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ilmarino testo integrale, brano completo, citazione delle fonti, commedie opere storiche opere letterarie in prosa e in versi, operaomnia #
CANTO SECONDO
Il palagio d'Amore
ALLEGORIA
Le ricchezze della casa d'Amore e le sculture della porta di essa, contenenti l'azzioni di Cerere e di Bacco, ci danno a conoscere le delizie della sensualità, e quanto l'uno e l'altra concorrano al nutrimento della lascivia. Le cinque torri comprese nel detto palazzo son poste per essempio de' cinque sentimenti umani, che son ministri delle dolcezze amorose; e la torre principale, ch'è più elevata dell'altre quattro, dinota in particolare il senso del tatto, in cui consiste l'estremo e l'eccesso di simili dilettazioni. La soavità del pomo gustato da Adone ci insegna che per lo più sogliono sempre i frutti d'amore essere nel principio dolci e piacevoli. Il giudicio di Paride è simbolo della vita dell'uomo, a cui si rappresentano innanzi tre dee, cioè l'attiva, la contemplativa e la voluttaria; la prima sotto nome di Giunone, la seconda di Minerva la terza di Venere. Questo giudicio si commette all'uomo, a cui è dato libero l'arbitrio della elezzione, perché determini qual di esse più gli piaccia di seguitare. Ed egli per ordinario più volentieri si piega alla libidine e al piacere che al guadagno o alla virtù.
ARGOMENTO
Al palagio, ov'amor chiude ogni gioia, ne van Clizio e Adone in compagnia. Clizio gli prende a raccontar per via il gran giudicio del pastor di Troia.
1
Giunto a quel passo il giovinetto Alcide, che fa capo al camin di nostra vita, trovò dubbio e sospeso infra due guide una via, che 'n due strade era partita. Facile e piana la sinistra ei vide, di delizie e piacer tutta fiorita; l'altra vestìa l'ispide balze alpine di duri sassi e di pungenti spine.
2
Stette lungh'ora irrisoluto in forse tra duo sentieri il giovane inesperto; alfine il piè ben consigliato ei torse lunge dal calle morbido ed aperto; e dietro a lei, ch'a vero onor lo scorse, scelse da destra il faticoso ed erto, onde per gravi rischi e strane imprese di somma gloria insu la cima ascese.
3
E così va ehi con giudicio sano di virtù segue l'onorata traccia. Ma chiunque credendo al vizio vano cerca il mal, ch'ha di ben sembianza e faccia, giunge per molle e spazioso piano dove in mille catene il piede allaccia. Quante il perfido ahi! quante e 'n quanti modi n'ordisce astute insidie, occulte frodi.
4
Per l'arringo mortal, nova Atalanta, l'anima peregrina e semplicetta corre veloce, e con spedita pianta del gran viaggio al termine s'affretta. Ma spesso il corso suo stornar si vanta il senso adulator, ch'a sé l'alletta con l'oggetto piacevole e giocondo di questo pomo d'or, che nome ha mondo.
5
Curi lo scampo suo, fugga e disprezzi le dolci offerte, i dilettosi inganni, né perché la lusinghi e l'accarezzi, disperda in fiore il verdeggiar degli anni. Mille ognor le propon con finti vezzi per desviarla da' lodati affanni gioie amorose, amabili diporti, che poi fruttano altrui ruine e morti.
6
Da sì fatte dolcezze ella invaghita di farsi esca al focile e segno al'arco, nela cruda magion passa tradita di mille pene a sostener l'incarco; gabbia senz'uscio e carcer senza uscita, mar senza riva e selva senza varco, labirinto ingannevole d'errore, tal è il palagio, ov'ha ricetto Amore.
7
Già l'augel mattutin battendo intorno l'ali, a bandir la luce ecco s'appresta, e 'l capo e 'l piè superbamente adorno d'aurato sprone e di purpurea cresta, dela villa oriuol, tromba del giorno, con garriti iterati il mondo desta, e sollecito assai più che non suole, già licenzia le stelle e chiama il sole,
8
quando di là, dove posò pur dianzi dal suo sonno riscosso Adon risorge, che veder vuol, pria che 'l calor s'avanzi, se 'l ciel di caccia occasion gli porge. Clizio pastor con la sua greggia innanzi al vicin bosco l'accompagna e scorge, là dove a suon di rustica sambuca convien su 'l mezzo di ch'ei la riduca.
9
Disegna Adon, se pur tra via s'abbatte in damma, in daino o in altra fera alcuna, errando ancor per quell'ombrose fratte torcer del'arco la cornuta luna. Quest'armi avea, come non so, ritratte in salvo dal furor dela fortuna né so qual tolto avria, fra le tempeste più tosto abbandonar la vita o queste.
10
Così, mentre vagante e peregrino scorre l'antico suo paterno regno, del crudo arcier, del perfido destino affretta l'opra, agevola il disegno. Ma stimando fatale il suo camino, poiché campò gran rischio in picciol legno, spera, quando alcun di quivi soggiorni, che lo scettro perduto in man gli torni.
11
Veggendo come per sì strania via dala terra odorifera Sabea mirabilmente al'isola natia pietà d'amico ciel scorto l'avea, e che del loco, ond'ebbe origin pria, il leggittimo stato in lui cadea nel favor di fortuna ancor confida, che de' suoi casi a' bei progressi arrida.
12
Apunto il sol su la cornice allora dela finestra d'or levava il ciglio, forse per risguardar s'avesse ancora nulla esseguito Amor del suo consiglio, quando di lei, che 'l terzo giro onora, dolente pur del fuggitivo figlio, vie più da lui, che dal pastor guidato, giunse presso al'ostello aventurato.
13
Anchorché chiusa sia, com'ognor suole, l'entrata principal dela magione, tanta è però di sì superba mole la luce esterior, ch'abbaglia Adone. La reggia famosissima del sole de' suoi chiari splendori al paragone fora vile ed oscura, e 'l giovinetto d'infinito stupor ne colma il petto.
14
Sorge il palagio, ov'ha la dea soggiorno, tutto d'un muro adamantino e forte. I gran chiostri, i gran palchi invidia e scorno fanno ale logge del'empirea corte. Ha quattro fronti e quattro fianchi intorno, quattro torri custodi e quattro porte; e piantata ha nel mezzo un'altra torre, che vien di cinque il numero a comporre.
15
Ne' quattro angoli suoi quasi a compasso poste le torri son tutte egualmente. Quella di mezzo è del medesmo sasso, ma del'altre maggiore e più eminente. L'una al'altra risponde e s'apre il passo per più d'un ponte eccelso e risplendente, e con arte assai bella e ben distinta ciascuna dele quattro esce ala quinta.
16
Sì alto e sì sottile è ciascun arco che sotto ciascun ponte si distende, che ben si par che quel sublime incarco per miracol divino in aria pende. L'incurvatura, ond'ogni ponte ha varco, di tante gemme variata splende, ch'ogni arco ai lumi ed ai color che veste, somiglia in terra un'iride celeste.
17
Le quattro torri insu i canton costrutte son fatte in quadro e son d'egual misura, tranne la principal fra l'altre tutte, ch'è fabricata in sferica figura. Son distanti del pari e son condutte le linee a fil con vaga architettura, e salvo la maggior che 'n grembo il tiene, per ogni torre in un giardin si viene.
18
Non di porfidi ornaro o serpentini quello strano edificio i dotti mastri, ma fer di sassi orientali e fini comignoli e cornici, archi e pilastri. Preziosi crisoliti e rubini segar di marmi invece e d'alabastri, e tutte qui del'indiche spelonche, e de' lidi eritrei votar le conche.
19
Dale vene del Gange il fabro scelse il più pregiato e lucido metallo, e dale rupi del'Arabia svelse il diamante purissimo e 'l cristallo, onde compose le colonne eccelse con ben dritta misura ed intervallo, che su diaspro rilucente e saldo ferman, le basi e i capi han di smeraldo.
20
Tra colonna e colonna al peso altero sommessi i busti smisurati e grossi, servon d'appoggio al grave magistero in forma di giganti alti colossi. Son fabricati d'un berillo intero e d'ardente piropo han gli occhi rossi; ciascun regge un feston distinto e misto di zaffir, di topazio e d'ametisto.
21
Splende intagliata di fabril lavoro la maggior porta del mirabil tetto. Sovra gangheri d'or spigoli d'oro volge, e serragli ha d'or limpido e schietto, e sostegno e non fregio al gran tesoro del ricco ingresso il calcidonio eletto. Soggiace al piè, quasi sprezzato sasso, nela lubrica soglia il fin balasso.
22
Quel di mezzo è d'argento, e mille in esso illustri forme industre mano incise, e di lor col rilievo e col commesso gli atti e i volti distinse in varie guise. Vero il finto dirà, vero ed espresso, uom, che v'abbia le luci intente e fise. L'opra, ch'opra è del'arte e quasi spira, com'opra di sua man, Natura ammira.
23
In una parte del superbo e bello uscio, ch'al vivo ogni figura esprime, scolpì Vulcan col suo divin scarpello l'alma inventrice dele biade prime. Fumar Etna si vede e Mongibello fiamme eruttar dale nevose cime. Ben sepp'egli imitar del patrio loco con rubini e carbonchi il fumo e 'l foco.
24
Vedesi là per la campagna aprica, tutta vestita di novella messe, biondeggiar d'oro ed ondeggiar la spica, sparsa pur or dale sue mani istesse. – Scoglio gentil (par che tacendo dica sì ben le voci ha nel silenzio espresse) siami fido custode il tuo terreno del caro pegno ch'io ti lascio in seno. –
25
Ecco ne vien con le compagne elette la vergin fuor dela materna soglia, e per ordir monili e ghirlandette de' suoi fregi più vaghi il prato spoglia. Già par che i fior tra le ridenti erbette apra con gli occhi e con le man raccoglia. Ritrar non sapria meglio Apelle o Zeusi la bella figlia dela dea d'Eleusi.
26
Ed ecco aperte le sulfuree grotte, mentre ch'ella compon gigli e viole, dal fondo fuor dela tartarea notte il rettor dele furie uscire al sole. Fuggon le ninfe e con querele rotte la rapita Proserpina si dole. Spuman tepido sangue e sbuffan neri aliti di caligine i destrieri.
27
Ecco Cerere in Flegra afflitta riede, ecco gemino pin succide e svelle e, per cercarla, fattone due tede, le leva in alto ad uso di facelle. Simile al vero il gran carro si vede ricco di gemme sfavillanti e belle. Van con lucido tratto il ciel fendenti l'ali verdi battendo i duo serpenti.
28
Dal'altro lato mirasi scolpito il giovinetto dio che 'l Gange adora, come immaturo ancor, non partorito Giove dal sen materno il tragge fora, come gli è madre il padre, indi nutrito dale ninfe di Nisa i boschi onora. Stranio parto e mirabile, che fue una volta concetto e nacque due.
29
In un carro di palmiti sedere vedilo altrove, e gir sublime e lieve. Tirano il carro rapide e leggiere quattro d'Ircania generose allieve. Leccano intinto il fren l'orride fere del buon licor che fa gioir chi 'l beve. Egli tra i plausi dela vaga plebe passa fastoso e trionfante a Tebe.
30
Il non mai sobrio e vecchiarel Sileno sovra pigro asinel vien sonnacchioso, tinto tutto di mosto il viso e 'l seno, verdeggiante le chiome e pampinoso. Già già vacilla e per cader vien meno, reggon satiri e fauni il corpo annoso. Gravi porta le ciglia e le palpebre di vino e di stupor tumide ed ebre.
31
Vulgo dal destro lato e dal sinistro di fanciulli e di ninfe si confonde. e par ch'a suon di crotalo e di sistro vibrin tirsi e corimbi e frasche e fronde. Inghirlandan di Bacco ogni ministro verdi viticci, uve vermiglie e bionde; e son le viti di smeraldo fino, l'uve son di giacinto e di rubino.
32
Quinci e quindi dintorno ondeggia e bolle la turba dele vergini baccanti, e corre e salta infuriato e folle lo strepitoso stuol de' coribanti. Par già tutto tremar facciano il colle buccine e corni e cembali sonanti. Pien di tant'arte è quel lavor sublime, che nel muto metallo il suono esprime.
33
Quanto Adon più dapresso al loco fassi, più la mente gl'ingombra alto stupore. – Questo è il ciel dela terra e quinci vassi ale beatitudini d'amore. – Così, colà volgendo i guardi e i passi, in fronte gli mirò scritto di fore. Tutto d'incise gemme era lo scritto, tarsiato a caratteri d'Egitto.
34
– Ecco il palagio, ove Ciprigna alberga, (disse allor Clizio) e dov'Amor dimora. Io, quando avien che 'l sol più alto s'erga, menar qui la mia greggia uso talora, né, finché poi nel'ocean s'immerga, la richiama al'ovil canna sonora. Ma poiché Sirio latra, io vo' ben oggi miglior ombra cercar tra que' duo poggi.
35
Tra que' duo poggi che non lunge vedi, teco verrò per solitarie vie. Poi da te presi i debiti congedi, t'attenderò su 'l tramontar del die e recherommi a gran mercé se riedi a ricovrar nele cappanne mie. Forse intanto il tuo legno esposto al'onda fia che guidi a buon porto aura seconda. –
36
Adon, disposto di seguir sua sorte, cortesemente al contadin rispose. In questo mentre innanzi ale gran porte estranie vide e disusate cose. In mezzo un largo pian che vi fa corte, stende tronco gentil braccia ramose, di cui non verdeggiò mai sotto il cielo più raro germe o più leggiadro stelo.
37
Cedan le ricche e fortunate piante, che dispiegaro la pomposa chioma nel bel giardin del libico gigante, che 'l tergo incurva ala stellata soma. Non so se là nele contrade sante, carica i rami di vietate poma, arbor nutrì sì preziosa e bella quelche suo paradiso il mondo appella.
38
Ha di diamante la radice e 'l fusto, di smeraldo le fronde, i fior d'argento. Son d'oro i frutti, ond'è maisempre onusto, e la porpora al'or cresce ornamento. Di contentar dopo la vista il gusto al curioso Adon venne talento, ond'un ne colse e, com'apunto grave fusse d'ambrosia, il ritrovò soave.
39
E tutto colmo d'un piacer novello al pastor dimandò: – Che frutto è questo? – – Il frutto di quel nobile arboscello non è (rispose) di terreno innesto; e s'è dolce ala bocca, agli occhi bello, ben di gran lunga è più perfetto il resto. Per la virtù ch'asconde il suo sapore, s'accresce grazia e si raddoppia amore.
40
Udito hai ragionar del pomo ideo, che 'n premio di bealtà Venere ottenne, per cui con tanto sangue il ferro Acheo fè il ratto del'adultera sollenne. Questo, poiché di lei restò trofeo, la dea qui di sua mano a piantar venne e, piantato che fu, volse dotarlo dela proprietà di cui ti parlo. –
41
– Deh (gli soggiunse Adon) se non ti pesa, narra l'origin prima e 'n qual maniera nacque fra le tre dee l'alta contesa, com'ella andò di sì bel pomo altera; dale ninfe sabee n'ho parte intesa, ma bramo udir di ciò l'istoria intera. Così men malagevole ne fia l'aspro rigor dela malvagia via. –
42
– Poich'ebbe Amor con tanti lacci e tanti, (il pastor cominciò) tese le reti, ch'alfin pur strinse dopo lunghi pianti in nodo marital Peleo con Teti, le nozze illustri di sì degni amanti vennero ad onorar festosi e lieti quanti son numi in ciel, quanti ne serra il gran cerchio del mare e dela terra.
43
Fu di Tessaglia aventuroso il monte, dove si celebrar questi imenei. Di mirti e lauri gli fiorì la fronte, del trionfo d'amor fregi e trofei; e le stelle gli fur propizie e pronte, e le genti mortali e gli alti dei, se non spargea dissension crudele tra le dolci vivande amaro fiele.
44
Senza invidia non è gioia sincera, né molto dura alcun felice stato. Quel gran piacer dala Discordia fiera, madre d'ire e di liti, ecco è turbato; ch'esclusa fuor dela divina schiera e dal convito splendido e beato, gli alti diletti e l'allegrezze immense venne a contaminar di quelle mense.
45
Al'arti sue ricorre e, col consiglio di quella rabbia che la punge e rode, corre al giardin d'Esperia e dà di piglio ale piante che 'l drago ebber custode. Quindi un pomo rapisce aureo e vermiglio, de' cui rai senz'offesa il guardo gode. Di minio e d'oro un fulgido baleno vibra e gemme per semi accoglie in seno
46
Nela scorza lucente e colorita, il cui folgore lieto i lumi abbaglia, la diva, di disdegno inviperita, cui nulla Furia in fellonia s'agguaglia, di propria man, come il furor l'irrita, parole poi sediziose intaglia. Dice il motto da lei scolpito in quella: "Diasi questo bel dono ala più bella".
47
Torna ove la richiama ala vendetta del'alta ingiuria la memoria dura e, d'astio accesa e di veleno infetta, nel velo ascosa d'una nube oscura, con la sinistra man su 'l desco getta del'esca d'or la perfida scrittura. Questo magico don fra tante feste gettò nel mezzo al'assemblea celeste.
48
Lasciaro i cibi e da' fumanti vasi le destre sollevar tutti coloro e, di stupore attoniti rimasi, presero a contemplar quel sì bell'oro. Donde si vegna non san dir, ma quasi un presente del fato ei sembra loro; e dì di sé gli alletta al bel possesso, che par ch'Amor si sia nascosto in esso.
49
Ma sovra quanti il videro e 'l bramaro le tre cupide dee n'ebber diletto e, stimulate da desire avaro che di quel sesso è natural difetto, la sollecita man steser di paro ala rapina del leggiadro oggetto e con gara tra lor non ben concorde sene mostraro a meraviglia ingorde.
50
Quando lo dio, che del signor d'Anfriso guardò gli armenti e che conduce il giorno, meglio in esso drizzando il guardo fiso vide le lettre ch'avea scritte intorno; e lampeggiando in un gentil sorriso, di purpuree scintille il volto adorno, fè, dele note peregrine e nove sculte su la corteccia, accorger Giove.
51
Letta l'inscrizzion di quella scorza, le troppo avide dee cessaro alquanto e cangiar volto e 'nsu la mensa a forza il deposito d'or lasciaro intanto. Cede il merto al desio, ma non s'ammorza l'ambizion ch'aspira al primo vanto. San ch'averlo non può se non sol una, il voglion tutte e nol possiede alcuna.
52
Degli assistenti l'immortal corona nova confusion turba e scompiglia. Con vario disparer ciascun ragiona, chi di qua, chi di là freme e bisbiglia. Sovra ciò si contende e si tenzona, omai tutta sossovra è la famiglia. Tutta ripiena è già d'alto contrasto la gran sollennità del nobil pasto.
53
Giunon superba è sì di sua grandezza, che più del'altre due degna s'appella. Né sé cotanto Pallade disprezza, che non pretenda la vittoria anch'ella. Vener, ch'è madre e dea dela bellezza, e sa ch'è destinato ala più bella, ridendosi fra sé di tutte loro, spera senz'altro al mirto unir l'alloro.
54
Tutti gli dei nel caso hanno interesse e son divisi a favorir le dee. Marte vuol sostener con l'armi istesse, che 'l ricco pomo a Citerea si dee. Apollo di Minerva in campo ha messe le lodi e chiama l'altre invide e ree. Giove, poich'ascoltato ha ben ciascuno, parzial dela moglie, applaude a Giuno.
55
Alfin, perch'alcun mal pur non seguisse in quel drappel ch'al paragon concorre, bramoso di placar tumulti e risse e querele e litigi in un comporre, "Le cose belle (a lor rivolto disse) son sempre amate, ognun v'anela e corre, ma quanto altrui più piace il bello e 'l bene, con vie maggior difficoltà s'ottiene.
56
Ubbidir fia gran senno, ed è ben dritto ch'ala ragion la passion soggiaccia, e ch'a quanto si vole ed è prescritto dala necessità si sodisfaccia; che seben di chi regna alcuno editto talor troppo severo avien che spiaccia, non ostante il rigor con cui si regge, giusto non è di violare la legge.
57
Parlo a voi, belle mie, tutte rivolte ala pretension d'un pregio istesso. Pur non può questo pomo esser di molte, sapete ad una sola esser promesso. Or se le bellezze eguali in voi raccolte ponno egualmente aver ragione in esso, né voglion l'altre due dirsi più brutte, come possibil fia contentar tutte?
58
Giudice delegar dunque conviensi, saggio conoscitor del vostro merto, a cui conforme il guiderdon dispensi con occhio sano e con giudicio certo. A lui quanto di bello ascoso tiensi vuolsi senz'alcun vel mostrar aperto, perché le differenze, onde garrite, distinguer sappia e terminar la lite.
59
Io renunzio al'arbitrio; esser tra voi arbitro idoneo inquanto a me non posso, ché s'ad una aderisco, io non vo' poi l'odio del'altre due tirarmi addosso. Amo dipar ciascuna, i casi suoi pari zelo a curar sempre m'ha mosso. Potess'io trionfanti e vincitrici vedir così dipar tutte felici.
60
Pastor vive tra' boschi in Frigia nato, ma sol nel nome e nel'ufficio è tale, ché, s'ancor non tenesse invido fato chiuso tra rozze spoglie il gran natale, al mondo tutto il suo sublime stato conto fora e 'l legnaggio alto e reale. Di Priamo è figlio, imperador troiano, di Ganimede mio maggior germano.
61
Paride ha nome, e non è forse indegno ch'egli tra voi la question decida, poich'ha l'integrità pari al'ingegno da poter acquetar tanta disfida. Sconosciuto si sta nel patrio regno dove il Gargaro altier s'estolle in Ida. Itene dunque là, colui che porta l'ambasciate del ciel vi sarà scorta".
62
Così diss'egli e con applauso i detti raccolti fur del gran rettor superno, e scritti per man d'Atropo fur letti nel bel diamante del destino eterno; e le dive a quel dir sedar gli affetti, pur di vento pascendo il fasto interno. Già s'apprestano a prova al gran viaggio, e ciascuna s'adorna a suo vantaggio.
63
L'altera dea, che del gran rege è moglie, del'usato s'ammanta abito regio. Di doppie fila d'or son quelle spoglie tramate tutte, e d'oro han doppio fregio; sparse di soli e folgorando toglie ogni sole al sol vero il lume e 'l pregio. Di stellante diadema il capo cinge, e lo scettro gemmato in man si stringe.
64
Quella ch'Atene adora, ha di bei stami di schietto argento e semplice la vesta, riccamata di tronchi e di fogliami di verde olivo e di sua man contesta. Tien d'una treccia degl'istessi rami il limpid'elmo incoronato in testa. Sostien l'asta la destra e 'l braccio manco di scudo adamantin ricopre il fianco.
65
L'altra, ch'ha ne' begli occhi il foco e 'l telo, d'artificio fabril pompa non volse, ma d'un serico apena azzurro velo la nudità de' bianchi membri involse; color del mare, anzi color del cielo, quello la generò, questo l'accolse; leggier leggiero e chiaramente oscuro che facea trasparer l'avorio puro.
66
Prende Mercurio il pomo, agili e presti ponsi ale tempie i vanni ed a' talloni, e la verga fatal, battendo questi, si reca in man ch'attorti ha duo, dragoni. Per ben seguirlo, l'emule celesti lascian colombe e nottule e pavoni, ed è lor carro un nuvoletto aurato lievemente da zefiro portato.
67
Dipinge un bel seren l'aria ridente di vermiglie fiammelle e d'aurei lampi, e qual sol, che calando in occidente di rosati splendori intorno avampi, segnando il tratto del sentier lucente indora e inostra i suoi cerulei campi, mentre condotta dala saggia guida la superbia del ciel discende in Ida.
68
Stassene in Ida ale fresch'ombre estive Paride assiso a pasturar le gregge, là dove intorno in mille scorze vive il bel nome d'Enon scritto si legge. Misera Enon, se dele belle dive giudice eletto ei la più bella elegge, di te che fia, ch'hai da restar senz'alma? Ahi che perdita tua fia l'altrui palma!
69
Voglion costor la tua delizia cara, lassa, rapirti, e 'l tuo tesor di braccio. Vanne dunque infelice, e pria ch'avara fortuna un tanto ardor converta in ghiaccio, quanto gioir sapesti, or tanto impara a dolerti di lui che scioglie il laccio; e mentre puoi, dentro il suo grembo accolta bacia Paride tuo l'ultima volta.
70
A piè d'un antro nel più denso e chiuso siede il pastor dela solinga valle. La mitra ha in fronte e, qual de' Frigi è l'uso, barbaro drappo annoda insu le spalle. Lungo il chiaro Scamandro erra diffuso l'armento fuor dele sbarrate stalle; e 'l verde prato gli nutrisce e serba di rugiada conditi i fiori e l'erba.
71
Egli gonfiando la cerata canna, v'accorda al dolce suon canto conforme. Per gran dolcezza, le palpebre appanna il fido cane e non lontan gli dorme. Tacciono intente a piè dela cappanna ad ascoltarlo le lanose torme. Cinti le corna di fiorite bacche obliano il pascolar giovenchi e vacche.
72
Quand'ecco declinar la nube ei vede che 'l fior d'ogni bellezza in grembo serra, e rotando colà dov'egli siede di giro in giro avicinarsi a terra. Ecco ala volta sua drizzano il piede accinte a nova e dilettosa guerra le tre belle nemiche, a' cui splendori rischiara il bosco i suoi selvaggi orrori.
73
In rimirando sì mirabil cosa stringe le labra allor, curva le ciglia, e su la fronte crespa e spaventosa scolpisce col terror la meraviglia. Sovra il tronco vicin la testa posa, ed al tronco vicin si rassomiglia. La canzon rompe, e lascia intanto muta cadersi a piè la garrula cicuta.
74
"Fortunato pastor, giovane illustre, (il messaggio divin dissegli allora) il cui gran lume ascoso in vel palustre lo stesso ciel nonché la terra onora; degno ti fa la tua prudenza industre di venture a mortal non date ancora. A te con queste dee Giove mi manda, e che tu sia lor giudice comanda.
75
Vedi questo bel pomo? Ala contesa quello, che fu suggetto, or premio fia. Colei l'avrà che 'n così bella impresa di bellezza maggior dotata sia. Donalo pur senza temere offesa a chi 'l merita più, ch'a chi 'l desia. Ben sopir saprai tu discordie tante come bel, com'esperto e com'amante."
76
Tanto dic'egli, e l'aureo pomo sporto consegna al'altro, ilqual fra gioia e tema in udir quel parlar facondo e scorto, e 'n risguardar quella beltà suprema, il prende e tace, e sbigottito e smorto fuor di sestesso impallidisce e trema. Pur fra tanto stupor che lo confonde, moderando i suoi moti alfin risponde:
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"La conoscenza ch'ho del'esser mio, o dele stelle ambasciador felice, queste gran novità, che qui vegg' io, al mio basso pensier creder disdice; gloria, di cui godere ad alcun dio maggior forse lassù gloria non lice che dal ciel venga a povero pastore tanto bene insperato e tanto onore.
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Ma ch'abbia a proferir lingua mortale decreto in quel ch'ogn'intelletto eccede, quanto alo stato mio sì diseguale più mi rivolgo ei tanto meno il crede. Nulla degnar mi può di grado tale, senon l'alto favor che mel concede. Pur, se ragion di merito mi manca, grazia celeste ogni viltà rinfranca.
79
Può ben d'umane cose ingegno umano talor deliberar senza periglio. Trattar cause divine ardisce invano senz'aiuto divin saggio consiglio. Come dunque poss'io rozzo e villano nonché le labbra aprir, volgere il ciglio, dove l'istessa ancor somma scienza non seppe in ciel pronunziar sentenza?
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Com'esser può che l'esquisita e piena perfezzion dela beltà conosca uom, ch'oltre la caligine terrena tra queste verdi tenebre s'imbosca, dov'altro mai di sua luce serena non n'è dato mirar ch'un'ombra fosca? Certo inabil mi sento e mi confesso di tali estremi a misurar l'eccesso.
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S'avessi a giudicar fra toro e toro, o decretar fra l'una e l'altra agnella, discerner saprei ben forse di loro qual si fusse il migliore e la più bella. Ma così belle son tutte costoro, che distinguer non so questa da quella. Tutte egualmente ammiro e tutte sono degne di laude eguale e d'egual dono.
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Dogliomi, che tre pomi aver vorrei qual'è quest'un ch'a litigar l'ha mosse ch'allor giusto il giudizio io crederei, quando commun la lor vittoria fosse. Aggiungo poi che degli eterni dei paventar deggio pur l'ire e le posse, poiché di questa schiera aventurosa due son figlie di Giove e l'altra è sposa.
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Ma daché tali son gli ordini suoi forza immortale il mio difetto scusi, purché dele due vinte alcuna poi non sia ch'irata il troppo ardire accusi. Intanto, o belle dee, se pur a voi piace che 'l peso imposto io non ricusi, quel chiaro sol che tanta gloria adduce ritenga il morso ala sfrenata luce".
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Qui Cillenio s'apparta, ed ei restando chiama tutti a consiglio i suoi pensieri, e gli spirti al gran caso assottigliando comincia ad aguzzar gli occhi severi. Già s'apparecchia ala bell'opra, quando con atti gravi e portamenti alteri di real maestà gli s'avicina e gli prende a parlar la dea Lucina:
85
"Poich'al giudicio uman si sottomette dala giustizia tua fatta secura la ragion, che le prime e più perfette meraviglie del ciel vince ed oscura, dela beltà, ch'eletta è fra l'elette, dei conoscer, pastor, la dismisura; ma conosciuta poi, riconosciuta convien che sia con la mercé devuta.
86
E s'egli è ver che l'eccellenza prima possa sol limitar la tua speranza di mai meglio veder, vista la cima e 'l colmo di quel bel ch'ogni altro avanza, accioché l'occhio tuo, ch'or si sublima sovra l'umana e naturale usanza, non curi Citerea più né Minerva, in me rimira e mie fattezze osserva.
87
Tu discerni colei, se me discerni, cui cede ogni altro nume i primi onori, imperadrice degli eroi superni, consorte al gran motor re de' motori. Vedi il più degno infra i suggetti eterni, che 'l cielo ammiri o che la terra adori; innanzi ai raggi dela cui beltade lo stupor di stupor stupido cade.
88
L'istesso sol d'idolatrarmi apprese di scorno spesso e di vergogna tinto; e 'l mio più volte il suo splendore accese, l'estinse pria, poi ravivollo estinto. Negar dunque non puoi di far palese quel lume altrui che 'l maggior lume ha vinto, senza accusar di cecità la luce di colui che per tutto il dì conduce".
89
Rompe allora il silenzio ed apre il varco ala voce il pastor con questo dire: "Poich'a' suoi cenni col commesso incarco legge di ciel mi sforza ad ubbidire, non fia ritroso ad onorarvi o parco, gloriosa reina, il mio desire, del cui pronto voler vi farà noto un schietto favellar libero il voto.
90
Io vi giudico già tanto perfetta, che più nulla mirar spero di raro, talché 'l merto di quel ch'a voi s'aspetta, contentar ben vi può, ch'a tutti è chiaro, senza bisogno alcun, ch'io vi prometta ciò che tor non vi dee giudice avaro, onde cosa la speme abbia a donarvi, che 'n effetto il dever non può negarvi.
91
Ben volentier, se senza ingiuria altrui così determinar fusse in mia mano, concederei questo bel pomo a vui, né dal dritto giudicio andrei lontano. Ma mi convien, com'ammonito fui dal facondo corrier del re sovrano, darlo a colei ch'al'altre il pregio invola; e voi scesa dal ciel non siete sola".
92
L'orgogliosa moglier del gran tonante sì fatte lodi udir non si scompiacque, e senza trionfar già trionfante attese il fin di quel certame e tacque. Ed ecco allor, colei trattasi avante che senza madre del gran Giove nacque, d'onestà virginal sparsa le gote chiede il pomo al pastor con queste note:
93
"Tutti i mortali e gl'immortali in questo sospetti a mio favor sarebbon forse. Paride sol ch'amico è del'onesto e dal giusto e dal ver giamai non torse, degno è d'ufficio tale, ed io ben resto paga d'un tant'onor che 'l ciel gli porse, poiché non so da cui più certo or io mi potessi ottener quanto desio.
94
Tu, che lume cotanto hai nela mente, ed appregi valore e cortesia, rivolgerai nel'animo prudente tutto ciò ch'io mi vaglia e ciò ch'io sia, ond'oggi crederò che facilmente vincitrice farai la beltà mia, quell'ossequio e quel dritto a me porgendo che merito, che bramo e che pretendo.
95
Non son non son qual credi; in me vedere di Vener forse o di Giunon pensasti lusinghe false ed apparenze altere, i risi e i vezzi e le superbie e i fasti? Cose tu vedi essenziali e vere, vedi Minerva e tanto sol ti basti, senza cui nulla val regno o ricchezza, fuor del cui bel difforme è la bellezza.
96
Virtù son io, di cui non altro mai vide uom mortal ch'una figura, un'orma. A te però con disvelati rai ne rappresento la corporea forma; da cui, se saggio sei, prender potrai dela vera beltà la vera norma e conoscer quaggiù fuor d'ogni nebbia quelche seguir, quelch'adorar si debbia.
97
Forse mentre tu miri ed io ragiono, per troppo meritar mi stimi indegna, e la vergogna di sì picciol dono ti fa parer che poco a me convegna. Ma io mi scorderò di quelche sono, solché la palma di tua mano ottegna. Purch'ella oggi da te mi sia concessa, per amor tuo sconoscerò mestessa."
98
Dala virtù di quel parlar ferito Paride parer cangia e pensier muta e, dal presente oggetto instupidito, la memoria del'altro ha già perduta: "Diva (risponde) il merito infinito di cotanta beltà non più veduta dona al mio cieco ingegno occhi abastanza da poter ammirar vostra sembianza.
99
Io ben conosco che quel ch'oggi appare in quest'ombroso e solitario chiostro è puro specchio e lucido essemplare dela divinità ch'a me s'è mostro. Ma se vittime e voti, incensi ed are consacra il mondo al simulacro vostro, qual sacrificio or v'offerisco e porgo io, che vivo e non finto il ver ne scorgo?
100
Il presentarvi ciò che vi conviene è dever necessario e giusta cosa e l'istessa ragion che v'appartiene, vi fa senza il mio dir vittoriosa. La speranza del ben potete bene concepire omai lieta e baldanzosa. Intanto in aspettandone l'effetto purghi la grazia vostra il mio difetto".
101
Queste offerte cortesi assai possenti furo nel cor dela più saggia dea. E qual più certo omai di tali accenti pegno, i suoi dubbi assecurar potea? Da parole sì dolci e sì eloquenti, con cui quasi il trofeo le promettea, presa rimase, e fu delusa anch'essa la sapienza e l'eloquenza istessa.
102
Ma la madre d'Amor, nel cui bel viso ogni delizia lor le Grazie han posta, quel ciglio ch'apre in terra il paradiso, verso il garzon volgendo a lui s'accosta e la serenità del dolce riso d'una gioconda affabiltà composta, la favella de' cori incantatrice lusinghevole scioglie e così dice:
103
"Paride, io mi son tal che nel'acquisto del desiato e combattuto pomo senza temer d'alcun successo tristo rifiutar non saprei giudice Momo; te quanto meno, in cui sovente ho visto accortezza e bontà più che 'n altr'uomo; quanto più volentier senza spavento al foro tuo di soggiacer consento?
104
In terra o in ciel tra più tenaci affetti qual cosa più sensibile d'amore? qual possanza o virtù, ch'abbia ne' petti più dele forze sue forza e valore? Or che pensi? che fai? che dunque aspetti? dove, dove è il tuo ardir? dove il tuo core? Dimmi come avrai core e come ardire da poterti difendere o fuggire?
105
Se 'l pomo per cui noi stiam qui pugnando, come senso non ha, potesse averlo, tu lo vedresti a me correr volando, né fora in tua balia di ritenerlo. Poich'e' venir non pote, io tel dimando, sicome degna sol di possederlo. Qualunque don la mia beltà riceve è tributo d'onor che le si deve.
106
La vista, il veggio ben, del mio bel volto t'ha dolcemente l'anima rapita. Or riprendi gli spirti, e 'n te raccolto il cor rinfranca e la virtù smarrita. Quelche mirabil'è mirato hai molto, comprender non si può luce infinita. Gli occhi tuoi che veduto oggi tropp'hanno, ad ogni altro splendor ciechi saranno.
107
Faccian prima però di quanto han scorto testimoni del ver, fede ala bocca, accioché poi sentenziando il torto non s'abbia a dimostrar maligna o sciocca. E s'è dever di giudicante accorto a ciascun compartir ciò che gli tocca, bella colei dichiara infra le belle che di beltà sovrasta al'altre stelle.
108
Poiché l'istesso dono a sé mi chiama, il dritto il chiede e la ragione il vole; poiché del senno tuo la chiara fama t'obliga ad esseguir quelch'egli suole; s'a quant'oggi da me si spera e brama non corrisponderan le tue parole, la giustizia dirò ch'ingiusta sia, e che la verità dica bugia".
109
Vinto il pastor da parolette tali e da tanta beltà legato e preso, a que' novi miracoli immortali senza spirito o polso è tutto inteso. Amor gli ha punto il cor di dolci strali e di dolci faville il petto acceso, onde con sospirar profondo e rotto geme, langue, stupisce e non fa motto.
110
Paride, a che sospiri o perché taci? Dove bisogna men, più ti confondi. Tu desti al'altre due pegni efficaci di tua promessa; a questa or che rispondi? Sono i silenzi tuoi nunzi loquaci d'effetti favorevoli e secondi? Dunque del tuo tacer s'appaghi e goda, se di ciò la cagion le torna in loda.
111
Pensa, né sa di quella schiera eterna qual beltà con più forza il cor gli mova, che mentre gli occhi trasportando alterna or a questa or a quella, egual la trova. Là dove pria s'affisa e 'l guardo interna ivi si ferma, e quelch'ha innanzi approva. Volgesi al'una e bella apien la stima poscia al'altra passando oblia la prima.
112
Bella è Giunone e 'l suo candore intatto di perla oriental luce somiglia. Ha leggiadro ogni moto, accorto ogni atto del maggior dio la bellicosa figlia. Ma tien dela bellezza il ver ritratto la dea d'amor nel volto e nele ciglia e tutta, ovunque a risguardarla prenda, dale chiome ale piante è senza emenda.
113
Un rossor dal candor non ben distinto varia la guancia e la confonde e mesce. Il ligustro di porpora è dipinto, là dove manca l'un, l'altra s'accresce. Or vinto il giglio è dala rosa, or vinto l'ostro appar dal'avorio, or fugge, or esce. Ala neve colà la fiamma cede, qui la grana col latte inun si vede.
114
D'un nobil quadro di diamante altera la fronte e chiara alpar del ciel lampeggia. Quivi Amor si trastulla e quindi impera quasi in sublime e spaziosa reggia. Gli albori l'alba, i raggi ogni altra sfera da lei sol prende e 'n lei sol si vagheggia, il cui cristallo limpido riluce d'una serena e temperata luce.
115
Le luci vaghe a meraviglia e belle senz'alcun paragone uniche e sole, scorno insieme e splendor fanno ale stelle, in lor si specchia, anzi s'abbaglia il sole. Dal'interne radici i cori svelle qualor volger tranquillo il ciglio suole. Nel tremulo seren che 'n lor scintilla, umido di lascivia il guardo brilla.
116
Per dritta riga da' begli occhi scende il filo d'un canal fatto a misura, da' cui fior chi s'appressi, invola e prende più che non porge, aura odorata e pura. Sotto, ove l'uscio si disserra e fende del'erario d'amore e di natura, apre un corallo in due parti diviso angusto varco ale parole, al riso.
117
Né di sì fresche rose in ciel sereno ambiziosa Aurora il crin s'asperse, né di sì fini smalti il grembo pieno Iride procellosa al sole offerse, né di sì vive perle ornato il seno rugiadosa cocchiglia al'alba aperse, che la bocca pareggi, ov'ha ridente di ricchezze e d'odori un oriente.
118
Seminate in più sferze e sparse in fiocchi sen van le fila innanellate e bionde de' capei d'or, ch'a bello studio sciocchi lasciva trascuragine confonde. Or su gli omeri vaghi or fra' begli occhi divisati e dispersi errano in onde; e crescon grazia ale bellezze illustri arti neglette e sprezzature industri.
119
Dele ninfe del ciel gli occhi e le guance considerate, e le proposte udite, mentr'ancor vacillante in dubbia lance del concorso divin pende la lite, più non vuole il pastor favole o ciance, più non cura mirar membra vestite, ma più dentro a spiar di lor beltade la curiosità gli persuade.
120
"Poiché delpari in quest'agon si giostra, più oltre (dice) essaminar bisogna, né diffinir la controversia vostra si può, se 'l vel non s'apre ala vergogna; perché tal nel difuor bella si mostra, che senza favellar dice menzogna. Pompa di spoglie altrui sovente inganna e d'un bel corpo i mancamenti appanna.
121
Ciascuna dunque si discinga e spogli de' ricchi drappi ogni ornamento, ogni arte, perché la vanità di tali invogli nele bellezze sue non abbia parte." Giunon s'oppone, e con superbi orgogli ciò far ricusa e traggesi in disparte. Minerva ad atto tal non ben si piega, tien gli occhi bassi e per modestia il nega.
122
Ma la prole del mar, che ne' cortesi gesti ha grazia ed ardir quanto aver pote, "esser vogl'io la prima a scior gli arnesi, (prorompe) ed a scoprir le parti ignote, onde chiaro si veggia e si palesi che non solo ho begli occhi e belle gote, ma ch'è conforme ancora e corrisponde al bello esterior quelche s'asconde."
123
"Orsù (Palla soggiunse) ecco mi svesto, ma pria che scinte abbiam le gonne e i manti, fa tu, pastor, ch'ella deponga il cesto, se non vuoi pur che per magia t'incanti." Replicò l'altra: "Io non ripugno a questo, ma tu che di beltà vincer ti vanti, perché non lasci il tuo guerriero elmetto e lo spaventi con feroce aspetto?
124
Forse che 'n te si noti e si riprenda degli occhi glauchi il torvo lume hai scorno?" Impon Paride allor, che si contenda senza celata e senza cinto intorno. Restò l'aspetto lor, tolta ogni benda, senz'alcuna ornatura assai più adorno. Sì di sestesse e non d'altr'armi altere nel grand'arringo entrar le tre guerrere.
125
Quando le vesti alfin que' tre modelli dela perfezzione ebber deposte e de' lor corpi immortalmente belli fur le parti più chiuse al guardo esposte, vider tra l'ombre lor lumi novelli le caverne più chiuse e più riposte; ne presente vi fu creata cosa, che non sentisse in sé forza amorosa.
126
Il sol ritenne il corso al gran viaggio, inutil fatto ad illustrare il mondo, perché vide offuscato ogni suo raggio da splendor più sereno e più giocondo. Volea scendere in terra a fargli omaggio, ambizioso pur d'esser secondo; poi tra sé si pentì del'ardimento, e d'ammirarlo sol restò contento.
127
Onorata la terra e fatta degna d'abitatrici sì beate e sante, con bella gratitudine s'ingegna di rispondere in parte a grazie tante. Di bei semi d'amor gravida impregna e partorisce a que' begli occhi avante. Ringiovenì natura e primavera germogliò d'ognintorno ove non era.
128
Contro i lor naturali aspri costumi generar dolci poma i pini irsuti. Nacquer viole da' pungenti dumi, fiorir narcisi insu i ginebri acuti. Scaturir mele e corser latte i fiumi, e 'l mar n'ebbe più ricchi i suoi tributi. Sparser zaffiro i rivi, argento i fonti, fur d'ostro i prati e di smeraldo i monti.
129
Lascia il canto ogni augel dela foresta per pascer gli occhi di sì lieto oggetto. L'acque loquaci in quella rupe e 'n questa fermaro il mormorio per gran diletto. L'aere confuso di dolcezza arresta i sussurri del'acque al lor cospetto. Trema al dolce spettacolo ogni belva, e con attenzion tace la selva.
130
Tacea, senon che gli arbori felici allievi dela prossima palude, mossi talor da venticelli amici bisbigliavano sol ch'erano ignude. E voi di tanta gloria spettatrici sentiste altro velen, vipere crude, onde tornando ai vostri dolci amori vi saettaste con le lingue i cori.
131
Le naiadi lascive, i fauni osceni abbandonano gli antri, escon del'onde. Ciascun per far con gli occhi ai bianchi seni qualche furto gentil, presso s'asconde. Vegeta amor ne' rozzi sterpi, e pieni d'amor ridono i fior, l'erbe e le fronde. Ai sassi esclusi dal piacere immenso spiace sol non avere anima e senso.
132
Paride istesso in quelle gioie estreme non vive no, senon per gli occhi soli. Tanto eccesso di luce il miser teme non la vista e la vita inun gl'involi. Sguardo non ha per tanti raggi insieme, né cor bastante a sostener tre soli. Triplicato balen gli occhi gli serra, un sole in cielo e tre ne vede in terra.
133
"O dei (dicea) che meraviglie veggio? chi del'ottimo a trar m'insegna il meglio? Son prodigi del ciel? sogno o vaneggio? qual di lor lascio o qual fra l'altre sceglio? Deh poiché 'nvan, per far ciò che far deggio, i sensi affino e l'intelletto sveglio, in tanto dubbio alcun de' raggi vostri, o bellezze divine, il ver mi mostri.
134
Perché non son colui che d'occhi pieno la giovenca di Giove in guardia tenne? Avessi in fronte, avessi intorno almeno quante luci la Fama ha nele penne. Fossi la notte o fossi il ciel sereno, poiché dal ciel tanta bellezza venne, per poter rimirar cose sì belle con tante viste quante son le stelle.
135
Qual di santa onestà pudico lume in quella nobil vergine sfavilla? quanto di venerando ha l'altro nume? qual d'augusto decoro aria tranquilla? Ma qual vago fanciul batte le piume intorno a questa e che dolcezza stilla? Par che ritenga in sé dolce attrattivo non so che di ridente e di festivo.
136
Ciò però non mi basta, ancor sospeso un ambiguo pensier m'aggira e move. Mentr'or a questa, or son a quella inteso, bramo il sommo trovar, né so ben dove. S'io non vo' di sciocchezza esser ripreso, conviemmene veder più chiare prove. Fia d'uopo investigar meglio ciascuna, e mirarle in disparte ad una ad una."
137
Fa, così detto, allontanar le due, e soletta ritien seco Giunone, laqual promette lui, che se le sue bellezze ale bell'emule antepone, principe alcun giamai non fia né fue più di scettri possente e di corone; e ch'ogni gente al giogo suo ridutta, il farà possessor del'Asia tutta.
138
Spedito di costei, Pallade appella, che 'n aspetto ne vien bravo e virile, e patteggiando gli promette anch'ella gloria cui non fia mai gloria simile; e che se lei dichiarerà più bella, farallo invitto in ogni assalto ostile, chiaro nel'armi e sovra ogni guerriero inclito di trofei, di palme altero.
139
"No no, cosa in me mai forza non ebbe da poter la ragion metter di sotto. Tribunal mercenario il mio sarebbe s'oggi a venderla qui fossi condotto. Giudice giusto parteggiar non debbe, né per prezzo o per premio esser corrotto. Perdon di vero dono il nome entrambi, s'avien che con l'un don l'altro si cambi."
140
Così risponde, e nel medesmo loco accenna a Citerea che vegna in campo. Ella comparve e di soave foco nel teatro frondoso aperse un lampo. Da quell'oggetto incontr'a cui val poco a qual più freddo cor difesa o scampo, non sa con pena di diletto mista l'ingordo spettator sveller la vista.
141
La qualità di quelle membra intatte quai descriver saprian pittori industri? Rendono oscuro e l'alabastro e 'l latte, vincono i gigli, eccedono i ligustri. Piume di cigno e nevi non disfatte son foschi essempi ai paragoni illustri. Vedesi lampeggiar nel bel sembiante candor d'avorio e luce di diamante.
142
"Eccomi (disse) omai fa che cominci a specolar con diligenza il tutto, e dimmi se trovar gli occhi de' linci sapriano in beltà tanta un neo di brutto. Ma mentre ogni mia parte e quindi e quinci rimiri pur per divenirne instrutto, vo' che gli occhi e gli orecchi in me rivolti, le fattezze mirando, i detti ascolti.
143
So che sei tal che signoria non brami, né di scettri novelli uopo ti face, ch'ad appagar del tuo desir le fami il gran regno paterno è ben capace. Da guerreggiar non hai, poiché i reami e di Frigia e di Lidia or stanno in pace, né dei tu, d'ozi amico e di riposi, altri conflitti amar che gli amorosi.
144
Le battaglie d'amor non son mortali, né s'essercita in lor ferro omicida. Dolci son l'armi sue, son dolci i mali, senza sangue le piaghe e senza strida. Ma non pertanto ad imenei reali denno aspirar le villanelle d'Ida, né dee povera ninfa ardere il core a chi pote obligar la dea d'amore.
145
Ad uom che d'alta stirpe origin tragge, sposa non si convien di bassa sorte. Nulla teco hanno a far nozze selvagge, nulla confassi a te rozza consorte. Cedano a' tetti illustri inculte piagge, ceda l'umil tugurio al'ampia corte. Curar non dee di contadini amori pastor fra' regi e rege infra' pastori.
146
Tu fra quanti pastor guardano ovili sei per forma il più degno e per etate; ma le fortune tue rustiche e vili mi fan certo di te prender pietate. Peregrini costumi e signorili, pregio di gioventù, fior di beltate, deh! che giovano a te, se gli anni verdi e te medesmo inutilmente perdi?
147
Perché tra boschi e rupi e piante e sassi in questa solitudine romita così senz'alcun prò corromper lassi la primavera tua lieta e fiorita? Perché più tosto a ben menar non passi in qualche città nobile la vita, cangiando in letti aurati erbette e fiori, e 'n donzelle e scudier pecore e tori?
148
Giovinetta sì bella in Grecia vive che di bellezza ogni altra donna eccede; né sol fra le corinzie e fra l'argive questo publico onor le si concede, ma poco inferior tiensi ale dive e quasi in nulla a memedesma cede. Questa agli studi miei forte inclinata, ama, amica d'amor, d'essere amata.
149
Lasciò Giove di Leda il ventre greve di questo novo sol di cui favello, quando in sen le volò veloce e lieve trasfigurato in nobil cigno e bello. Candida e pura è sì com'esser deve fanciulla nata d'un sì bianco augello. Molle e gentil come nutrita a covo dentro la scorza tenera d'un ovo.
150
Ha tanta di beltà fama costei, tanto poi dal'effetto il grido è vinto, che Teseo il gran campion s'armò per lei e lascionne di sangue il campo tinto. Chiedeano i felicissimi imenei d'Argo i principi aprova e di Corinto, ma Menelao fra gli altri il più gradito parve d'Elena sol degno marito.
151
Pur se ti cal di conquistarla e vuoi con un pomo mercar tanto diletto, la ricompensa de' servigi tuoi fia di donna sì bella il grembo e 'l letto. Al primo incontro sol degli occhi suoi farti di lei signore io ti prometto. Farò, ch'abbandonato il lido greco, dovunque più vorrai, ne venga teco.
152
Là di Lacedemonia al'alta reggia tu ten'andrai per via spedita e corta. Ingegnati sol tu ch'ella ti veggia, lascia cura del resto ala tua scorta. Intutto ciò ch'un tanto affar richeggia, Amor fido ministro, io duce accorta, co' suoi compagni e con le serve mie la verremo a dispor per mille vie."
153
Qui tacque, e fiamma de' begli occhi uscio atta a mollir del Caucaso l'asprezza, ond'egli ogni altro bel posto in oblio a quell'incomparabile bellezza, sforzato dal poter di quel gran dio ch'ogni cor vince, ogni riparo spezza, baciato il pomo e 'n lei le luci affisse, reverente gliel porse e così disse:
154
"O bella oltre le belle, o sovra quante ha belle il ciel, bellissima Ciprigna; foco gentil d'ogni felice amante, madre d'ogni piacer, stella benigna; sola ben degna a cui s'inchini avante l'Invidia istessa perfida e maligna; se null'altra beltà la vostra agguaglia, ragion è ben che sua ragion prevaglia.
155
Sebene a sì gran luce umil farfalla, il più di voi mi taccio e 'l men n'accenno, audace il dico e so che 'n me non falla dal sentier dritto traviato il senno. Perdonimi Giunon, scusimi Palla gareggiar vosco disputar non denno. Giudico che voi sola al mondo siate l'idea nonché la dea dela beltate.
156
Basta ben ch'ala gloria a voi concessa fu lor dato poggiar pur col pensiero; né fu lor poco onor che fusse messa la certezza in bilancio, in dubbio il vero. Or di mia bocca la Giustizia istessa publica il suo parer chiaro e sincero. L'obligo suo, per la mia mano offerto, questo pomo presenta al vostro merto".
157
Atteggiata di gioia, ebra di fasto Venere il prende, indi volgendo i lumi, "cedetemi l'onor del gran contrasto, (disse ridente ai duo scornati numi) confessa pur Giunon ch'io ti sovrasto, e ch'a torto pugnar meco presumi. Né spiaccia a te, Bellona, a vincer usa, di chiamarti da me vinta e confusa.
158
Pensò l'una di voi di superarmi per esser forse in ciel somma reina. E credea l'altra con sue lucid'armi di spaventar la mia beltà divina. Ma poco vi giovò, per quanto parmi, opporsi al ver ch'al paragon s'affina. E sì possenti dee vie più m'aggrada senza scettro aver vinte e senza spada.
159
Venite Grazie mie, venite Amori, vigorose mie forze, invitte squadre. Incoronate de' più verdi allori la vostra omai vittoriosa madre. Ite cantando in versi alti e sonori, e rispondano al suon l'aure leggiadre. Viva amor, viva amor, che 'n cielo e 'n terra dela pace trionfa e dela guerra."
160
Mentre intento il pastore ascolta e mira la bella, a cui 'l bel pregio è tocco in sorte, le due sprezzate dee ver lui con ira volgon le luci dispettose e torte. Orgoglio ogni lor atto e sdegno spira, quasi ruina minacciante e morte. Giunon però dissimular non pote la rabbia sì, che non la sfoghi in note:
161
"Misero, e come del suo proprio velo il cieco arcier (dicea) gli occhi t'involse, siché dela ragion perduto il zelo, il bel lume del ver scorger ti tolse? Te dunque scelse il gran rettor del cielo? te deputar per giudice ne volse, quasi un uomo il miglior del'universo, perché poi si scoprisse il più perverso?
162
Vie più che gloriosa, a te funesta sarà, sii certo, elezzion sì fatta. E sappi pur che quest'onore e questa gloria, che m'abbi al tuo giudicio tratta, il vituperio fia dela tua gesta e l'infamia immortal dela tua schiatta. Quella istessa beltà malvagia e ria che fu il tuo premio, il tuo supplicio fia.
163
Quella impudica e disonesta putta che dee con dolce incendio arderti il core, ancor sarà dela tua patria tutta e di tutto il tuo regno ultimo ardore. Caduto Ilio per te, Troia distrutta, così ferisce e così scalda amore, sarà del'armi e dele fiamme gioco, campo di sangue e Mongibel di foco.
164
Tempo verrà, che detestando il fato, perch'abbi i rai del sol goduti e visti, il sen bestemmierai che t'ha portato e l'ora e 'l punto ch'ala luce uscisti. Il rimorso e 'l dolor del'esser nato fia 'l minor mal che la tua vita attristi. Del'aver sostenuto un sì vil pondo farà sol la memoria infame il mondo.
165
Le stelle che tal peste hanno concetta, l'aure ch'al suo natal nutrita l'hanno, quelle congiureransi ala vendetta, queste il proprio fallir sospireranno. Natura, che per te fia maledetta, t'aborrirà con rabbia e con affanno; e farà che nel fine albergo e fossa neghi al'anima il ciel, la terra al'ossa".
166
Dopo la dea di Samo a lui si volta con cruccioso parlar l'altra più casta, né la superbia e l'ira al petto accolta la modestia del viso a coprir basta: "Lingua bugiarda e temeraria e stolta, (dice, con fiera man crollando l'asta) ben si conforma il tuo decreto iniquo al cor fellone ed al pensiero obliquo.
167
Ah! così ben distribuisci i premi preso a vil'esca di fallaci inganni? Così mi paghi i gloriosi semi, ch'io t'infusi nel cor fin da' prim'anni, che la lascivia essalti e 'l valor premi e 'l vizio abbracci e la virtù condanni e per sozza mercé di molli vezzi onor rifiuti e castità disprezzi?
168
Ma per cotesta tua data in malpunto sentenza detestabile e proterva, non vien già la mia stima a mancar punto, ch'io pertutto sarò sempre Minerva. Se perdo il pomo, in un medesmo punto il merto e la ragion mi si conserva, a te 'l danno col biasmo, e fia ben pronta l'occasion di vendicar quest'onta.
169
Sarà questo tuo pomo empio e nefando seminario di guerre e di ruine. Che farai, che dirai, misero, quando cotante ti vedrai stragi vicine? Pentito alfin piangendo e sospirando t'accorgerai con tardo senno alfine quant'erra quei che, dietro a scorte infide, la ragion repulsando al senso arride".
170
Al parlar dela coppia altera e vaga l'infelice pastor trema qual foglia, e del'audacia sua pentito, paga il passato piacer con doppia doglia, laqual ne' suoi sospir par che presaga strani infortuni annunziar gli voglia. Ma partite le due, Venere bella soavissimamente gli favella:
171
"Paride caro, e qual timor t'assale? s'è teco Amor di che temer più dei? Non sai che 'nsu la punta del suo strale tutti i trionfi stan, tutti i trofei? ch'appo 'l valor che sovr'ogni altro vale sono impotenti i più potenti dei? e che del foco suo l'invitta forza di Giove istesso le saette ammorza?
172
Quell'unica beltà ch'io già ti dissi, ti farà fortunato infra le pene. Le chiome ch'indorar porian gli abissi, fian del'anima tua dolci catene. Quelle possenti a rischiarar l'ecclissi, idoli del tuo cor, luci serene ti faranno languir di tal ferita ch'avrai sol per morir cara la vita.
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Sì ben d'ogni bellezza in quel bel volto epilogato il cumulo s'unisce e sì perfettamente insieme accolto quanto ha di bel la terra in lei fiorisce, che l'istessa Beltà, vinta di molto, il paraggio ne teme e n'arrossisce; e d'aver lavorato un sì bel velo pugnan tra loro e la Natura e 'l Cielo.
174
Or non può sola imaginata l'ombra dela figura che t'accenno or io, con quella idea che nel pensier t'adombra felicitar per sempre il tuo desio? Sì sì, sostien l'alta speranza e sgombra dal petto ogni timor, Paride mio, sapendo che d'Amor la genitrice di tutto il suo poter t'è debitrice".
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A quest'ultimo motto ancelle e paggi, Grazie ed Amori intorno a lei s'uniro, e 'l carro cinto di purpurei raggi spalmando per lo sferico zaffiro, la portar da que' luoghi ermi e selvaggi sovra l'ali de' cigni al terzo giro, e dipar con gli augei bianchi e canori sen gir cantando e saettando fiori.
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Qual meraviglia poi ch'alcuno, avezzo i piati a giudicar de' cittadini, real ministro, per lusinga o prezzo dala via del dever talor declini, se 'n virtù sol d'un amoroso vezzo costui trapassa i debiti confini? e d'un futuro e tragico piacere il promesso guadagno il fa cadere?
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Che non potran la face e l'arco d'oro? Qual cor non fia dale lor forze oppresso, se 'l sacro olivo e 'l sempiterno alloro inducono a sprezzar Paride istesso? e l'umil mirto ei preferisce loro anzi più tosto il funeral cipresso, poiché 'l suo nome, onde si canta e scrive, per tante morti immortalato vive? –
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Tenea l'orecchie il bell'Adone intente le lodi ad ascoltar di Citerea, e si gia figurando entro la mente la bella ancor non conosciuta dea. Ma giunti al loco ove del dì cocente Clizio sottrarsi al gran calor devea, dal benigno pastor tolta licenza con pensier di tornar fece partenza.
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Tolto apena commiato, un caso estrano, mercé d'Amor che lo scorgea, gli avenne. Prese un cervo a seguir che per quel piano parve in fuggendo aver ne' piè le penne; e poch'assai seguito ei l'ebbe invano, stanco il passo e smarrito alfin ritenne là dove molto da villaggi e case e da gregge e pastor lunge rimase.
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