spera e brama
non corrisponderan le tue parole,
la giustizia dirò ch'ingiusta sia,
e che la verità dica bugia".

109

Vinto il pastor da parolette tali
e da tanta beltà legato e preso,
a que' novi miracoli immortali
senza spirito o polso è tutto inteso.
Amor gli ha punto il cor di dolci strali
e di dolci faville il petto acceso,
onde con sospirar profondo e rotto
geme, langue, stupisce e non fa motto.

110

Paride, a che sospiri o perché taci?
Dove bisogna men, più ti confondi.
Tu desti al'altre due pegni efficaci
di tua promessa; a questa or che rispondi?
Sono i silenzi tuoi nunzi loquaci
d'effetti favorevoli e secondi?
Dunque del tuo tacer s'appaghi e goda,
se di ciò la cagion le torna in loda.

111

Pensa, né sa di quella schiera eterna
qual beltà con più forza il cor gli mova,
che mentre gli occhi trasportando alterna
or a questa or a quella, egual la trova.
Là dove pria s'affisa e 'l guardo interna
ivi si ferma, e quelch'ha innanzi approva.
Volgesi al'una e bella apien la stima
poscia al'altra passando oblia la prima.

112

Bella è Giunone e 'l suo candore intatto
di perla oriental luce somiglia.
Ha leggiadro ogni moto, accorto ogni atto
del maggior dio la bellicosa figlia.
Ma tien dela bellezza il ver ritratto
la dea d'amor nel volto e nele ciglia
e tutta, ovunque a risguardarla prenda,
dale chiome ale piante è senza emenda.

113

Un rossor dal candor non ben distinto
varia la guancia e la confonde e mesce.
Il ligustro di porpora è dipinto,
là dove manca l'un, l'altra s'accresce.
Or vinto il giglio è dala rosa, or vinto
l'ostro appar dal'avorio, or fugge, or esce.
Ala neve colà la fiamma cede,
qui la grana col latte inun si vede.

114

D'un nobil quadro di diamante altera
la fronte e chiara alpar del ciel lampeggia.
Quivi Amor si trastulla e quindi impera
quasi in sublime e spaziosa reggia.
Gli albori l'alba, i raggi ogni altra sfera
da lei sol prende e 'n lei sol si vagheggia,
il cui cristallo limpido riluce
d'una serena e temperata luce.

115

Le luci vaghe a meraviglia e belle
senz'alcun paragone uniche e sole,
scorno insieme e splendor fanno ale stelle,
in lor si specchia, anzi s'abbaglia il sole.
Dal'interne radici i cori svelle
qualor volger tranquillo il ciglio suole.
Nel tremulo seren che 'n lor scintilla,
umido di lascivia il guardo brilla.

116

Per dritta riga da' begli occhi scende
il filo d'un canal fatto a misura,
da' cui fior chi s'appressi, invola e prende
più che non porge, aura odorata e pura.
Sotto, ove l'uscio si disserra e fende
del'erario d'amore e di natura,
apre un corallo in due parti diviso
angusto varco ale parole, al riso.

117

Né di sì fresche rose in ciel sereno
ambiziosa Aurora il crin s'asperse,
né di sì fini smalti il grembo pieno
Iride procellosa al sole offerse,
né di sì vive perle ornato il seno
rugiadosa cocchiglia al'alba aperse,
che la bocca pareggi, ov'ha ridente
di ricchezze e d'odori un oriente.

118

Seminate in più sferze e sparse in fiocchi
sen van le fila innanellate e bionde
de' capei d'or, ch'a bello studio sciocchi
lasciva trascuragine confonde.
Or su gli omeri vaghi or fra' begli occhi
divisati e dispersi errano in onde;
e crescon grazia ale bellezze illustri
arti neglette e sprezzature industri.

119

Dele ninfe del ciel gli occhi e le guance
considerate, e le proposte udite,
mentr'ancor vacillante in dubbia lance
del concorso divin pende la lite,
più non vuole il pastor favole o ciance,
più non cura mirar membra vestite,
ma più dentro a spiar di lor beltade
la curiosità gli persuade.

120

"Poiché delpari in quest'agon si giostra,
più oltre (dice) essaminar bisogna,
né diffinir la controversia vostra
si può, se 'l vel non s'apre ala vergogna;
perché tal nel difuor bella si mostra,
che senza favellar dice menzogna.
Pompa di spoglie altrui sovente inganna
e d'un bel corpo i mancamenti appanna.

121

Ciascuna dunque si discinga e spogli
de' ricchi drappi ogni ornamento, ogni arte,
perché la vanità di tali invogli
nele bellezze sue non abbia parte."
Giunon s'oppone, e con superbi orgogli
ciò far ricusa e traggesi in disparte.
Minerva ad atto tal non ben si piega,
tien gli occhi bassi e per modestia il nega.

122

Ma la prole del mar, che ne' cortesi
gesti ha grazia ed ardir quanto aver pote,
"esser vogl'io la prima a scior gli arnesi,
(prorompe) ed a scoprir le parti ignote,
onde chiaro si veggia e si palesi
che non solo ho begli occhi e belle gote,
ma ch'è conforme ancora e corrisponde
al bello esterior quelche s'asconde."

123

"Orsù (Palla soggiunse) ecco mi svesto,
ma pria che scinte abbiam le gonne e i manti,
fa tu, pastor, ch'ella deponga il cesto,
se non vuoi pur che per magia t'incanti."
Replicò l'altra: "Io non ripugno a questo,
ma tu che di beltà vincer ti vanti,
perché non lasci il tuo guerriero elmetto
e lo spaventi con feroce aspetto?

124

Forse che 'n te si noti e si riprenda
degli occhi glauchi il torvo lume hai scorno?"
Impon Paride allor, che si contenda
senza celata e senza cinto intorno.
Restò l'aspetto lor, tolta ogni benda,
senz'alcuna ornatura assai più adorno.
Sì di sestesse e non d'altr'armi altere
nel grand'arringo entrar le tre guerrere.

125

Quando le vesti alfin que' tre modelli
dela perfezzione ebber deposte
e de' lor corpi immortalmente belli
fur le parti più chiuse al guardo esposte,
vider tra l'ombre lor lumi novelli
le caverne più chiuse e più riposte;
ne presente vi fu creata cosa,
che non sentisse in sé forza amorosa.

126

Il sol ritenne il corso al gran viaggio,
inutil fatto ad illustrare il mondo,
perché vide offuscato ogni suo raggio
da splendor più sereno e più giocondo.
Volea scendere in terra a fargli omaggio,
ambizioso pur d'esser secondo;
poi tra sé si pentì del'ardimento,
e d'ammirarlo sol restò contento.

127

Onorata la terra e fatta degna
d'abitatrici sì beate e sante,
con bella gratitudine s'ingegna
di rispondere in parte a grazie tante.
Di bei semi d'amor gravida impregna
e partorisce a que' begli occhi avante.
Ringiovenì natura e primavera
germogliò d'ognintorno ove non era.

128

Contro i lor naturali aspri costumi
generar dolci poma i pini irsuti.
Nacquer viole da' pungenti dumi,
fiorir narcisi insu i ginebri acuti.
Scaturir mele e corser latte i fiumi,
e 'l mar n'ebbe più ricchi i suoi tributi.
Sparser zaffiro i rivi, argento i fonti,
fur d'ostro i prati e di smeraldo i monti.

129

Lascia il canto ogni augel dela foresta
per pascer gli occhi di sì lieto oggetto.
L'acque loquaci in quella rupe e 'n questa
fermaro il mormorio per gran diletto.
L'aere confuso di dolcezza arresta
i sussurri del'acque al lor cospetto.
Trema al dolce spettacolo ogni belva,
e con attenzion tace la selva.

130

Tacea, senon che gli arbori felici
allievi dela prossima palude,
mossi talor da venticelli amici
bisbigliavano sol ch'erano ignude.
E voi di tanta gloria spettatrici
sentiste altro velen, vipere crude,
onde tornando ai vostri dolci amori
vi saettaste con le lingue i cori.

131

Le naiadi lascive, i fauni osceni
abbandonano gli antri, escon del'onde.
Ciascun per far con gli occhi ai bianchi seni
qualche furto gentil, presso s'asconde.
Vegeta amor ne' rozzi sterpi, e pieni
d'amor ridono i fior, l'erbe e le fronde.
Ai sassi esclusi dal piacere immenso
spiace sol non avere anima e senso.

132

Paride istesso in quelle gioie estreme
non vive no, senon per gli occhi soli.
Tanto eccesso di luce il miser teme
non la vista e la vita inun gl'involi.
Sguardo non ha per tanti raggi insieme,
né cor bastante a sostener tre soli.
Triplicato balen gli occhi gli serra,
un sole in cielo e tre ne vede in terra.

133

"O dei (dicea) che meraviglie veggio?
chi del'ottimo a trar m'insegna il meglio?
Son prodigi del ciel? sogno o vaneggio?
qual di lor lascio o qual fra l'altre sceglio?
Deh poiché 'nvan, per far ciò che far deggio,
i sensi affino e l'intelletto sveglio,
in tanto dubbio alcun de' raggi vostri,
o bellezze divine, il ver mi mostri.

134

Perché non son colui che d'occhi pieno
la giovenca di Giove in guardia tenne?
Avessi in fronte, avessi intorno almeno
quante luci la Fama ha nele penne.
Fossi la notte o fossi il ciel sereno,
poiché dal ciel tanta bellezza venne,
per poter rimirar cose sì belle
con tante viste quante son le stelle.

135

Qual di santa onestà pudico lume
in quella nobil vergine sfavilla?
quanto di venerando ha l'altro nume?
qual d'augusto decoro aria tranquilla?
Ma qual vago fanciul batte le piume
intorno a questa e che dolcezza stilla?
Par che ritenga in sé dolce attrattivo
non so che di ridente e di festivo.

136

Ciò però non mi basta, ancor sospeso
un ambiguo pensier m'aggira e move.
Mentr'or a questa, or son a quella inteso,
bramo il sommo trovar, né so ben dove.
S'io non vo' di sciocchezza esser ripreso,
conviemmene veder più chiare prove.
Fia d'uopo investigar meglio ciascuna,
e mirarle in disparte ad una ad una."

137

Fa, così detto, allontanar le due,
e soletta ritien seco Giunone,
laqual promette lui, che se le sue
bellezze ale bell'emule antepone,
principe alcun giamai non fia né fue
più di scettri possente e di corone;
e ch'ogni gente al giogo suo ridutta,
il farà possessor del'Asia tutta.

138

Spedito di costei, Pallade appella,
che 'n aspetto ne vien bravo e virile,
e patteggiando gli promette anch'ella
gloria cui non fia mai gloria simile;
e che se lei dichiarerà più bella,
farallo invitto in ogni assalto ostile,
chiaro nel'armi e sovra ogni guerriero
inclito di trofei, di palme altero.

139

"No no, cosa in me mai forza non ebbe
da poter la ragion metter di sotto.
Tribunal mercenario il mio sarebbe
s'oggi a venderla qui fossi condotto.
Giudice giusto parteggiar non debbe,
né per prezzo o per premio esser corrotto.
Perdon di vero dono il nome entrambi,
s'avien che con l'un don l'altro si cambi."

140

Così risponde, e nel medesmo loco
accenna a Citerea che vegna in campo.
Ella comparve e di soave foco
nel teatro frondoso aperse un lampo.
Da quell'oggetto incontr'a cui val poco
a qual più freddo cor difesa o scampo,
non sa con pena di diletto mista
l'ingordo spettator sveller la vista.

141

La qualità di quelle membra intatte
quai descriver saprian pittori industri?
Rendono oscuro e l'alabastro e 'l latte,
vincono i gigli, eccedono i ligustri.
Piume di cigno e nevi non disfatte
son foschi essempi ai paragoni illustri.
Vedesi lampeggiar nel bel sembiante
candor d'avorio e luce di diamante.

142

"Eccomi (disse) omai fa che cominci
a specolar con diligenza il tutto,
e dimmi se trovar gli occhi de' linci
sapriano in beltà tanta un neo di brutto.
Ma mentre ogni mia parte e quindi e quinci
rimiri pur per divenirne instrutto,
vo' che gli occhi e gli orecchi in me rivolti,
le fattezze mirando, i detti ascolti.

143

So che sei tal che signoria non brami,
né di scettri novelli uopo ti face,
ch'ad appagar del tuo desir le fami
il gran regno paterno è ben capace.
Da guerreggiar non hai, poiché i reami
e di Frigia e di Lidia or stanno in pace,
né dei tu, d'ozi amico e di riposi,
altri conflitti amar che gli amorosi.

144

Le battaglie d'amor non son mortali,
né s'essercita in lor ferro omicida.
Dolci son l'armi sue, son dolci i mali,
senza sangue le piaghe e senza strida.
Ma non pertanto ad imenei reali
denno aspirar le villanelle d'Ida,
né dee povera ninfa ardere il core
a chi pote obligar la dea d'amore.

145

Ad uom che d'alta stirpe origin tragge,
sposa non si convien di bassa sorte.
Nulla teco hanno a far nozze selvagge,
nulla confassi a te rozza consorte.
Cedano a' tetti illustri inculte piagge,
ceda l'umil tugurio al'ampia corte.
Curar non dee di contadini amori
pastor fra' regi e rege infra' pastori.

146

Tu fra quanti pastor guardano ovili
sei per forma il più degno e per etate;
ma le fortune tue rustiche e vili
mi fan certo di te prender pietate.
Peregrini costumi e signorili,
pregio di gioventù, fior di beltate,
deh! che giovano a te, se gli anni verdi
e te medesmo inutilmente perdi?

147

Perché tra boschi e rupi e piante e sassi
in questa solitudine romita
così senz'alcun prò corromper lassi
la primavera tua lieta e fiorita?
Perché più tosto a ben menar non passi
in qualche città nobile la vita,
cangiando in letti aurati erbette e fiori,
e 'n donzelle e scudier pecore e tori?

148

Giovinetta sì bella in Grecia vive
che di bellezza ogni altra donna eccede;
né sol fra le corinzie e fra l'argive
questo publico onor le si concede,
ma poco inferior tiensi ale dive
e quasi in nulla a memedesma cede.
Questa agli studi miei forte inclinata,
ama, amica d'amor, d'essere amata.

149

Lasciò Giove di Leda il ventre greve
di questo novo sol di cui favello,
quando in sen le volò veloce e lieve
trasfigurato in nobil cigno e bello.
Candida e pura è sì com'esser deve
fanciulla nata d'un sì bianco augello.
Molle e gentil come nutrita a covo
dentro la scorza tenera d'un ovo.

150

Ha tanta di beltà fama costei,
tanto poi dal'effetto il grido è vinto,
che Teseo il gran campion s'armò per lei
e lascionne di sangue il campo tinto.
Chiedeano i felicissimi imenei
d'Argo i principi aprova e di Corinto,
ma Menelao fra gli altri il più gradito
parve d'Elena sol degno marito.

151

Pur se ti cal di conquistarla e vuoi
con un pomo mercar tanto diletto,
la ricompensa de' servigi tuoi
fia di donna sì bella il grembo e 'l letto.
Al primo incontro sol degli occhi suoi
farti di lei signore io ti prometto.
Farò, ch'abbandonato il lido greco,
dovunque più vorrai, ne venga teco.

152

Là di Lacedemonia al'alta reggia
tu ten'andrai per via spedita e corta.
Ingegnati sol tu ch'ella ti veggia,
lascia cura del resto ala tua scorta.
Intutto ciò ch'un tanto affar richeggia,
Amor fido ministro, io duce accorta,
co' suoi compagni e con le serve mie
la verremo a dispor per mille vie."

153

Qui tacque, e fiamma de' begli occhi uscio
atta a mollir del Caucaso l'asprezza,
ond'egli ogni altro bel posto in oblio
a quell'incomparabile bellezza,
sforzato dal poter di quel gran dio
ch'ogni cor vince, ogni riparo spezza,
baciato il pomo e 'n lei le luci affisse,
reverente gliel porse e così disse:

154

"O bella oltre le belle, o sovra quante
ha belle il ciel, bellissima Ciprigna;
foco gentil d'ogni felice amante,
madre d'ogni piacer, stella benigna;
sola ben degna a cui s'inchini avante
l'Invidia istessa perfida e maligna;
se null'altra beltà la vostra agguaglia,
ragion è ben che sua ragion prevaglia.

155

Sebene a sì gran luce umil farfalla,
il più di voi mi taccio e 'l men n'accenno,
audace il dico e so che 'n me non falla
dal sentier dritto traviato il senno.
Perdonimi Giunon, scusimi Palla
gareggiar vosco disputar non denno.
Giudico che voi sola al mondo siate
l'idea nonché la dea dela beltate.

156

Basta ben ch'ala gloria a voi concessa
fu lor dato poggiar pur col pensiero;
né fu lor poco onor che fusse messa
la certezza in bilancio, in dubbio il vero.
Or di mia bocca la Giustizia istessa
publica il suo parer chiaro e sincero.
L'obligo suo, per la mia mano offerto,
questo pomo presenta al vostro merto".

157

Atteggiata di gioia, ebra di fasto
Venere il prende, indi volgendo i lumi,
"cedetemi l'onor del gran contrasto,
(disse ridente ai duo scornati numi)
confessa pur Giunon ch'io ti sovrasto,
e ch'a torto pugnar meco presumi.
Né spiaccia a te, Bellona, a vincer usa,
di chiamarti da me vinta e confusa.

158

Pensò l'una di voi di superarmi
per esser forse in ciel somma reina.
E credea l'altra con sue lucid'armi
di spaventar la mia beltà divina.
Ma poco vi giovò, per quanto parmi,
opporsi al ver ch'al paragon s'affina.
E sì possenti dee vie più m'aggrada
senza scettro aver vinte e senza spada.

159

Venite Grazie mie, venite Amori,
vigorose mie forze, invitte squadre.
Incoronate de' più verdi allori
la vostra omai vittoriosa madre.
Ite cantando in versi alti e sonori,
e rispondano al suon l'aure leggiadre.
Viva amor, viva amor, che 'n cielo e 'n terra
dela pace trionfa e dela guerra."

160

Mentre intento il pastore ascolta e mira
la bella, a cui 'l bel pregio è tocco in sorte,
le due sprezzate dee ver lui con ira
volgon le luci dispettose e torte.
Orgoglio ogni lor atto e sdegno spira,
quasi ruina minacciante e morte.
Giunon però dissimular non pote
la rabbia sì, che non la sfoghi in note:

161

"Misero, e come del suo proprio velo
il cieco arcier (dicea) gli occhi t'involse,
siché dela ragion perduto il zelo,
il bel lume del ver scorger ti tolse?
Te dunque scelse il gran rettor del cielo?
te deputar per giudice ne volse,
quasi un uomo il miglior del'universo,
perché poi si scoprisse il più perverso?

162

Vie più che gloriosa, a te funesta
sarà, sii certo, elezzion sì fatta.
E sappi pur che quest'onore e questa
gloria, che m'abbi al tuo giudicio tratta,
il vituperio fia dela tua gesta
e l'infamia immortal dela tua schiatta.
Quella istessa beltà malvagia e ria
che fu il tuo premio, il tuo supplicio fia.

163

Quella impudica e disonesta putta
che dee con dolce incendio arderti il core,
ancor sarà dela tua patria tutta
e di tutto il tuo regno ultimo ardore.
Caduto Ilio per te, Troia distrutta,
così ferisce e così scalda amore,
sarà del'armi e dele fiamme gioco,
campo di sangue e Mongibel di foco.

164

Tempo verrà, che detestando il fato,
perch'abbi i rai del sol goduti e visti,
il sen bestemmierai che t'ha portato
e l'ora e 'l punto ch'ala luce uscisti.
Il rimorso e 'l dolor del'esser nato
fia 'l minor mal che la tua vita attristi.
Del'aver sostenuto un sì vil pondo
farà sol la memoria infame il mondo.

165

Le stelle che tal peste hanno concetta,
l'aure ch'al suo natal nutrita l'hanno,
quelle congiureransi ala vendetta,
queste il proprio fallir sospireranno.
Natura, che per te fia maledetta,
t'aborrirà con rabbia e con affanno;
e farà che nel fine albergo e fossa
neghi al'anima il ciel, la terra al'ossa".

166

Dopo la dea di Samo a lui si volta
con cruccioso parlar l'altra più casta,
né la superbia e l'ira al petto accolta
la modestia del viso a coprir basta:
"Lingua bugiarda e temeraria e stolta,
(dice, con fiera man crollando l'asta)
ben si conforma il tuo decreto iniquo
al cor fellone ed al pensiero obliquo.

167

Ah! così ben distribuisci i premi
preso a vil'esca di fallaci inganni?
Così mi paghi i gloriosi semi,
ch'io t'infusi nel cor fin da' prim'anni,
che la lascivia essalti e 'l valor premi
e 'l vizio abbracci e la virtù condanni
e per sozza mercé di molli vezzi
onor rifiuti e castità disprezzi?

168

Ma per cotesta tua data in malpunto
sentenza detestabile e proterva,
non vien già la mia stima a mancar punto,
ch'io pertutto sarò sempre Minerva.
Se perdo il pomo, in un medesmo punto
il merto e la ragion mi si conserva,
a te 'l danno col biasmo, e fia ben pronta
l'occasion di vendicar quest'onta.

169

Sarà questo tuo pomo empio e nefando
seminario di guerre e di ruine.
Che farai, che dirai, misero, quando
cotante ti vedrai stragi vicine?
Pentito alfin piangendo e sospirando
t'accorgerai con tardo senno alfine
quant'erra quei che, dietro a scorte infide,
la ragion repulsando al senso arride".

170

Al parlar dela coppia altera e vaga
l'infelice pastor trema qual foglia,
e del'audacia sua pentito, paga
il passato piacer con doppia doglia,
laqual ne' suoi sospir par che presaga
strani infortuni annunziar gli voglia.
Ma partite le due, Venere bella
soavissimamente gli favella:

171

"Paride caro, e qual timor t'assale?
s'è teco Amor di che temer più dei?
Non sai che 'nsu la punta del suo strale
tutti i trionfi stan, tutti i trofei?
ch'appo 'l valor che sovr'ogni altro vale
sono impotenti i più potenti dei?
e che del foco suo l'invitta forza
di Giove istesso le saette ammorza?

172

Quell'unica beltà ch'io già ti dissi,
ti farà fortunato infra le pene.
Le chiome ch'indorar porian gli abissi,
fian del'anima tua dolci catene.
Quelle possenti a rischiarar l'ecclissi,
idoli del tuo cor, luci serene
ti faranno languir di tal ferita
ch'avrai sol per morir cara la vita.

173

Sì ben d'ogni bellezza in quel bel volto
epilogato il cumulo s'unisce
e sì perfettamente insieme accolto
quanto ha di bel la terra in lei fiorisce,
che l'istessa Beltà, vinta di molto,
il paraggio ne teme e n'arrossisce;
e d'aver lavorato un sì bel velo
pugnan tra loro e la Natura e 'l Cielo.

174

Or non può sola imaginata l'ombra
dela figura che t'accenno or io,
con quella idea che nel pensier t'adombra
felicitar per sempre il tuo desio?
Sì sì, sostien l'alta speranza e sgombra
dal petto ogni timor, Paride mio,
sapendo che d'Amor la genitrice
di tutto il suo poter t'è debitrice".

175

A quest'ultimo motto ancelle e paggi,
Grazie ed Amori intorno a lei s'uniro,
e 'l carro cinto di purpurei raggi
spalmando per lo sferico zaffiro,
la portar da que' luoghi ermi e selvaggi
sovra l'ali de' cigni al terzo giro,
e dipar con gli augei bianchi e canori
sen gir cantando e saettando fiori.

176

Qual meraviglia poi ch'alcuno, avezzo
i piati a giudicar de' cittadini,
real ministro, per lusinga o prezzo
dala via del dever talor declini,
se 'n virtù sol d'un amoroso vezzo
costui trapassa i debiti confini?
e d'un futuro e tragico piacere
il promesso guadagno il fa cadere?

177

Che non potran la face e l'arco d'oro?
Qual cor non fia dale lor forze oppresso,
se 'l sacro olivo e 'l sempiterno alloro
inducono a sprezzar Paride istesso?
e l'umil mirto ei preferisce loro
anzi più tosto il funeral cipresso,
poiché 'l suo nome, onde si canta e scrive,
per tante morti immortalato vive? –

178

Tenea l'orecchie il bell'Adone intente
le lodi ad ascoltar di Citerea,
e si gia figurando entro la mente
la bella ancor non conosciuta dea.
Ma giunti al loco ove del dì cocente
Clizio sottrarsi al gran calor devea,
dal benigno pastor tolta licenza
con pensier di tornar fece partenza.

179

Tolto apena commiato, un caso estrano,
mercé d'Amor che lo scorgea, gli avenne.
Prese un cervo a seguir che per quel piano
parve in fuggendo aver ne' piè le penne;
e poch'assai seguito ei l'ebbe invano,
stanco il passo e smarrito alfin ritenne
là dove molto da villaggi e case
e da gregge e pastor lunge rimase.







Giambattista Marino - Opera Omnia  -  a cura de ilVignettificio  -  Privacy & cookie

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