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ilmarino testo integrale, brano completo, citazione delle fonti, commedie opere storiche opere letterarie in prosa e in versi, operaomnia #
CANTO PRIMO
La Fortuna
ALLEGORIA
Nella sferza di rose e di spine con cui Venere batte il figlio si figura la qualità degli amorosi piaceri, non giamai discompagnati da' dolori. In Amore che commove prima Apollo, poi Vulcano e finalmente Nettuno, si dimostra quanto questa fiera passione sia potente per tutto, eziandio negli animi de' grandi. In Adone che con la scorta della Fortuna dal paese d'Arabia sua patria passa all'isola di Cipro, si significa la gioventù che sotto il favore della prosperità corre volentieri agli amori. Sotto la persona di Clizio s'intende il signor Giovan Vincenzo Imperiali, gentiluomo genovese di belle lettere, che questo nome si ha appropriato nelle sue poesie. Nelle lodi della vita pastorale si adombra il poema dello Stato rustico, dal medesimo leggiadramente composto.
ARGOMENTO
Passa in picciol legnetto a Cipro Adone dale spiagge d'Arabia, ov'egli nacque. Amor gli turba intorno i venti e l'acque, Clizio pastor l'accoglie in sua magione.
1
Io chiamo te, per cui si volge e move la più benigna e mansueta sfera, santa madre d'Amor, figlia di Giove, bella dea d'Amatunta e di Citera; te, la cui stella, ond'ogni grazia piove, dela notte e del giorno è messaggiera; te, lo cui raggio lucido e fecondo serena il cielo ed innamora il mondo,
2
tu dar puoi sola altrui godere in terra di pacifico stato ozio sereno. Per te Giano placato il tempio serra, addolcito il Furor tien l'ire a freno; poiché lo dio del'armi e dela guerra spesso suol prigionier languirti in seno e con armi di gioia e di diletto guerreggia in pace ed è steccato il letto.
3
Dettami tu del giovinetto amato le venture e le glorie alte e superbe; qual teco in prima visse, indi qual fato l'estinse e tinse del suo sangue l'erbe. E tu m'insegna del tuo cor piagato a dir le pene dolcemente acerbe e le dolci querele e 'l dolce pianto; e tu de' cigni tuoi m'impetra il canto.
4
Ma mentr'io tento pur, diva cortese, d'ordir testura ingiuriosa agli anni, prendendo a dir del foco che t'accese i pria sì grati e poi sì gravi affanni, Amor, con grazie almen pari al'offese lievi mi presti a sì gran volo i vanni e con la face sua, s'io ne son degno, dia quant'arsura al cor, luce al'ingegno.
5
E te, ch'Adone istesso, o gran Luigi, di beltà vinci e di splendore abbagli e, seguendo ancor tenero i vestigi del morto genitor, quasi l'agguagli, per cui suda Vulcano, a cui Parigi convien che palme colga e statue intagli, prego intanto m'ascolti e sostien ch'io intrecci il giglio tuo col lauro mio.
6
Se movo ad agguagliar l'alto concetto la penna, che per sé tanto non sale, facciol per ottener dal gran suggetto col favor che mi regge ed aure ed ale. Privo di queste, il debile intelletto, ch'al ciel degli onor tuoi volar non vale, teme al'ardor di sì lucente sfera stemprar l'audace e temeraria cera.
7
Ma quando quell'ardir ch'or gli anni avanza, sciogliendo al vento la paterna insegna per domar la superbia e la possanza del tiranno crudel che 'n Asia regna, vinta col suo valor l'altrui speranza fia che 'nsu 'l fiore a maturar si vegna, allor, con spada al fianco e cetra al collo, l'un di noi sarà Marte e l'altro Apollo.
8
Così la dea del sempreverde alloro, parca immortal de' nomi e degli stili, ale fatiche mie con fuso d'oro di stame adamantin la vita fili e dia per fama a questo umil lavoro viver fra le pregiate opre gentili, come farò che fulminar tra l'armi s'odan co' tuoi metalli anco i miei carmi.
9
La donna che dal mare il nome ha tolto dove nacque la dea ch'adombro in carte, quella che ben a lei conforme molto produsse un novo Amor d'un novo Marte, quella che tanta forza ha nel bel volto quant'egli ebbe nel'armi ardire ed arte, forse m'udrà, né sdegnerà che scriva tenerezze d'amor penna lasciva.
10
Ombreggia il ver Parnaso e non rivela gli alti misteri ai semplici profani, ma con scorza mentita asconde e cela, quasi in rozzo Silen, celesti arcani. Però dal vel che tesse or la mia tela in molli versi e favolosi e vani questo senso verace altri raccoglia: smoderato piacer termina in doglia.
11
Amor pur dianzi, il fanciullin crudele, Giove di nova fiamma acceso avea. Arse di sdegno e 'l cor d'amaro fiele sparsa, gelò la sua gelosa dea, e 'ncontro a lui con flebili querele richiamossi del torto a Citerea; onde il garzon sovra l'etade astuto dala materna man pianse battuto.
12
– Oimé, possibil fia (dicea Ciprigna) ch'io mai per te di pace ora non abbia? Qual cerasta più livida e maligna nutre del Nilo la deserta sabbia? qual furia insana, o qual arpia sanguigna là negli antri di stige ha tanta rabbia? Dimmi, quel tosco ond'ogni core appesti, aspe di paradiso, onde traesti?
13
Vuoi tu più mai contaminar di Giuno le leggittime gioie e i casti amori? Udrò di te mai più richiamo alcuno, ministro di follie, fabro d'errori, sollecito avoltor, verme importuno, morbo de' sensi, ebrietà de' cori, di fraude nato e di furor nutrito, omicida del senno, empio appetito?
14
Ira mi vien di romperti que' lacci e quell'arco che fa piaghe sì grandi, né so chi mi ritien ch'or or non stracci quante reti malvage ordisci e spandi, che per sempre dal ciel non ti discacci, che 'n essilio perpetuo io non ti mandi su i gioghi ircani e tra le caspie selve, arcier villano, a saettar le belve.
15
Che tu fra gli egri e languidi mortali, di cui s'odono ognor gridi e lamenti, semini colaggiù martiri e mali, convien, malgrado mio, ch'io mi contenta; ma soffrirò che 'n ciel vibri i tuoi strali, non perdonando ale beate genti? che sostengan per te strazi sì rei, serpentello orgoglioso, anco gli dei?
16
Che più? fin dele stelle il sommo duce questo malnato di sforzar si vanta, e spesso a stato tale anco il riduce ch'or in mandra or in nido, or mugghia or canta. Un pestifero mostro, orbo di luce, avrà dunque fra noi baldanza tanta? un, che la lingua ancor tinta ha di latte, cotanto ardisce? – E ciò dicendo il batte.
17
Con flagello di rose insieme attorte ch'avea groppi di spine, ella il percosse e de' bei membri, onde si dolse forte, fe' le vivaci porpore più rosse. Tremaro i poli e la stellata corte a quel fiero vagir tutta si mosse; mossesi il ciel, che più d'Amor infante teme il furor che di Tifeo gigante.
18
Dela reggia materna il figlio uscito, con quello sdegno allor se n'allontana con cui soffiar per l'arenoso lito calcata suol la vipera africana o l'orso cavernier, quando ferito si scaglia fuor dela sassosa tana e va fremendo per gli orror più cupi dele valli lucane e dele rupi.
19
Sferzato e pien di dispettosa doglia, fuggì piangendo ala vicina sfera, là dove cinto di purpurea spoglia, gran monarca de' tempi, il Sole impera e 'nsu l'entrar dela dorata soglia, stella nunzia del giorno e condottiera, Lucifero incontrò, che 'n oriente apria con chiave d'or l'uscio lucente.
20
E 'l Crepuscolo seco, a poco a poco uscito per la lucida contrada sovra un corsier di tenebroso foco, spumante il fren d'ambrosia e di rugiada, di fresco giglio e di vivace croco forier del bel mattin spargea la strada e con sferza di rose e di viole affrettava il camino innanzi al Sole.
21
La bella luce, che 'n su l'aurea porta aspettava del Sol la prima uscita, era di Citerea ministra e scorta, d'amoroso splendor tutta crinita. Per varcar l'ombre innanzi tempo sorta già la biga rotante avea spedita e 'l venir dela dea stava attendendo, quando il fier pargoletto entrò piangendo.
22
Pianse al pianger d'Amor la mattutina del re de' lumi ambasciadrice stella e di pioggia argentata e cristallina rigò la faccia rugiadosa e bella, onde di vive perle accolte in brina potè l'urna colmar l'Alba novella, l'Alba che l'asciugò col vel vermiglio l'umido raggio al lagrimoso ciglio.
23
Ricoverato al ricco albergo Amore, trovò che, posto a' corridori il morso, già s'era accinto il principe del'ore con la verga gemmata al novo corso e i focosi destrier, sbuffando ardore, l'altere iube si scotean su 'l dorso e, sdegnosi d'indugio, il pavimento ferian co' calci e co' nitriti il vento.
24
Sta quivi l'Anno sovra l'ali accorto, che sempre il fin col suo principio annoda e 'n forma d'angue innanellato e torto morde l'estremo ala volubil coda e, qual Anteo caduto e poi risorto, cerca nova materia ond'egli roda; v'ha la serie de' Mesi e i Dì lucenti, i lunghi e i brevi, i fervidi e gli algenti.
25
L'aurea corona, onde scintilla il giorno, del Tempo gli ponean le quattro figlie. Due schiere avea d'alate ancelle intorno, dodici brune e dodici vermiglie. Mentre accoppiavan queste al carro adorno gli aurati gioghi e le rosate briglie, gli occhi di foco il Sol rivolse e 'l pianto vide d'Amor, che gli languiva a canto.
26
Era Apollo di Venere nemico e tenea l'odio ancor nel petto vivo, daché lassù del'adulterio antico publicò lo spettacolo lascivo, quando accusò del talamo impudico al fabro adusto il predator furtivo e, con vergogna invidiata in cielo, ai suoi dolci legami aperse il velo.
27
Orché gli espone Amor sua grave salma: – E che sciocchi dolor (dice) son questi? Se' tu colui che litigar la palma in riva di Peneo meco volesti? Tu tu, mente del mondo, alma d'ogni alma, vincitor de' mortali e de' celesti, or con strale arrotato e face accesa vendicar non ti sai di tanta offesa?
28
Quanto fora il miglior, sicome afflitto di lagrime infantili il volto or bagni, volgere il duolo in ira e 'l dardo invitto aguzzar nel'ingiuria onde ti lagni? Fa che con petto lacero e trafitto per te pianga colei per cui tu piagni; ché, se vorrai, non senza gloria e nome seguiranne l'effetto; ascolta come.
29
Là nela region ricca e felice d'Arabia bella, Adone il giovinetto, quasi competitor dela fenice senza pari in beltà vive soletto. Adon nato di lei, cui la nutrice col proprio genitor giunse in un letto, di lei che, volta in pianta, i suoi dolori ancor distilla in lagrimosi odori.
30
Schernì la scelerata il re malsaggio accesa il cor di sozzo foco indegno, ond'egli poi per così grave oltraggio quant'ella già d'amore, arse di sdegno e le convenne in loco ermo e selvaggio girne ad esporre il malconcetto pegno, pegno furtivo, a cui la propria madre fu sorella in un punto, avolo il padre.
31
Fattezze mai sì signorili e belle non vide l'occhio mio lucido e chiaro. Sventurato fanciullo, a cui le stelle prima il rigor che lo splendor mostraro: contro gli armò crude influenzie e felle, ancor da lui non visto, il cielo avaro, poiché, mentre l'un sorse e l'altra giacque, al morir dela madre il figlio nacque.
32
Qual trofeo più famoso? e qual altronde spoglia attendi più ricca o più superba, se per costui, ch'or prende a solcar l'onde, il cor le ferirai di piaga acerba? Dolci le piaghe fian, ma sì profonde ch'arte non vi varrà di pietra o d'erba. Questa fia del tuo mal degna vendetta: spirto di profezia così mi detta.
33
Più oltre io ti dirò. Mira là dove a caratteri egizzi in note oscure intagliati vedrai per man di Giove i vaticini del'età future: havvi quante il destino al mondo piove da' canali del ciel sorti e venture, che de' pianeti al numero costrutte sono in sette metalli incise tutte.
34
Quivi ciò che seguir deggia di questo legger potrai, quasi in vergate carte: prole tal nascerà del bell'innesto, che non ti pentirai d'avervi parte. In lei, pur come gemme in bel contesto, saran tutte del ciel le grazie sparte; e questa, o per tai nozze apien beato, al tiranno del mar promette il fato.
35
Se ciò farai, non pur n'andrà in oblio la memoria tra noi de' gran contrasti, ma tal premio n'avrai d'un dono mio, che 'n mercé di tant'opra io vo' che basti; lira nel mio Parnaso aurea serb'io, ch'ha d'or le corde e di rubino i tasti; fu d'Armonia tua suora ed io di lei con questa celebrai gli alti imenei.
36
Questa fia tua. Così qualor ti stai di cure e d'armi alleggerito e scarco musico com'arcier, trattar potrai il plettro a par di me non men che l'arco; ché l'armonia non sol ristora assai qualunque sia più faticoso incarco, ma molto può co' numeri sonori ad eccitare ed incitar gli amori. –
37
Fur queste efficacissime parole folli, ch'al folle cor soffiaro orgoglio, ond'irritato abbandonò del Sole senza far motto il lampeggiante soglio e, ruinando dal'eterea mole inver le piagge del materno scoglio, corse col tratto dele penne ardenti, più che vento leggier, le vie de' venti.
38
Come prodigiosa acuta stella, armata il volto di scintille e lampi, fende del'aria, orribil sì ma bella passaggiera lucente, i larghi campi; mira il nocchier da questa riva e quella con qual purpureo piè la nebbia stampi e con qual penna d'or scriva e disegni le morti ai regi e le cadute ai regni:
39
così mentrech'Amor dal ciel disceso scorrendo va la region più bassa, con la face impugnata e l'arco teso gran traccia di splendor dietro si lassa; d'un solco ardente e d'auree fiamme acceso riga intorno le nubi ovunque passa e trae per lunga linea in ogni loco striscia di luce, impression di foco.
40
Su 'l mar si cala, e sicom'ira il punge, sestesso aventa impetuoso a piombo; circonda i lidi quasi mergo e lunge fa del'ali stridenti udire il rombo; né grifagno falcon quando raggiunge col fiero artiglio il semplice colombo fassi lieto così, com'ei diventa quando il leggiadro Adon gli si presenta.
41
Era Adon nel'età che la facella sente d'Amor più vigorosa e viva ed avea dispostezza ala novella acerbità degli anni intempestiva, né su le rose dela guancia bella alcun gemoglio ancor d'oro fioriva o, se pur vi spuntava ombra di pelo, era qual fiore in prato o stella in cielo.
42
In bionde anella di fin or lucente tutto si torce e si rincrespa il crine; del'ampia fronte in maestà ridente sotto gli sorge il candido confine; un dolce minio, un dolce foco ardente, sparso tra vivo latte e vive brine, gli tinge il viso in quel rossor che suole prender la rosa infra l'aurora e 'l sole.
43
Ma chi ritrar del'un e l'altro ciglio può le due stelle lucide serene? chi dele dolci labra il bel vermiglio, che di vivi tesor son ricche e piene? o qual candor d'avorio o qual di giglio la gola pareggiar, ch'erge e sostiene, quasi colonna adamantina, accolto un ciel di meraviglie in quel bel volto?
44
Qualor feroce e faretrato arciero di quadrella pungenti armato e carco, affronta o segue, inun leggiadro e fiero, o fere attende fuggitive al varco e in atto dolce cacciator guerriero saettando la morte incurva l'arco, somiglia intutto Amor, senon che solo mancano a farlo tale il velo e 'l volo.
45
Egli tanto tesoro in lui raccolto di natura e d'amor par ch'abbia a vile e cerca del bel ciglio e del bel volto turbar il sole, inorridir l'aprile, ma, minacci cruccioso o vada incolto, esser però non sa senon gentile e, rustico quantunque e sdegnosetto, convien pur ch'altrui piaccia a suo dispetto.
46
Or mentre per l'arabiche foreste, dov'ei nacque e menò l'età primiera, l'orme seguia per quelle macchie e queste d'alcuna vaga e timidetta fera, errore il trasse, o pur destin celeste, dala terra deserta ala costiera, colà dove fa lido ala marina del lembo ultimo suo la Palestina.
47
Giunto ala sacra e gloriosa riva che con boschi di palme illustra Idume, dietro una cerva lieve e fuggitiva stancando il piè, sicom'avea costume, trovò, di guardia e di governo priva, ritratta in secco appo le salse spume, da' pescatori abbandonata e carca d'ogni arredo marin, picciola barca.
48
Ed ecco varia d'abito e di volto strania donna venir vede per l'onde, ch'ha su la fronte il biondo crine accolto tutto in un globo e quel ch'è calvo asconde; vermiglio e bianco il vestimento sciolto con lieve tremolio l'aura confonde; lubrico è il lembo e quasi un aer vano, che sempre a chi lo stringe esce di mano.
49
Nel'ampio grembo ha dela copia il corno e nela destra una volubil palla; fugge ratto sovente e fa ritorno per le liquide vie scherzando a galla; alato ha il piede e più leggiera intorno che foglia al vento si raggira e balla e, mentre move al ballo il piè veloce, in sì fatto cantar scioglie la voce:
50
– Chi cerca in terra divenir beato goder tesori e possedere imperi, stenda la destra in questo crine aurato, ma non indugi a cogliere i piaceri, ché, se si muta poi stagione e stato, perduto ben di racquistar non speri: così cangia tenor l'orbe rotante, nel'incostanza sua sempre costante. –
51
Così cantava; indi, arrestando il canto, con lieto sguardo al bel garzone arrise, ed alo scoglio avicinata intanto spalmò quel legno e 'n sul timon s'assise. – Adon, seguimi (disse) e vedrai quanto cortese stella al nascer tuo promise; prendi la treccia d'or che 'n man ti porgo, né temer di venirne ov'io ti scorgo.
52
Benché vulgare opinione antica mi stimi un idol falso, un'ombra vana e cieca e stolta e di virtù nemica m'appelli, instabil sempre e sempre insana e tiranna impotente altri mi dica vinta talor dala prudenza umana, pur son fata e son diva e son reina, m'ubbidisce natura, il ciel m'inchina.
53
Chiunque Amore o Marte a seguir prende convien che 'l nome mio celebri e chiami; chi solca l'acqua e chi la terra fende o s'alcun v'ha ch'onore e gloria brami, porge preghi al mio nume e voti appende ed io dispenso altrui scettri e reami; toglier posso e donar tutto ad un cenno e quanto è sotto il sol reggo a mio senno.
54
Me dunque adora e 'nsu l'eccelsa cima dela mia rota ascenderai di corto; per me nel trono, onde ti trasse in prima l'empio inganno materno, or sarai scorto; solché poi dove il fato or ti sublima sappi nel conservarti essere accorto, ché spesso suol con preveder periglio romper fortuna rea cauto consiglio. –
55
Tace ciò detto ed egli, vago allora di costeggiar quel dilettoso loco, entra nel legno e del'angusta prora i duo remi a trattar prende per gioco. Ed ecco al sospirar d'agevol ora s'allontana l'arena a poco a poco, siché mentr'ei dal mar si volge ad essa par che navighi ancor la terra istessa.
56
Scorrendo va piacevolmente il lido mentr'è placido e piano il molle argento e da principio, del suo patrio nido rade la riva a passo tardo e lento, indi al'instabil fè del flutto infido sestesso crede e si commette al vento lunge di là dov'a morir va l'onda e con roco latrar morde la sponda.
57
Trasparean sì le belle spiagge ondose, che si potean del'umide spelonche nele profonde viscere arenose ad una ad una annoverar le conche. Zefiri destri al volo, Aure vezzose l'ali scotean: ma tosto lor fur tronche, il mar cangiossi, il ciel ruppe la fede: oh malcauto colui ch'ai venti crede.
58
O stolto quanto industre, o troppo audace fabro primier del temerario legno, ch'osasti la tranquilla antica pace romper del crudo e procelloso regno; più ch'aspro scoglio e più che mar vorace rigido avesti il cor, fiero l'ingegno, quando sprezzando l'impeto marino gisti a sfidar la morte in fragil pino.
59
Per far una leggiadra sua vendetta Amor fu solo autor di sì gran moto; Amor fu ch'a pugnar con tanta fretta trasse turbini e nembi, africo e noto. Ma dela stanca e misera barchetta fu sempr'egli il poppiero, egli il piloto; fece vela del vel, vento con l'ali, e fur l'arco timon, remi gli strali.
60
Dala madre fuggendo iva il figliuolo quasi bandito e contumace intorno, perché, com'io dicea, vinto dal duolo, di fanciullesca stizza arse e di scorno. Né perché poscia il richiamasse, il volo fermar volse giamai né far ritorno e 'n tal dispetto, in tant'orgoglio salse che di vezzo o pregar nulla gli calse.
61
Per gli spazi sen gia del'aria molle scioccheggiando con l'Aure Amor volante e dettava talor rabbioso e folle tragiche rime a più d'un mesto amante; talor lungo un ruscello o sovra un colle piegava l'ali e raccogliea le piante e, dovunque ne giva, il superbetto rubava un core o trapassava un petto.
62
– Non è questo lo stral possente e fiero ch'al rettor dele stelle il fianco offese? per cui più volte dal celeste impero l'aureo scettro deposto in terra scese? quel ch'al quinto del ciel nume guerriero spezzò, passò l'adamantino arnese? quel che punse in Tessaglia il biondo dio, superbo sprezzator del valor mio?
63
Questa la face è pur cui sola adora, nonché la terra e 'l ciel, Stige e Cocito, che strugger fè, che fè languir talora il signor dele fiamme incenerito, quella da cui non si difese ancora di Teti il freddo ed umido marito, che tra' gelidi umori infiamma i fonti, tra l'ombre i boschi e tra le nevi i monti.
64
Ed or costei, da cui con biasmo eterno mill'onte gravi io mi soffersi e tacqui, perché dee le mie forze aver a scherno, seben dal ventre suo concetto io nacqui? Dunque andrà da que' lacci il cor materno libero, a cui, nonch'altri, anch'io soggiacqui? arse per Marte, è ver, ma questo è poco, lieve piaga fu quella e debil foco.
65
Altro ardor più penace, altra ferita vo' che più forte al cor senta pur anco. Si vedrà ch'ella istessa ha partorita la vipera crudel, che l'apre il fianco. Degg'io sempre onorar chi più m'irrita? forse per tema il mio valor vien manco? No no, segua che può... – Così dicea l'implacabil figliuol di Citerea.
66
Mentre che quinci e quindi, or basso or alto vola e rivola il predator fellone, come prima lontan dal verde smalto vede in picciol legnetto il vago Adone, subitamente al disegnato assalto l'armi apparecchia e l'animo dispone e, tutto inteso a tribular la madre, vassene in Lenno ala magion del padre.
67
Nela fuliginosa atra fucina dove il zoppo Vulcan, suo genitore, de' numi eterni i vari arnesi affina tinto di fumo e molle di sudore, entra per fabricar tempra divina d'un aureo strale imperioso Amore, stral ch'efficace e penetrante e forte possa un petto immortal ferire a morte.
68
Libero l'uscio al cieco arciero aperse la gran ferriera del divino artista, parte di già polite opre diverse, parte imperfette ancor, confusa e mista. Colà fan l'armi lampeggianti e terse del celeste guerrier superba vista, qui la folgor fiammeggia alata e rossa del gran fulminator d'Olimpo e d'Ossa.
69
V'è di Pallade ancor lo scudo e l'asta, il rastello di Cerere e 'l bidente, l'acuto spiedo di Diana casta, la grossa mazza d'Ercole possente, la falce, onde Saturno il tutto guasta, l'arco, ond'Apollo uccise il fier serpente, di Nettuno il trafiero e di Plutone con due punte d'acciaio havvi il forcone.
70
Le trombe v'ha con cui volando suona la Fama e gli altrui fatti or biasma or loda; v'ha i ceppi, tra' cui ferri Eolo imprigiona i venti insani e le tempeste inchioda; v'ha le catene, onde talor Bellona il Furor lega e la Discordia annoda; e v'ha le chiavi, ond'a dar pace o guerra Giano il gran tempio suo serra e disserra.
71
Presso al focon di mille ordigni onusto travaglia il nero fabro entro la grotta. Più d'un callo ha la man forte e robusto, ale fatiche essercitata e dotta; ruginosa la fronte, il volto adusto, crespa la pelle ed abbronzata e cotta, sparso il grembial di mill'avanzi e mille di limature e ceneri e faville.
72
Quand'egli scorge il nudo pargoletto, la forbice e 'l martel lascia e sospende e curvo e chino entro il lanoso petto con un riso villan da terra il prende. Tra le ruvide braccia avinto e stretto l'ispido labro per baciarlo stende e la sudicia barba ed incomposta al molle viso e dilicato accosta.
73
Ma mentre ch'egli l'accarezza e stringe, raccolto in braccio, con paterno zelo, Amor, perché baciando il punge e tinge, la faccia arretra dal'irsuto pelo e, con quel sozzo lin che 'l sen gli cinge, per non macchiarsi di carbone il velo, al'aspra guancia d'una in altra ruga del'immondo sudor le stille asciuga.
74
– Padre, dala tua man (poscia gli dice) voglio or or sovrafina una saetta, che fia de' torti tuoi vendicatrice: lascia la cura a me dela vendetta. Il come appalesar né vo' né lice, basti sol tanto, spacciati, ch'ho fretta; non porta indugio il caso, altro or non puoi da me saper, l'intenderai ben poi.
75
Il quadrel ch'io ti cheggio esser conviene di perfetto artificio e ben condotto, ch'esserne fin nele più interne vene deve un petto divin forato e rotto. S'usò mai sforzo ad impiegarsi bene il tuo braccio, il tuo senno esperto e dotto, fa, prego, in cosa ov'hai tanto interesse, del gran saper le meraviglie espresse.
76
Starò qui teco a ministrarti intento sotto la rocca del camin che fuma; accioché 'l foco non rimanga spento, mantice ti farò del'aurea piuma e s'egli averrà pur che manchi il vento al folle che l'accende e che l'alluma, prometto accumular tra questi ardori in un soffio i sospir di mille cori. –
77
Non pon Vulcano in quell'affar dimora, ma sceglie la miglior fra cento zolle, e pria che 'nsu l'incudine sonora ei la castighi, al focolar la bolle; e non la batte e non la tratta ancora finché ben non rosseggia e non vien molle; divenuta poi tenera e vermiglia, con la morsa tenace ei la ripiglia.
78
Amor presente ed assistente al'opra come l'abbia a temprar, come l'aguzzi gli mostra, accioché poi quando l'adopra non si rompa o si pieghi o si rintuzzi e di sua propria man vi sparge sopra del'umor d'un'ampolla alquanti spruzzi, piena di stille di dogliosi pianti di sfortunati e desperati amanti.
79
Mentr'è caldo il metallo, i tre fratelli ch'un sol occhio hanno in fronte e son giganti, con vicende di tuoni i gran martelli movono a grandinar botte pesanti e 'l dotto mastro al martellar di quelli, che fan tremar le volte arse e fumanti, per dar effetto a quel ch'ha nel disegno, pon gli stromenti in opera e l'ingegno.
80
Tosto che 'l ferro è raffreddato, in prima sbozza il suo lavorìo rozzo ed informe, poi, sotto più sottil minuta lima, con industria maggior gli dà le forme; l'arrota intorno e lo forbisce in cima, applicando al pensier studio conforme; col foco alfin l'indora e col mordente e fa l'acciaio e l'or terso e lucente.
81
Poiché l'egregio artefice alo strale pertutto il liscio e 'l lustro ha dato apieno, n'arma il fanciullo un'asticciuola frale, ma che trafige ogni più duro seno; gl'impenna il calce di due picciol ale e 'l tinge di dolcissimo veleno e, tutto pien d'una superbia stolta, pon la caverna e i lavoranti in volta.
82
Va dela dea che generaro i flutti il baldanzoso e temerario figlio spiando intorno e i ferramenti tutti dela scola fabril mette in scompiglio; or de' ciclopi mostruosi e brutti la difforme pupilla e 'l vasto ciglio, or il corto tallon del piè paterno prende con risi e con disprezzi a scherno.
83
Veggendo alternamente arsicci e neri pestar ferro con ferro i tre gran mostri – Troppo son (dice) deboli e leggieri a librar le percosse i polsi vostri; omai con colpi assai più forti e fieri questa mano a ferir v'insegni e mostri; impari ognun dala mia man, che spezza qualunque di diamante aspra durezza. –
84
Volto a colui, ch'ha fabricato il telo soggiunge poscia: – In questa tua fornace le fiamme son più gelide che gelo, altro ardor più cocente ha la mia face. – Tolto indi in mano il fulmine del cielo e sciolto il freno al'insolenza audace, in cotal guisa, mentre il vibra e move, prende le forze a beffeggiar di Giove:
85
– Deh quanto, o tonator, che dale stelle fai sdegnoso scoppiar le nubi orrende, più dela tua, ch'a spaventar Babelle dal ciel con fiero strepito discende, atta sola a domar genti rubelle senza romor la mia saetta offende; tu de' monti, io de' cori abbiam le palme, l'una fulmina i corpi e l'altra l'alme. –
86
Depon l'arme tonante e ricercando di qua di là l'affumigato albergo, trova di Marte il minaccioso brando, il fin brocchier, l'avantaggiato usbergo. – Or la prova vedrem (dice scherzando) s'a difender son buoni il fianco e 'l tergo. – Lo strale in questa uscir dal'arco lassa, falsa lo scudo e la lorica passa.
87
Di sì fatte follie sorridea seco lo dio distorto, che 'l mirava intanto. – Tu ridi (disse il faretrato cieco) né sai che l'altrui riso io cangio in pianto, e più che la fumea di questo speco, farti d'angoscia lagrimar mi vanto. – Ciò detto al gran Nettun vola leggiero, che nel mondo del'acque ha sommo impero.
88
Velocemente a Tenaro sen viene, e l'aria scossa al suo volar fiammeggia. Abitator dele più basse arene quivi ha Nettun la cristallina reggia, che dal'umor, di cui le sponde ha piene, battuta sempre e flagellata ondeggia. Rende dagli antri cavi eco profonda rauco muggito alo sferzar del'onda.
89
Al'arrivo d'Amor da' cupi fonti sgorga e crespo di spuma il mar s'imbianca, quinci e quindi gli estremi in duo gran monti sospende e in mezzo si divide e manca, e, scoverti del fondo asciutti i ponti, del gran palagio i cardini spalanca. Passa ei nel regno ove la madre nacque, patria de' pesci e region del'acque.
90
Passa e sen va tra l'una e l'altra roccia quasi per stretta e discoscesa valle. L'onda nol bagna e il mar, nonché gli noccia, ritira indietro il piè, volge le spalle. Filano acuto gelo a goccia a goccia ambe le rupi del profondo calle, e tra questo e quell'argine pendente apena ei scorger può l'aria lucente.
91
Né già mentre varcava i calli ondosi la faretra o la face in ozio tenne, ma con acuti stimoli amorosi faville e piaghe a seminar vi venne; e là dove, del'acqua augei squamosi, spiegano i pesci l'argentate penne, tra gl'infiniti esserciti guizzanti sparse mill'esche di sospiri e pianti.
92
Strana di quella casa è la struttura, strano il lavoro e strano è l'ornamento; ha di ruvide pomici le mura e di tenere spugne il pavimento; di lubrico zaffiro è la scultura, dela scala maggior l'uscio è d'argento, variato di pietre e di cocchiglie azzurre e verdi e candide e vermiglie.
93
Nel'antro istesso è la magion di Teti e gran famiglia di Nereidi ha seco, che 'n vari uffici ed essercizi lieti occupate si stan nel cavo speco. Queste con passi incogniti e secreti e per sentier caliginoso e cieco van, del'arida terra irrigatrici, a nutrir piante e fiori, erbe e radici.
94
Intorno e dentro al'umida spelonca chi danzando di lor le piante vibra, chi sceglie o gemma in sabbia o perla in conca, chi fila l'oro e chi l'affina e cribra; qual de' germi purpurei i rami tronca, qual degli ostri sanguigni i pesi libra e sotto il piè d'Amor v'ha molte ninfe che van di musco ad infiorar le linfe.
95
Belle son tutte sì, ma differenti, altra ceruleo ed altra ha verde il crine, altra l'accoglie, altra lo scioglie ai venti, altra intrecciando il va d'alghe marine; e di manti diafani e lucenti velan le membra pure e cristalline; simili al viso ed agili e leggiadre mostran che figlie son d'un stesso padre.
96
Pasce Proteo pastor mandra di foche, orche, pistri, balene ed altri mostri, dele cui voci mormoranti e roche fremon pertutto i cavernosi chiostri; e le guarda e le conta e non son poche, e scagliose han le terga e curvi i rostri; glauchi ha gli occhi lo dio, cilestro il volto, e di teneri giunchi il crine involto.
97
Giunto ala vasta e spaziosa corte stupisce Amor da tuttiquanti i lati, poiché per cento vie, per cento porte cento vi scorge entrar fiumi onorati, che quindi poi con piante oblique e torte tornan per invisibili meati fuor del gran sen, che gli concepe e serra, con chiare vene ad innaffiar la terra.
98
Vede l'Eufrate divisor del mondo, che i bei cristalli suoi rompendo piange. Vede l'original fonte profondo del Nil che 'l mar con sette bocche frange e vede in letto rilucente e biondo del più fino metal corcarsi il Gange, il Gange onde trae l'or, di cui si suole vestir quand'esce insu 'l mattino il sole.
99
Vede pallido il Tago insu la riva non men ricchi sputar vomiti d'oro e trar groppi di gel nel'onda viva il Reno e l'Istro e 'l Rodano sonoro; di salce il Mincio, l'Adige d'oliva, l'Arno alpar del Peneo cinto d'alloro, di pampini il Meandro e d'edre l'Ebro e d'auree palme incoronato il Tebro.
100
Vede di verdi pioppe ombrar le corna l'Eridano superbo e trionfale, ch'ove il rettor del pelago soggiorna vien dal'Alpi a votar l'urna reale e mercé de' suoi duci il ciglio adorna di splendor glorioso ed immortale, onde quel ch'è nel ciel, di lume agguaglia e con fronte di luna il sole abbaglia.
101
Poi di grido minor ne vede molti che con rami divisi in varie parti per l'Italia felice errano sciolti, del gran padre Appennin concetti e parti e, quai di canna e quai di mirto avolti le tempie e quai di rosa ornati e sparti, somministran con l'acque in lunga schiera sempiterno alimento a primavera.
102
Tra questi, umil figliuol del bel Tirreno, il mio Sebeto ancor l'acque confonde, picciolo sì, ma di delizie pieno, quanto ricco d'onor, povero d'onde. – Giriti intorno il ciel sempre sereno, né sfiori aspra stagion le belle sponde, né mai la luce del tuo vivo argento turbi con sozzo piè fetido armento.
103
Giacque in te la Sirena e per te poi sorger virtute e fiorir gloria io veggio, trono di Giove e di pregiati eroi felice albergo e fortunato seggio; dolce mio porto, agli abitanti tuoi, ne' cui petti ho il mio nido, eterno io deggio. Padre di cigni e lor ricovro eletto, e de' fratelli miei fido ricetto. –
104
Con questi encomi affettuosi Amore del patrio fiume mio le lodi spande, che 'l riconosce al limpido splendore che fra mill'altri è segnalato e grande e de' cedri fioriti al grato odore di cui s'intesse al crin verdi ghirlande. Intanto nela gelida caverna, dove siede Nettuno, i passi interna.
105
Seggio di terso oriental cristallo preme de' flutti il regnator canuto, che da colonne d'oro e di corallo con basi di diamante è sostenuto. E chi d'una testudine a cavallo chi d'un delfin, chi d'un vitel cornuto, cento altri dei minor, numi vulgari, cedono a lui la monarchia de' mari.
106
– Non pensar che per ira (Amor gli disse) gran padre dele cose a te ne vegna, ché non può dio di pace amar le risse e nel petto d'Amore odio non regna; ma perché novamente il ciel prefisse impresa al'arco mio nobile e degna, per render l'opra agevole e spedita di cortese favor ti cheggio aita.
107
Tu vedi là, dove di Siria siede la spiaggia estrema che col mar confina, vago fanciul del mio bel regno erede col remo essercitar l'onda marina. Questo, che di bellezza ogni altro eccede, ala mia bella madre il ciel destina, onde frutto uscir dee di beltà tanta che fia simile intutto ala sua pianta.
108
Se deriva da te l'origin mia, s'a chi mi generò desti la cuna, se 'l tuo desir, quando d'amor languìa, ottenne unqua da me dolcezza alcuna, accioch'io possa per più facil via condurlo a posseder tanta fortuna, mercé di quanto feci o a far mi resta siami nel regno tuo breve tempesta.
109
Di questa immensa tua liquida sfera turbar la bella e placida quiete piacciati tanto sol, ch'innanzi sera, venga Adone a cader nela mia rete; e fia tutto a suo pro, perché non pera sì ricca merce in malsecuro abete, il cui navigio con incerta legge più 'l timor che 'l timon governa e regge.
110
Sai che quando Ciprigna in novi amori occupata non è, com'ha per uso, usurpando a Minerva i suoi lavori non sa senon trattar la spola o 'l fuso, onde inutil letargo opprime i cori, torpe spento il mio foco, il dardo ottuso, manca il seme ala vita ed infecondo a rischio va di spopolarsi il mondo.
111
Oltre queste cagion, per cui devrei impetrar qualch'effetto ale mie voci, dee l'util proprio almeno a' preghi miei far più le voglie tue pronte e veloci: da questi felicissimi imenei corteggiata da mille e mille proci, Beroe uscirà, che più d'ogni altra bella fia dele Grazie l'ultima sorella.
112
Costei, sicome mi mostraro in cielo l'adamantine tavole immortali, dove nel cerchio del signor di Delo Giove scolpì gli oracoli fatali, concede al re del liquefatto gelo l'alto tenor di quegli eterni annali, perché venga a scaldar col dolce lume del freddo letto tuo l'umide piume.
113
Ma quando ancor da quel ch'ivi scolpio chi move il tutto, il fato altro volgesse, seben di Tebe il giovinetto dio fia tuo rival nele bellezze istesse, a dispetto del ciel tel promett'io, scritte in diamante sien le mie promesse. Io, che Giove o destin punto non curo, per l'acque sacre e per mestesso il giuro. –
114
Così parlava e 'l re del'onde intanto a lui si volse con tranquilla faccia: – O domatore indomito di quanto il ciel circonda e l'oceano abbraccia, a chi può dar altrui letizia e pianto ragion è ben ch'apieno or si compiaccia: spendi comunque vuoi quanto poss'io, pende dal cenno tuo l'arbitrio mio.
115
E qual'onda fia mai, ch'a tuo talento qui non si renda o torbida o tranquilla, s'ardon nel molle e mobile elemento per Cimotoe Triton, Glauco per Scilla? Come fia tardo ad ubbidirti il vento se 'l re de' venti ancor per te sfavilla e ricettan l'ardor ne' freddi cori Borea d'Orizia e Zefiro di Clori?
116
Tu virtù somma de' superni giri, dispensier dele gioie e de' piaceri, imperador de' nobili desiri illustrator de' torbidi pensieri, dolce requie de' pianti e de' sospiri, dolce union de' cori e de' voleri, da cui natura trae gli ordini suoi, dio dele meraviglie e che non puoi?
117
Sicome tanti qui fiumi che vedi, del mio reame tributari sono, così, signor che l'anime possiedi, tributario son io del tuo gran trono. Onde a quant'oggi brami e quanto chiedi da questo scettro a te devoto in dono, o gioia, o vita universal del mondo, altro che l'esseguir più non rispondo. –
118
Così dice Nettuno e così detto crolla l'asta trisulca e 'l mar scoscende. D'alpi spumose oltre il ceruleo letto cumulo vasto inver le stelle ascende; urtansi i venti in minaccioso aspetto, dele concave nubi anime orrende e par che rotto o distemprato in gelo voglia nel mar precipitare il cielo.
119
Borea d'aspra tenzon tromba guerriera sfida il turbo a battaglia e la procella; curva l'arco dipinto Iride arciera, e scocca lampi in vece di quadrella; vibra la spada sanguinosa e fiera il superbo Orion, torbida stella e 'l ciel minaccia ed ale nubi piene d'acqua insieme e di foco apre le vene.
120
Fuor del confin prescritto in alto poggia tumido il mar di gran superbia e cresce; ruinosa nel mar scende la pioggia, il mar col cielo, il ciel col mar si mesce; in novo stile, in disusata foggia, l'augello il nuoto impara, il volo il pesce; oppongonsi elementi ad elementi, nubi a nubi, acque ad acque e venti a venti.
121
Potè, tant'alto quasi il flutto sorse, la sua sete ammorzar la cagna estiva e di nova tempesta a rischio corse, non ben secura in ciel, la nave argiva. E voi fuor d'ogni legge, o gelid'orse, malgrado ancor dela gelosa diva, nel mar vietato i luminosi velli lavaste pur dele stellate pelli.
122
Deh che farai dal patrio suol lontano, misero Adone, a navigar mal atto? vaghezza pueril tanto pian piano il mal guidato palischelmo ha tratto, che la terra natia sospiri invano, dal gran rischio confuso e sovrafatto. Tardi ti penti e sbigottito e smorto omai cominci a desperar del porto.
123
Già già convien che il timido nocchiero al'arbitrio del caso s'abbandoni; fremono per lo ciel torbido e nero fra baleni ondeggianti i rauchi tuoni e tuona anch'egli il re del'acque altero, ch'a suon d'austri soffianti e d'aquiloni, col fulmine dentato, emulo a Giove, tormentando la terra, il mar commove.
124
Corre la navicella e ratta e lieve la corrente del mar seco la porta; piega l'orlo talvolta e l'onda beve assai vicina a rimanerne absorta; più pallido e più gelido che neve volgesi Adon, né scorge più la scorta e di morte sì vasta il fiero aspetto confonde gli occhi suoi, spaventa il petto.
125
Ma mentre privo di terreno aiuto l'agitato battel vacilla ed erra, ambo i fianchi sdruscito e combattuto da quell'ondosa e tempestosa guerra, quando il fanciul più si tenea perduto, ecco rapidamente approda in terra e, tra' giunchi palustri insu l'arena vomitato dal'acque, il corso affrena.
126
Oltre l'Egeo, là donde spunta in prima il pianeta maggior che 'l dì rimena, sotto benigno e temperato clima stende le falde un'isoletta amena. Quindi il superbo Tauro erge la cima, quinci il famoso Nil fende l'arena; ha Rodo incontro e di Soria vicini e di Cilicia i fertili confini.
127
Questa è la terra ch'ala dea, che nacque dal'onde con miracolo novello, tanto fu cara un tempo e tanto piacque, che, disprezzato il suo divino ostello, qui sovente godea fra l'ombre e l'acque con invidia del'altro un ciel più bello e v'ebbe eretto, al'immortale essempio dela sua diva imago, altare e tempio.
128
Scende quivi il garzon salvo al'asciutto, ma pur dubbioso e di suo stato incerto, ch'ancor gli par del'orgoglioso flutto veder l'abisso orribilmente aperto. Volgesi intorno e scorge esser pertutto, circondato dal mar, bosco e deserto, ma quella solitudine che vede, gioconda è sì, ch'altro piacer non chiede.
129
Quivi si spiega in un sereno eterno l'aria in ogni stagion tepida e pura, cui nel più fosco e più cruccioso verno pioggia non turba mai, né turbo oscura, ma, prendendo dipar l'ingiurie a scherno del gelo estremo e del'estrema arsura, lieto vi ride né mai varia stile un sempreverde e giovinetto aprile.
130
I discordi animali in pace accoppia Amor, né l'un dal'altro offeso geme; va con l'aquila il cigno in una coppia, va col falcon la tortorella insieme, né dela volpe insidiosa e doppia il semplicetto pollo inganno teme; fede al'amica agnella il lupo osserva, e secura col veltro erra la cerva.
131
Da' molli campi, i cui bennati fiori nutre di puro umor vena vivace, dolce confusion di mille odori sparge e 'nvola volando aura predace: aura, che non pur là con lievi errori suol tra' rami scherzar spirto fugace, ma per gran tratto d'acque anco da lunge peregrinando i naviganti aggiunge.
132
Va oltre Adone e Filomena e Progne garrir ode pertutto ovunque vanne e di stridule pive e rauche brogne sonar foreste e risonar cappanne di villane sordine e di sampogne, di boscherecci zuffoli e di canne e, con alterno suon, da tutti i lati doppiar muggiti e replicar balati.
133
Solitario garzon posarsi stanco vede al'ombra d'un lauro in rozza pietra; ha l'arco a' piedi e gli attraversa il fianco d'un bel cuoio linceo strania faretra; veste pur di cerviero a negro e bianco macchiata spoglia e tiene in man la cetra; dolce con questa al mugolar de' tori accorda il suon de' suoi selvaggi amori.
134
Di dorato coturno ha il piè vestito, eburneo corno a verde fascia appende; ride il labro vivace e colorito, sereno lampo il placid'occhio accende; ha fiorita la guancia, il crin fiorito e fiorita è l'età che bello il rende; tutto in somma di fiori è sparso e pieno, fior la man, fior la chioma e fiori il seno.
135
Formidabil mastin dal destro lato in un groppo giacer presso gli scorse, che con rabbioso ed orrido latrato quando il vide apparir contro gli corse. Ma posto il plettro insu l'erboso prato il cortese villan subito sorse, e l'indomito can, perché ristesse, fugò col grido e col baston corresse.
136
Ubbidisce il superbo, a piè gli piega l'irsuta testa e l'irta coda abbassa; quegli ala gola intorno allor gli lega con tenace cordon serica lassa; poscia il real donzello invita e prega ch'oltre vada securo: ed egli passa. Passa colà, dove raccoglie umile famiglia pastoral rustico ovile.
137
Stassene alcun su le fiorite rive d'una sorgente cristallina e fresca; altri per l'elci folte al'ombre estive i vaghi augelli insidioso invesca; altri ne' verdi faggi intaglia e scrive d'amor tutto soletto il foco e l'esca; altri rintraccia di sua ninfa l'orme, altri salta, altri siede ed altri dorme.
138
Quei con versi d'amor l'aure addolcisce al sussurrar de' lubrici cristalli; questi al tauro, al monton, che gli ubbidisce, insegna al suon dela siringa i balli; qual fiscelle d'ibisco e qual ordisce serti di fiori o purpurini o gialli; chi torce al'agne le feconde poppe, chi di latte empie i giunchi e chi le coppe.
139
Col bel fanciullo, ove grand'ombra stende pergolato di mirti, il pastor siede. Quivi Adon sue fortune a narrar prende, dela contrada e di lui stesso chiede. L'un gli risponde e l'altro intanto pende dal parlar, che d'amore il cor gli fiede. – Strani (gli dice) oltr'ogni creder quasi, peregrino gentil, sono i tuoi casi!
140
Ma cangiar patria omai, deh! non ti spiaccia con sì bel loco e rasserena il ciglio, ché se pur, come mostri, ami la caccia, qui fere avrai senz'ira e senz'artiglio. Né creder vo' che 'ndarno il ciel ti faccia campar da tanto e sì mortal periglio o senz'alta cagion per via sì lunga perduto legno a queste rive giunga.
141
Così compia i tuoi voti amico cielo e secondi i desir destra fortuna, come, fra quanti col suo piè di gelo paesi inferior scorre la luna; non potea più conforme a sì bel velo terra trovarsi o regione alcuna. Certo con lei, che con Amor qui regna, sol di regnar tanta bellezza è degna.
142
L'isola, dove sei, Cipro s'appella, che del mar di Panfilia in mezzo è posta; la gran reggia d'Amor, vedila, è quella ch'io là t'addito inver la destra costa, né, se non quanto il vuol la dea più bella, colà giamai profano piè s'accosta. Scender di ciel qui spesso ella ha per uso; in altro tempo il ricco albergo è chiuso.
143
V'ha poi templi ed altari, havvi Amor seco, simulacri, olocausti e sacerdoti, dove, in segno d'onor, del popol greco pendono affissi in lunga serie i voti. Offrono al nume faretrato e cieco vittime elette i supplici devoti e gli spargono ognor, tra roghi e lumi, di ghirlande e d'incensi odori e fumi.
144
Qui per elezzion, non per ventura, già di Liguria ad abitar venn'io; pasco per l'odorifera verdura i bianchi armenti, e Clizio è il nome mio; del suo bel parco la custodia in cura diemmi la madre del'alato dio dov'entrar, fuorch'a Venere, non lice, ed ala dea selvaggia e cacciatrice.
145
Trovato ho in queste selve ai flutti amari d'ogni umano travaglio il vero porto; qui dale guerre de' civili affari quasi in securo asilo, il ciel m'ha scorto; serici drappi non mi fur sì cari come l'arnese ruvido ch'io porto ed arno meglio le spelonche e i prati, che le logge marmoree e i palchi aurati.
146
Oh quanto qui più volentieri ascolto i sussurri del'acque e dele fronde, che quei del foro strepitoso e stolto che il fremito vulgar rauco confonde! Un'erba, un pomo e di fortuna un volto quanto più di quiete in sé nasconde di quel ch'avaro principe dispensa sudato pane in malcondita mensa.
147
Questa felice e semplicetta gente che qui meco si spazia e si trastulla, gode quel ben che tenero e nascente ebbe a goder sì poco il mondo in culla: lecita libertà, vita innocente, appo 'l cui basso stato il regio è nulla, ché sprezzare i tesor né curar l'oro, questo è secolo d'or, questo è tesoro.
148
Non cibo o pasto prezioso e lauto il mio povero desco orna e compone; or damma errante, or cavriuolo incauto l'empie, or frutto maturo in sua stagione; detto talora a suon d'avena o flauto ai discepoli boschi umil canzone; serva no, ma compagna amo la greggia; questa mandra malculta è la mia reggia.
149
Lunge da' fasti ambiziosi e vani m'è scettro il mio baston, porpora il vello, ambrosia il latte, a cui le proprie mani scusano coppa e nettare il ruscello; son ministri i bifolci, amici i cani, sergente il toro e cortigian l'agnello, musici gli augelletti e l'aure e l'onde, piume l'erbette e padiglion le fronde.
150
Cede a quest'ombre ogni più chiara luce, ai lor silenzi i più canori accenti; ostro qui non fiammeggia, or non riluce, di cui sangue e pallor son gli ornamenti; se non bastano i fior che 'l suol produce, di più bell'ostro e più bell'or lucenti, con sereno splendor spiegar vi suole pompe d'ostro l'aurora e d'oro il sole.
151
Altro mormorator non è che s'oda qui mormorar che 'l mormorio del rivo; adulator non mi lusinga o loda fuorché lo specchio suo limpido e vivo; livida invidia, ch'altrui strugga e roda, loco non v'ha, poich'ogni cor n'è schivo, senon sol quanto in questi rami e 'n quelli gareggiano tra lor gli emuli augelli.
152
Hanno colà tra mille insidie in corte Tradimento e Calunnia albergo e sede, dal cui morso crudel trafitta a morte è l'Innocenza e lacera la Fede; qui non regna Perfidia e, se per sorte, picciol'ape talor ti punge e fiede, fiede senza veleno e le ferite con usure di mel son risarcite.
153
Non sugge qui crudo tiranno il sangue, ma discreto bifolco il latte coglie; non mano avara al poverello essangue la pelle scarna o le sostanze toglie; solo al'agnel, che non però ne langue, havvi chi tonde le lanose spoglie; punge stimulo acuto il fianco a' buoi, non desire immodesto il petto a noi.
154
Non si tratta fra noi del fiero Marte sanguinoso e mortal ferro pungente, ma di Cerere sì, la cui bell'arte sostien la vita, il vomere e 'l bidente, né mai di guerra in questa o in quella parte furore insano o strepito si sente, salvo di quella che talor fra loro fan con cozzi amorosi il capro e 'l toro.
155
Con lancia o brando mai non si contrasta in queste beatissime contrade; sol di Bacco talor si vibra l'asta, onde vino e non sangue in terra cade; sol quel presidio ai nostri campi basta di tenerelle e verdeggianti spade che, nate là su le vicine sponde, stansi tremando a guerreggiar con l'onde.
156
Borea con soffi orribili ben pote crollar la selva e batter la foresta: pacifici pensier non turba o scote di cure vigilanti aspra tempesta. E se Giove talor fiacca e percote del'alte querce la superba testa, in noi non avien mai che scocchi o mandi fulmini di furor l'ira de' grandi.
157
Così tra verdi e solitari boschi consolati ne meno i giorni e gli anni; quel sol, che scaccia i tristi orrori e foschi, serena anco i pensier, sgombra gli affanni; non temo o d'orso o d'angue artigli o toschi, non di rapace lupo insidie o danni, ché non nutre il terren fere o serpenti, o se ne nutre pur, sono innocenti.
158
Se cosa è che talor turbi ed annoi i miei riposi placidi e tranquilli, altri non è ch'amor. Lasso, dapoi che mi giunse a veder la bella Filli, per lei languisco e sol per gli occhi suoi convien che quant'io viva arda e sfavilli e vo' che chiuda una medesma fossa del foco insieme il cenere e del'ossa.
159
Ma così son d'amor dolci gli strali, sì la sua fiamma e la catena è lieve, che mille strazi rigidi e mortali non vagliono un piacer che si riceve. Anzi pur vaga de' suoi propri mali conosciuto velen l'anima beve e 'n quegli occhi ov'alberga il suo dolore, volontaria prigion procaccia il core.
160
Curi dunque chi vuol delizie ed agi, io sol piacer di villa apprezzo ed amo; co' tuguri cangiar voglio i palagi, altro tesor che povertà non bramo; sazio de' vezzi perfidi e malvagi, ch'han sotto l'esca dolce amaro l'amo, qui sol quella ottener gioia mi giova che ciascun va cercando e nessun trova.
161
Non ti meravigliar che la selvaggia vita tanto da me pregiata sia, ch'ancor di Giano insu la patria spiaggia ne cantai già con rustica armonia; onde vanto immortal d'arguta e saggia concesse Apollo ala sampogna mia, de' cui versi lodati in Elicona il ligustico mar tutto risona. –
162
Del maestro d'amor gli amori ascolta stupido Adone ed a' bei detti intento. Colui, poich'affrenò la lingua sciolta, fè da' rozzi valletti in un momento recar copia di cibi, a cui la molta fame accrebbe sapore e condimento; mel di diletto e nettare d'amore soave al gusto e velenoso al core;
163
né mai di loto abominabil frutto di secreta possanza ebbe cotanto né fu giamai con tal virtù costrutto di bevanda circea magico incanto, che non perdesse e non cedesse intutto al pasto del pastor la forza e 'l vanto: licore insidioso, esca fallace, dolce velen ch'uccide e non dispiace.
164
Nel giardin del Piacer le poma colse Clizio amoroso e quindi il vino espresse, ond'ebro in seno il giovinetto accolse fiamme sottili, indi s'accese in esse. Non però le conobbe e non si dolse, ché, finch'uopo non fu, giacquer soppresse, qual serpe ascosa in agghiacciata falda, che non prende vigor se non si scalda.
165
Sente un novo desir ch'al cor gli scende e serpendo gli va per entro il petto; ama né sa d'amar, né ben intende quel suo dolce d'amor non noto affetto; ben crede e vuole amar, ma non comprende qual esser deggia poi l'amato oggetto e pria si sente incenerito il core che s'accorga il suo male essere amore.
166
Amor ch'alzò la vela e mosse i remi quando pria tragittollo al bel paese, va sotto l'ali fomentando i semi dela fiamma ch'ancor non è palese. Fa su la mensa intanto addur gli estremi dela vivanda il contadin cortese; Adon solve il digiuno e i vasi liba, e quei segue il parlar mentr'ei si ciba
167
– Signor, tu vedi il sol ch'aventa i rai di mezzo l'arco, onde saetta il giorno; però qui riposar meco potrai tanto che 'l novo dì faccia ritorno. Ben da sincero cor, prometto, avrai in albergo villan lieto soggiorno; avrai con parca mensa e rozzo letto accoglienze cortesi e puro affetto.
168
Tosto che sussurrar tra 'l mirto e 'l faggio io sentirò l'auretta mattutina, teco risorgerò per far passaggio ala casa d'Amor ch'è qui vicina. Tu poi quindi prendendo altro viaggio, potrai forse saldar l'alta ruina, conosciuto che sii l'unico e vero successor dela reggia e del'impero. –
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Benché non tema il folgorar del sole, tra fatiche e disagi Adon nutrito, di quell'oste gentil non però vole sprezzar l'offerta o ricusar l'invito. Risposto al grato dir grate parole, quivi di dimorar prende partito e ringrazia il destin che, lasso e rotto, a sì cara magion l'abbia condotto.
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Sceso intanto nel mar Febo a corcarsi lasciò le piagge scolorite e meste e, pascendo i destrier fumanti ed arsi nel presepe del ciel biada celeste, di sudore e di foco umidi e sparsi nel vicino Ocean lavar le teste; e l'un e l'altro sol stanco si giacque, Adon tra' fiori, Apollo in grembo al'acque.
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