|
|
|
ilmarino testo integrale, brano completo, citazione delle fonti, commedie opere storiche opere letterarie in prosa e in versi, operaomnia #
CANTO TERZO
L'innamoramento
ALLEGORIA
In Amore, che ferisce il cuore alla madre, si accenna che questo irreparabile affetto non perdona a chi che sia. In Venere, che s'innamora d'Adone addormentato, si dinota quanto possa in un animo tenero la bellezza, eziandio quando ella non è coltivata. Nella medesima, che volendo guadagnarsi l'affezzion d'Adone cacciatore, prende la sembianza della dea cacciatrice e d'impudica si trasforma in casta, s'inferisce che chiunque vuole adescare altrui si serve di que' mezzi a' quali conosce essere inclinato l'animo di colui che disegna di tirare a sé, e che molte volte la lascivia viene mascherata di modestia; né si trova femina così sfacciata, ch'almeno insu i principi non si ricopra col velo della onestà. Nella rosa tinta del sangue di essa dea ed a lei dedicata, si dimostra che i piaceri venerei son fragili e caduchi; e sono il più delle volte accompagnati da aspre punture o di passione veemente o di pentimento mordace.
ARGOMENTO
Mentreché stanco Adon dorme insu 'l prato, la bella Citerea n'arde d'amore. Egli si desta e pien di pari ardore vassene seco inver l'ostel beato.
1
Perfido è ben Amor, chi n'arde il sente, ma chi è che nol senta o che non n'arda? E pur la cieca e forsennata gente segue il suo peggio e 'l proprio mal non guarda! Fascino dilettoso, ond'uom sovente pasce, credulo augello, esca bugiarda. Vede tese le reti e non le fugge, né vorria non voler quelche lo strugge.
2
Corre vaga farfalla al chiaro lume, solca incauto nocchier le placid'onde; quella nel fiero incendio arde le piume, questo assorbon talor l'acque profonde. Spesso arsenico in oro e per costume rigido tra' bei fiori angue s'asconde; e spesso in dolce pomo ed odorato suol putrido abitar verme celato.
3
Così spada lucente, arco depinto con la pittura e con la luce alletta; ma se l'una è trattata e l'altro è spinto l'una trafige poi, l'altro saetta. Così nuvolo ancor di raggi cinto fiamme nel seno e fulmini ricetta; e con dorato e luminoso crine minaccia empia cometa alte ruine.
4
Sirena, iena, che con falsa voce e con canto mortale altrui tradisce. Foco coverto, ch'assecura e coce, aspe che dorme e 'l tosco in sen nutrisce. Spietato lusinghier, ch'alletta e noce, pietoso micidial, ch'unge e ferisce, cortese carcerier, ch'a' rei di morte quando chiusi li ha in ceppi, apre le porte.
5
Dura legge, se legge esser può dove oppressa la ragion, regna la voglia e l'alma folle in strane guise e nove per vestirsi d'altrui di sé si spoglia. Crudo signor, ch'a forza i sensi move a procacciarsi sol tormento e doglia. Fere come la morte e non perdona senza distinguer mai stato o persona.
6
O del mondo tiranno e di natura, se del materno duol gioisci e godi, qual fia che schermo o scampo alma secura abbia dale tue forze o dale frodi? Lasso, e di me che fia, che 'n prigion dura vivo e scioglier del cor non spero i nodi, finché quel nodo ancor non si discioglia, che tien legata l'anima ala spoglia?
7
Era nela stagion, che 'l can celeste fiamme essala latrando e l'aria bolle, ond'arde e langue in quelle parti e 'n queste il fiore e l'erba e la campagna e 'l colle; e 'l pastor per spelonche e per foreste rifugge al'ombra fresca, al'onda molle mentre che Febo al'animal feroce che fu spoglia d'Alcide il tergo coce.
8
L'olmo, il pino, l'abete, il faggio e l'orno già le braccia e le chiome ombrosi e spessi, che dar sul fil del più cocente giorno agli armenti solean grati recessi, appena or nudi e senza fronde intorno fanno col proprio tronco ombra a sestessi; e mal secura dal'eterna face ricovra agli antri suoi l'aura fugace.
9
Già varcata ha del dì la mezza terza sul carro ardente il luminoso auriga e i volanti corsier, ch'ei punge e sferza, tranno al mezzo del ciel laurea quadriga. Tepidetto sudor, che serpe e scherza, al bell'Adon la bella fronte irriga e 'n vive perle e liquide disciolto cristallino ruscel stilla dal volto.
10
Sotto l'arsura del'estiva lampa, che dal più alto punto il suol percote, tutto anelante il garzonetto avampa e il grave incendio sostener mal pote. Purpureo foco gli colora e stampa di più dolce rossor le belle gote, che 'l sol, che secca i fiori in ogni riva, in que' prati d'amor vie più gli aviva.
11
Mentre che pur, dov'egli arresti il passo, parte cerca più fresca e meno aprica, ode strepito d'acque a piè d'un sasso, vede chiusa valletta al sol nemica. Or questo, il corpo a sollevar già lasso e travagliato assai dala fatica, seggio si sceglie e stima util consiglio qui depor l'armi e dar ristoro al ciglio.
12
Fontana v'ha, cui stende intorno oscura l'ombra sua protettrice annosa pioppa, dove larga nutrice empie Natura di vivace licor marmorea coppa. Latte fresco e soave è l'onda pura, un antro il seno ed un cannon la poppa. A ber sugli orli i distillati umori apron l'avide labbra erbette e fiori.
13
L'arco rallenta e del'usato pondo al fianco ingiurioso il fianco alleggia e 'l volto acceso e 'l crin fumante e biondo lava nel fonte, che 'nsu 'l marmo ondeggia. Poi colà dove il rezzo è più profondo e d'umido smeraldo il suol verdeggia, al'erba in grembo si distende e l'erba ride di tant'onor lieta e superba.
14
Il gorgheggiar de' garruletti augelli, a cui da' cavi alberghi eco risponde; il mormorar de' placidi ruscelli, che van dolce nel margo a romper l'onde; il ventilar de' tremuli arboscelli, dove fan l'aure sibilar le fronde, l'allettar sì, che 'nsu le sponde erbose in un tranquillo oblio gli occhi compose.
15
Non lunge è un colle, che l'ombrosa fronte di mirti intreccia e 'l crin di rose infiora, e del Nilo fecondo il chiuso fonte vagheggia esposto ala nascente aurora. E quando rosseggiar fa l'orizzonte l'aureo carro del sol, che i poggi indora, sente a l'aprir del mattutino Eoo d'Eto i primi nitriti e di Piroo.
16
A piè di questo i suoi giardini ha Clori e qui la dea d'amor sovente riede a corre i molli e rugiadosi odori per far tepidi bagni al bianco piede. Ed ecco sovra un talamo di fiori qui giunta a caso, il giovinetto vede. Ma mentr'ella in Adon rivolge il guardo, Amor crudele in lei rivolge il dardo.
17
Per placar quel feroce animo irato, Venere sua, ch'alpar degli occhi l'ama, con l'esca in man d'un picciol globo aurato gonfio di vento, a sé da lunge il chiama. Tosto che vede il vagabondo alato la palla d'or, di possederla brama, per poter poi con essa in chiuso loco sfidar Mercurio e Ganimede a gioco.
18
Movesi ratto e in spaziosa rota gli omeri dibattendo ondeggia ed erra, solca il ciel con le piume, in aria nuota, or l'apre e spiega, or le ripiega e serra. Or il suol rade, or ver la pura e vota più alta region s'erge da terra. Alfin colà dove Ciprigna stassi china rapido l'ali e drizza i passi.
19
Ella il richiama, egli rifugge, e poi torna, e 'ntorno le scherza alto sui vanni. Anime incaute e semplicette, o voi, non sia chi creda a que' soavi inganni. Fuggite, oimé, gli allettamenti suoi, insidie i vezzi, e son gli scherzi affanni, sempre là dov'ei ride è strazio acerbo; o Dio quanto è crudel, quanto è superbo!
20
Questa dolce magia, che per usanza l'anime nostre a vaneggiar sospinge, tal in sé di piacer ritien sembianza, che quasi in amo d'or le prende e stringe. Or se tanta han d'amor forza e possanza soli gli effetti, allor ch'inganna e finge, deh! che fora a mirar viva e sincera di quel corpo immortal la forma vera?
21
Di splendor tanto e sì sereno ognora quel bel corpo celeste intorno è sparso, che perderebbe ogni altro lume e fora, senza escluderne il sol, debile e scarso. Stupor non sia se Psiche, e chiusi ancora avea gli occhi dal sonno, il cor n'ebb'arso e vide innanzi a quella luce eterna vacillando languir l'aurea lucerna.
22
O se nel fosco e torbido intelletto di quella luce una scintilla avessi, siché come scolpito il chiudo in petto, così scoprirlo agli occhi altrui potessi, farei veder nel suo giocondo aspetto di bellezze divine estremi eccessi; onde, scorgendo in lui tanta bellezza, ragion la madre ha ben se l'accarezza.
23
Bionda testa, occhi azzurri e bruno ciglio, bocca ridente e faccia ha dilicata, né su la guancia ove rosseggia il giglio spunta ancor la lanugine dorata. Piume d'oro, di bianco e di vermiglio quinci e quindi sugli omeri dilata ed ha, come pavon, le penne belle tutte fregiate d'occhi di donzelle.
24
Molli d'ambrosia e di rugiada ha sparte le chiome e l'ali e 'ngarzonisce apena. Bendato e senza spoglie il copre in parte sol una fascia che di cori è piena. Arma la man con infallibil arte d'arco, di stral, di face e di catena. L'accompagna in ogni atto il riso, il gioco, e somiglia al color porpora e foco.
25
Corre ingordo a l'invito e colmo un lembo di fioretti e di fronde in prima coglie, poi poggia in aria e sul materno grembo in colorita grandine lo scioglie; ed ei nel molle ed odorato nembo chiuso e tra fiori involto e tra le foglie piover si lassa leggiermente, e sovra la bellissima dea posa e ricovra.
26
Tal di donna real delizia e cura picciolo can che le sta sempre innanzi, e dele dolci labra ha per ventura di ricevere i baci e ber gli avanzi, se con cenno o con cibo l'assecura la bella man, che lo scacciò pur dianzi, scote la coda e saltellando riede umilemente a rilambirle il piede.
27
Pargoleggiando il bianco collo abbraccia, bacia il bel volto e le mammelle ignude. Ride per ciancia e la vermiglia faccia dentro il varco del petto asconde e chiude. Ella, ch'ancor non sa quai le minaccia l'atto vezzoso acerbe piaghe e crude, colma di gioia tutta e di trastullo si stringe in grembo il lusinghier fanciullo.
28
Stretto in grembo si tien la dea ridente il dolce peso entro le braccia assiso. Sul ginocchio il solleva e lievemente l'agita, il culla e se l'accosta al viso. Or degli occhi ribacia il raggio ardente, or dela bocca il desiato riso; né sa che gonfia di mortal veleno una serpe crudel si nutre in seno.
29
Le colorite piume e le bell'ali che 'l volo scompigliò, l'aura disperse, e le chiome incomposte e diseguali polisce con le man morbide e terse. Ma l'arco traditor, gl'infidi strali, onde dure talor piaghe sofferse, non s'arrischia a toccar, che sa ben ella qual contagio hanno in sé l'aspre quadrella.
30
Seco però, mentre che 'n braccio il tiene, d'alquanto divisar pur si compiace. – Figlio, dimmi (dicea) poiché conviene ch'esser tra noi non deggia altro che pace, perché prendi piacer del'altrui pene? Come sei sì protervo e tanto audace, ch'ognor con l'armi tue turbi e molesti la quiete del cielo e de' celesti? –
31
– Madre (risponde Amor) s'erro talora, ogni error mio per ignoranzia accade. Tu vedi ben che son fanciullo ancora, condona i falli al'immatura etade.– – Tu fanciul? (replicò Venere allora) Chi sì stolto pensier ti persuade? Coetaneo del tempo e nato avante a le stelle ed al ciel, t'appelli infante?
32
Forse perché non hai canute chiome, testesso in ciò semplicemente inganni? e ti dai pur di pargoletto il nome, quasi l'astuzia poi non vinca gli anni? – – E qual mia colpa (Amor soggiunge) o come altri da me riceve offese o danni? perché denno biasmar l'inique genti sol di gioia ministre armi innocenti?
33
In che pecco qualora altrui mostr'io le cose belle? o che gran mal commetto? Non accusi alcun l'arco o il foco mio, ma semedesmo sol, ch'erra a diletto. Se 'l tuo gran padre o qualunqu'altro dio si lagna ale mie forze esser soggetto, dì che 'l dolce non curi, il bel non brami, e chi d'amor non vuol languir, non ami. –
34
Ed ella –:Or tu, ch'ognor tante e sì nove spieghi superbo in ciel palme e trofei; tu, che con alte e disusate prove puoi tutti a senno tuo domar gli dei; tu, che non pur del sommo istesso Giove vittorioso e trionfante sei, ma da' tuoi strali ancor pungenti e duri me, che ti generai, non assecuri,
35
dimmi ond'avien, che sol, pur come spenta abbi la face e la faretra vota, contro Minerva è la tua man sì lenta, che non l'arda già mai né la percota? che sol fra tanti un cor piaghe non senta, che gli sia la tua fiamma intutto ignota, soffrir non posso; o le facelle e i dardi depon per tutti, o lei ferisci ed ardi. –
36
Ed egli: – Oimé! Costei di sì tremendo sembiante arma la fronte e sì severo, che qualor per ferirla io l'arco tendo temo l'aspetto suo virile e fiero. Poi del grand'elmo ador ador scotendo il minaccioso ed orrido cimiero, di sì fatto terror suole ingombrarmi, ch'ala stupida man fa cader l'armi. –
37
Ed ella a lui: – Pur Marte era più molto feroce e formidabile di questa; da' tuoi lacci però non n'andò sciolto, malgrado ancor dela terribil cresta. – Ed egli a lei: – Marte il rigor del volto placa sovente e mi fa gioco e festa, m invita ai vezzi, ad abbracciarmi corre; l'altra sempre mi scaccia e sempre aborre.
38
Talor ch'osai d'avicinarmi alquanto, giurò, per quel signor che regge il mondo, o con l'asta o col piè rotto ed infranto precipitarmi al'erebo profondo. D'angui chiomato ha poi nel petto, ahi quanto squallido in vista! un teschio e furibondo, del cui ciglio uscir suol tanto spavento, che 'n mirarlo agghiacciar tutto mi sento. –
39
– Odi (dic'ella) odi sagace scusa. Sì certo sì. Dunque paventi e tremi nel sen di Palla a risguardar Medusa, e pur di Giove il folgore non temi? Ma dimmi or perché 'l cor d'alcuna Musa non mai del foco tuo riceve i semi? Queste sguardo non han rigido e crudo, né del Gorgone il mostruoso scudo. –
40
– Vero dirotti (egli ripiglia) io queste non temo no, ma reverente onoro. Accompagnata da sembianze oneste virginal pudicizia io scorgo in loro. Poi sempre intente al bel cantar celeste, o in studio altro occupato è il sacro coro; talché non mai, senon ne' molli versi, da conversar tra lor varco m'apersi.–
41
Ed ella allor: – Poiché ritiene a freno tanto furor qui zelo, ivi paura, vorrei saver perché Diana almeno dale quadrella tue vive sicura? – – Né di costei (risponde) il casto seno vaglio a ferir, rivolta ad altra cura. Fugge per monti, né posar concede, sich'ozio mai la signoreggi al piede.
42
Ben ho quel chiaro dio, che di Latona seco nacque in un parto, arciero anch'esso, dico quel che di foco il crin corona, piagato e d'altra fiamma acceso spesso. – Così mentre con lei scherza e ragiona, il tratto studia e le si stringe appresso; e tuttavia dialogando seco, coglie il tempo a colpir l'occhiuto cieco.
43
Dal purpureo turcasso, ilqual gran parte dele canne pungenti in sé ricetta, parve caso improviso e fu bell'arte, la punta uscì dela fatal saetta. Punge il fianco ala madre, indi in disparte timidetto e fugace il volo affretta; in un punto medesmo il fier garzone ferille il core ed additolle Adone.
44
Gira la vista a quel ch'Amor l'addita, che scorgerlo ben può, sì presso ei giace, ed: – Oimé! (grida) oimé ch'io son tradita, figlio ingrato e crudel, figlio fallace! Ahi! qual sento nel cor dolce ferita? ahi! qual ardor che mi consuma e piace? qual beltà nova agli occhi miei si mostra? A dio Marte, a dio ciel, non son più vostra!
45
Pera quell'arco tuo d'inganni pieno, pera, iniquo fanciul, quel crudo dardo. Tu prole mia? no no, di questo seno no che mai non nascesti, empio bastardo! Né mi sovien tal foco e tal veleno concetto aver, per cui languisco ed ardo. Ti generò di Cerbero Megera, o del'oscuro Cao la Notte nera. –
46
Si svelle in questo dir con duolo e sdegno lo stral, ch'è nel bel fianco ancor confitto e tra le penne e 'l ferro in mezzo al legno trova il nome d'Adon segnato e scritto. Volto ala piaga poi l'occhio e l'ingegno vede profondamente il sen trafitto e sente per le vene a poco a poco serpendo gir licenzioso foco.
47
Ben egli è ver che quella fiamma è tale, che non senza piacer langue e sospira; e vaga pur del non curato male, mille in sé di pensier machine aggira. Or si rivolge al velenoso strale, or l'esca del suo ardor lunge rimira e 'n questi accenti ale confuse voglie con un ahi doloroso il groppo scioglie:
48
– Ahi ben d'ogni mortal femina vile omai lo stato invidiar mi deggio, poiché di furto e con insidia ostile da chi meno il devria schernir mi veggio. Mi ferisce il suo stral, m'arde il focile, né dele mie sventure è questo il peggio; ch'alfin le fiamme sue son tutte spente, se la madre d'Amore amor non sente.
49
Ma ch'io soggiaccia a sì perversa sorte, che le bellezze mie si goda un fabro, un aspro, un rozzo, un ruvido consorte, inculto, irsuto, affumigato e scabro? e che legge immortal peggior che morte mi costringa a baciar l'ispido labro? labro assai più nel'orride fornaci atto a soffiar carbon, ch'a porger baci?
50
Un ch'altro unqua non sa, che col martello tempestando l'ancudini infernali, le caverne assordar di Mongibello per temprar del mio padre i fieri strali, che dan cadendo in questo lato e 'n quello vano spavento ai semplici mortali e, del maestro lor sembianti espressi, com'è torto il suo piè son torti anch'essi?
51
Deh quante volte audacemente accosta importuno ala mia l'adusta faccia e quella man, ch'ha pur allor deposta la tanaglia e la lima, in sen mi caccia! Ed io, malgrado mio, son sottoposta ai nodi pur del'aborrite braccia ed a soffrir, che mentre ei mi lusinga, la fuligine e 'l fumo ognor mi tinga.
52
Pallade, o saggia lei, quantunque meco non s'agguagli in beltà, ne fè rifiuto. Né Giove il volse in ciel, ma nel più cieco fondo il dannò d'un baratro perduto; onde piombando in quell'arsiccio speco l'osso s'infranse e zoppicò caduto. E pur zoppo ne venne entro il mio letto l'altrui pace a turbar col suo difetto.
53
Già non m'è già di mente ancor uscita la rimembranza del'indegne offese. Altamente nel cor mi sta scolpita l'insidia, che sì perfida mi tese, quando ala rete di diamante ordita questo sozzo villan nuda mi prese, follemente scoprendo ai numi eterni dele mie membra i penetrali interni.
54
Un rabbioso dispetto ancor sent'io del grave oltraggio onde delusa fui, poiché diè con sua infamia e biasmo mio vergognosa materia al riso altrui. Or non si dolga no chi mi schernio, se l'onta che mi fè ricade in lui; s'ei volse cancellar corno con scorno io saprò vendicar scorno con corno.
55
L'Aurora innanzi dì si cala in terra per abbracciar d'Atene il cacciatore. La Luna a mezza notte il ciel disserra per vagheggiar l'arcadico pastore. Io perché no? Se 'l mio desir pur erra, quella somma beltà scusa ogni errore. Vo' che 'l garzon, ch'io colà presso ho scorto, sia vendetta al'ingiuria, emenda al torto. –
56
Qui tace e poi, qual cacciatrice al guado colà correndo, al'alta preda anela. Vesta di lieve e candido zendado le membra assai più candide le vela, che, com'opposto al sol leggiero e rado vapor, le copre sì, ma non le cela. Vola la falda intorno abile e crespa, zefiro la raccorcia e la rincrespa.
57
Sudata dal'artefice marito su l'omero gentil fibbia di smalto con branche d'oro lucido e forbito sospende ad un zaffir l'abito in alto. L'arco, onde suole ogni animal ferito mercé dela man bella ambir l'assalto, con la faretra ch'al bel fianco scende ozioso e dimesso al tergo pende.
58
Sotto il confin dela succinta gonna, salvo il bel piè, ch'ammanta aureo calzare, del'una e l'altra tenera colonna l'alabastro spirante ignudo appare. Non vide il mondo mai, se la mia donna non l'agguaglia però, forme sì care. Da lodar, da ritrar corpo sì bello Tracia canto non ha, Grecia pennello.
59
Voi Grazie voi, che dolcemente avete nel nettare del ciel le labra infuse e ne' lavacri più riposti siete nude le sue bellezze a mirar use, voi snodar la mia lingua e voi potete narrar di lei ciò che non san le Muse. Intelletto terreno al ciel non sale, né fa volo divin penna mortale.
60
Pastor di Troia, o te felice allora che senza vel tanta beltà mirasti; e saggio te, quanto felice ancora, che 'l pregio a lei d'ogni beltà donasti. Beltà che gli occhi e gli animi innamora, diva dele bellezze, e tanto basti. Se non fuss'ella Citerea, direi, che Citerea s'assomigliasse a lei.
61
Non osa al bell'Adon Venere intanto il vero aspetto suo scoprir sì tosto, ma vuol, per torne gioco innanzi alquanto, che sia sotto altra imagine nascosto. Novo, i' non saprei dir con qual incanto, simulacro mentito ha già composto e già sì ben di Cinzia arnesi e gesti finge, che 'n tutto lei la crederesti.
62
Va come Cinzia inculta ed inornata, e veste gonna di color d'erbetta. Tutta in un fascio d'or la chioma aurata le cade sovra l'omero negletta. Nulla industria però ben ordinata tanto con l'artificio altrui diletta, quanto al bel crin, ch'ogni ornamento sprezza, accresce quel disordine bellezza.
63
Tien duo veltri la destra, al lato manco pende d'aurea catena indico dente. D'argento in fronte immacolato e bianco, vedesi scintillar luna lucente. Lasciasi l'arco e la faretra al fianco, prende d'acuto acciar spiedo pungente. Tal ch'ai cani, agli strali, al corno, al'asta la più lasciva dea par la più casta.
64
Non sol per suo diletto ella usar vole, ma per infamar l'emula quest'arte, perché temendo, se la vede il Sole, non l'accusi a Vulcano overo a Marte, vuol ch'egli, o qualche satiro, che suole da lui fuggire in quell'ombrosa parte, a Pan piuttosto il riferisca e dica, ch'ancor Diana sua non è pudica.
65
Per più spedito agevolarsi il calle l'aureo coturno si disfibbia e scalza, poi del'obliqua ed intricata valle premendo va la discoscesa balza. L'erbe dal sole impallidite e gialle verdeggian tutte, ogni fior s'apre ed alza; sotto il piè pellegrin del bosco inculto ogni sterpo fiorisce, ogni virgulto.
66
Ed ecco audace e temeraria spina, ma quanto temeraria anco felice, che la tenera pianta alabastrina punge in passando, e 'l sangue fuor n'elice e vien di quella porpora divina ad ingemmar la cima impiagatrice. Ma colorando i fior del proprio stelo, scolora i fior dela beltà del cielo.
67
Pallidetta s'arresta e dolorosa que' begli ostri a stagnar col bianco lino e 'n tanto folgorar vede la rosa, già di color di neve, or di rubino. Ma per doppia ferita ancor non posa, né dela traccia sua lascia il camino. Vinta la doglia è dal desire e cede ala piaga del cor quella del piede.
68
Or giunta sotto il solitario monte, dove raro uman piè stampò mai l'orme, trova colà sul margine del fonte Adon, che 'n braccio ai fior s'adagia e dorme; ed or che già dela serena fronte gli appanna il sonno le celesti forme e tien velato il gemino splendore, veracemente egli rassembra Amore.
69
Rassembra Amor, qualor deposta e sciolta la face e gli aurei strali e l'arco fido, stanco di saettar posa talvolta su l'Idalio frondoso o in val di Gnido e dentro i mirti, ove tra l'ombra folta han canori augelletti opaco nido, appoggia il capo ala faretra e quivi carpisce il sonno al mormorar de' rivi.
70
Sicome sagacissimo seguso, poiché raggiunta ha pur tra fratta e fratta vaga fera talor, col guardo e 'l muso esplorando il covil fermo s'appiatta e 'n cupa macchia rannicchiato e chiuso par che voce non oda, occhio non batta, mentre il varco e la preda ov'ella sia immobilmente insidioso spia,
71
così la dea d'amor, poiché soletta giunge a mirar l'angelica sembianza, ch'ale gioie amorose il bosco alletta e del suo ciel le meraviglie avanza, resta immobile e fredda, e 'nsu l'erbetta di stupor sovrafatta e di speranza, siede tremante e il bel che l'innamora, stupida ammira e reverente adora.
72
In atto sì gentil prende riposo, che tutto leggiadria spira e dolcezza; e 'l Sonno istesso in sì begli occhi ascoso abbandonar non sa tanta bellezza; anzi par che, di lor fatto geloso, di starsi ivi a diletto abbia vaghezza e con nido sì bel non gli dispiaccia cangiar di Pasitea l'amate braccia.
73
Placido figlio dela Notte bruna il Sonno ardea d'amor per Pasitea e perché questa dele Grazie er'una, l'ottenne in sposa alfin da Citerea. Or mentre che di lor se 'n gia ciascuna l'erbe scegliendo per lavar la dea, scherzando intorno ignudo spirto alato partir non si sapea dal vicin prato.
74
Vanno ove Flora i suoi tapeti stende le Grazie a côr qual più bel fior germoglia. Qual dala spina sua rapisce e prende la rosa e qual del giglio il gambo spoglia. Quella al balsamo ebreo la scorza fende, questa al'indica canna il crin disfoglia. Altra, ove suol vibrar lingue di foco, ricerca di Cilicia il biondo croco.
75
Or il tranquillo dio, mentre che move invisibil tra lor l'ali sue chete, posar veggendo il bell'Adon là dove tesson notte di fronde ombre secrete, per piacer ala figlia alma di Giove, gli pone agli occhi il ramoscel di Lete; talché ben pote, oppresso in quella guisa, star quanto vuole a contemplarlo assisa.
76
Tanta in lei gioia dal bel viso fiocca, e tal da' chiusi lumi incendio appiglia, che tutta sovra a lui pende e trabocca di desir, di piacer, di meraviglia. E mentre or dela guancia, or dela bocca rimira pur la porpora vermiglia, sospirando, un oimé svelle dal petto, che non è di dolor ma di diletto.
77
Qual industre pittor, che 'ntento e fiso in bel ritratto ad emular natura, tutto il fior, tutto il bel d'un vago viso celatamente investigando fura, del dolce sguardo e del soave riso pria l'ombra ignuda entro 'l pensier figura, poi con la man discepola del'arte di leggiadri color la veste in carte,
78
tal ella quasi con pennel furtivo l'aria involando del'oggetto amato, beve con occhio cupido e lascivo le bellezze del volto innamorato; indi del'idol suo verace e vivo forma l'essempio con lo strale aurato e con lo stral medesimo d'Amore se l'inchioda e confige in mezzo al core.
79
A piè gli siede e studia attentamente come la bella imago in sen si stampi. In lui si specchia ed al'incendio ardente tragge nov'esca, onde più forte avampi. Ma dele stelle innecclissate e spente suscitati veder vorrebbe i lampi e consumando va tra lieta e trista in quel dolce spettacolo la vista.
80
Benché 'l favor de' rami ombrosi e densi dal sol difenda il giovane che giace, pur l'aria, impressa di vapori accensi e ripercossa dal'estiva face e quelche lega dolcemente i sensi e sopisce i pensier sonno tenace, il volto insieme ed umidetto ed arso di fiamme tutto e di sudor gli han sparso,
81
onde la dea pietosa or dela vesta il lembo, or un suo vel candido e lieve in lui scotendo, a lusingar s'appresta dela fronte e del crin l'ambra e la neve. E mentre l'aria tepida e molesta move e scaccia il calor noioso e greve, con l'aure vane a vaneggiar intesa sfoga in sospir l'interna fiamma accesa.
82
– Aure o Aure (dicea) vaghe e vezzose peregrine del'aria, Aure odorate, voi che di questa selva infra l'ombrose cime sonore a stuol a stuol volate, voi, cui de' miei sospir l'aure amorose doppian forza ale piume, Aure beate, voi dal'estivo ingiurioso ardore deh defendete il nostro amato amore!
83
Così di verno mai, così di gelo ira nemica non v'offenda o tocchi; e quando i monti han più canuto il pelo dolce dale vostr'ali ambrosia fiocchi; e securo vi presti il bosco e 'l cielo schermo dal vivo sol di que' begli occhi; e molle abbiate e di salute piena ombra sempre tranquilla, aria serena. –
84
Indi al fiorito e verdeggiante prato, letto del vago suo, rivolta dice: – Terreno alpar del ciel sacro e beato, aventurosi fiori, erba felice, cui sostener tanta bellezza è dato, cui posseder tanta ricchezza lice, che del'idolo mio languido e stanco siete guanciali al volto e piume al fianco,
85
sia quel raggio d'amor, che vi percote, di sole in vece a voi, fiori ben nati. Ma che veggio? che veggio? or che non pote la virtù de' begli occhi ancor serrati? Dal bel color dele divine gote, dal puro odor di que' celesti fiati vinta la rosa e vergognoso il giglio, l'una pallida vien, l'altro vermiglio. –
86
Volgesi agli occhi e dice: – Un degli ardenti vostri lampi, occhi cari, or mi consoli, occhi vaghi e leggiadri, occhi lucenti occhi de' miei pensieri e porti e poli, occhi dolci e sereni, occhi ridenti, occhi de' miei desiri e specchi e soli, finestre del'aurora, usci del die, possenti a rischiarar le notti mie.
87
Occhi, ov'Amor sostien lo scettro e 'l regno, ov'egli arrota i più pungenti artigli, voi sol potete il mio battuto ingegno campar dale tempeste e da' perigli, non men che stanco e travagliato legno soglian di Leda i duo lucenti figli. Già parmi in voi veder, veggio pur certo tra due chiuse palpebre un cielo aperto.
88
Ma perché non v'aprite? e i dolci rai non volgete a costei, ch'umil v'inchina? Aprigli, neghittoso, e sì vedrai a qual ventura il fato or ti destina. Rendi ai sensi il vigor, richiama omai l'anima da' bei membri peregrina. Ah non gli aprir! che chiuso anco il bel ciglio spira l'ardor del mio spietato figlio.
89
Sonno, ma tu, s'egli è pur ver che sei viva e verace imagine di Morte, anzi di qualità simile a lei suo germano t'appelli e suo consorte, come, come potresti a' danni miei entrar del ciel nele beate porte? con che licenza oltre l'usato ardita puoi negli occhi abitar dela mia vita?
90
E se sei pur del'ombre e degli orrori, oscuro figlio e gelido compagno, come i cocenti raggi e i chiari ardori soffri di quel bel viso, ond'io mi lagno? Fuggi il rischio mortal! Semplici cori fan tra i vezzi d'amor scarso guadagno. Vanne vanne lontan, vattene in loco, dove tanto non sia splendore e foco!
91
Ma se stender vuoi pur le brune piume sovra il novello autor de' miei tormenti, deh! porgi a l'ombre tue tanto, di lume, che l'imagine mia gli rappresenti, laqual sicome dolce io mi consume gli mostri in atti supplici e dolenti, onde nel pigro cor, mentre giac'egli sonnacchioso dormendo, Amor si svegli. –
92
Appena ha queste note ultime espresse, che l'amico Morfeo, che l'è vicino, fabrica d'aria e di vapori intesse simulacro leggiadro e peregrino. Di tai forme si veste e scopre in esse di celeste beltà lume divino. Donna, ch'è tutta luce e foco spira, nel teatro del sonno Adone ammira.
93
Corona tal, ch'altrui la vista offende, cerchia la fronte lucida e serena e di gemme stellata avampa e splende e di stelle gemmata arde e balena. E dal titolo suo ben si comprende, che non è chi la tien cosa terrena. Havvi scritto dintorno in lettre aurate: "madre d'Amore e dea dela beltate."
94
Mentre d'alto stupore Adon vien manco, già pargli già la bella larva udire, che stendendo una man d'avorio bianco: "Adon, dammi il tuo cor" gli prende a dire. E fu quasi un sol punto aprirgli il fianco, dispiccarglielo a forza e disparire. Sognando il bel garzon si dole e geme, siché la vera dea ne langue insieme,
95
e, traendo un sospir piano e sommesso, tempra il novo martir che la tormenta e languisce e gioisce a un tempo istesso, spera, teme, arde, agghiaccia, osa e paventa. La mano e 'l sen s'empie di fiori e spesso sul viso un nembo al bel fanciul n'aventa. Indi, ché lui destar non vuol, s'inchina dolcemente a baciar l'erba vicina.
96
Poscia il bel riso entro le labra accolto, che 'n carcere di perle s'imprigiona, contempla attentamente e del bel volto vagheggiando la bocca a lei ragiona: – Urna di gemme, ov'è il mio cor sepolto, a temedesma il mio fallir perdona, s'io troppo ardisco; orché tu taci e dormi l'alma, che mi rapisti, io vo' ritormi.
97
Che fo (seco dicea) che non accosto volto a volto pian piano e petto a petto? Vola il tempo fugace e seco tosto, seguito dal dolor, fugge il diletto. Ahi! quel diletto, a cui non vien risposto con bel cambio d'amor, non è perfetto, né con vero piacer bacio si prende, cui l'amata beltà bacio non rende.
98
Qual dunque tregua attendo a' miei martiri s'occasion sì bella oggi tralasso? Ma s'avien che si svegli e che s'adiri, dove rivolgerò confusa il passo? Moveranno il suo cor pianti e sospiri purché non abbia l'anima di sasso. Non l'avrà, s'egli è bel. – Così dubbiosa per baciarlo s'abbassa, e poi non osa.
99
Come resta il villan, s'ale fresch'onde quando più latra in ciel Sirio rabbioso corre per bere e vede insu le sponde la vipera crudel prender riposo, o come il cacciator, che fra le fronde cerca di Filomena il nido ascoso e ficcando la man dentro la cova in vece del'augel, l'aspe vi trova,
100
così lieta in un punto e timidetta trema costei, quanto pur dianzi ardia. L'afflige la beltà, che la diletta, il troppo stimular la fa restia. Brama quelche l'offende ed è costretta tuttavolta a temer quelche desia. Pentesi, che tant'oltre erri il desire e si pente ancor poi del suo pentire.
101
Tre volte ai lievi e dolci fiati appressa la bocca e 'l bacio e tre s'arresta e cede, e sprone insieme e fren fatta a sestessa, vuole e disvuole, or si ritragge, or riede. Amor, che pur sollecitar non cessa, la sforza alfine ale soavi prede, sì ch'ardisce libar le rugiadose di celeste licor purpuree rose.
102
Al suon del bacio, ond'ella ambrosia bebbe, l'addormentato giovane destossi e poi ch'alquanto in sé rivenne ed ebbe dal grave sonno i lumi ebri riscossi, tanto a quel vago oggetto in lui s'accrebbe stupor, ch'immoto e tacito restossi; indi da lei, ch'al'improviso il colse, per fuggir sbigottito il piè rivolse.
103
Ma la diva importuna il tenne a freno: – Perché (disse) mi fuggi? ove ne vai? Mi volgeresti il bel'guardo sereno, se sapessi di me ciò che non sai. – Ed egli allora abbarbagliato e pieno d'infinito diletto a tanti rai, a tanti rai ch'un sì bel sol gli offerse, chiuse le luci, indi le labra aperse,
104
ed: – O qual tu ti sia, ch'a me ti mostri tutta amor, tutta grazia, o donna, o diva diva certo immortal da' sommi chiostri scesa a bear questa selvaggia riva, se van (disse) tant'alto i preghi nostri, se reverente affetto il ciel non schiva, spiega la tua condizion, qual sei o fra gli uomini nata, o fra gli dei. –
105
Ala madre d'Amor, ch'altro non vole ch'aver le luci a quelle luci affisse, parve, ch'aprendo l'un e l'altro sole de' duo begli occhi, il paradiso aprisse. E le calde d'amor dolci parole, ch'a lei tremando e sospirando disse, le furo soavissime e vitali fiamme al cor, lacci al'alma, al petto strali.
106
Ma pur del'esser suo celando il vero, mentitrice favella intanto forma. – Così poco conosci, incauto arciero, lei, che non solo il primo cielo informa, ch'ha nel centro infernal non solo impero, ma da cui queste selve han legge e norma? E pur m'imiti e segui a tutte l'ore. (poco men che non disse: "e m'ardi il core").
107
I' men venia, sicome soglio spesso quando l'estivo can ferve e sfavilla, in questo bosco a meriggiar là presso in riva al'onda lucida e tranquilla, ch'una bolla vivente aperta in esso di cavernosa pomice distilla e forma un fonticel, ch'ale vicine odorifere erbette imperla il crine,
108
quando il mio piè, che per l'estrema arsura, sicome vedi, è d'ogni spoglia ignudo, con repentina e rigida puntura ago trafisse ingiurioso e crudo. E bench'uopo non sia medica cura per farmi incontr'al duol riparo e scudo, colsi quest'erbe, il cui vigore affrena il corso al sangue e può saldar la vena.
109
Ma perch'ogni mia ninfa erra lontano e chi tratti non ho l'aspra ferita, porgimi tu con la cortese mano, a te ricorro, in te ricovro, aita. – Qui del trafitto piè, del cor non sano l'una piaga nasconde e l'altra addita e scioglie, testimon de' suoi martiri, un sospiro diviso in duo sospiri.
110
Non era Adon di rozza cote alpina, né di libica serpe al mondo nato. Ma quando fusse ancor d'adamantina selce e di crudo tosco un petto armato, ogni cor duro, ogni anima ferina fora da sì bel sol vinto e stemprato. Né meraviglia fia, qualor s'accosta, ch'arda a fiamma vorace esca disposta.
111
Reverenza, pietate, amore e tema fan nel dubbioso cor fiera contesa; ma perché deve ogni fortuna estrema subitamente esser lasciata o presa, non ricusa il favor, ma gela e trema, mentre s'appresta a sì soave impresa, in quel gesto pietoso ed attrattivo, con cui ride languendo occhio lascivo.
112
– Santo nume (dicea) cui Cinto e Delo porge voti, offre incensi, altari infiora, vostra grande in abisso, in terra e 'n cielo virtù, chi non conosce e non adora? Scusate il cor, se con perfetto zelo celebrar non vi sa quanto v'onora e l'ardir dela man prendete in pace, che 'n sì degn'opra è d'ubbidirvi audace.
113
Deh qual ventura mai, qual proprio merto d'infelice mortal tant'alto giunse? Ben ho da benedir questo deserto, che le fide da voi serve disgiunse e quel, per cui m'è tanto bene offerto, spinoso stel, che 'l bianco piè vi punse; e vo'segnar per tante glorie mie con pietra lesbia un sì felice die.
114
Scintillan tante fiamme e tanti raggi nel sembiante, ch'io scorgo altero e bello che dar poriano invidia e far oltraggi al vostro ardente e lucido fratello. Onde non già de' boschi aspri e selvaggi, ma dea de' cori e degli amor v'appello; che s'io m'affiso in voi, di veder parmi al volto Citerea, Diana al'armi.–
115
Con questo ragionar del piè gentile si reca in grembo l'animato latte e, poscia che con vel bianco e sottile n'ha le gelate stille espresse e tratte, dela destra v'accosta assai simile quasi in bel paragon, le nevi intatte. Disse Amor, che non era indi lontano: – Non volea sì bel piè men bella mano! –
116
Tasta la cicatrice e terge e tocca morbidamente i sanguinosi avori e, mentre un rio di nettare vi fiocca tra cento erbe salubri e cento odori, fan con occhio loquace e muta bocca eco amorosa i tormentati cori, dove invece di voce il vago sguardo quinci e quindi risponde:"ardi, ch'io ardo"
117
Dicea l'un fra suo cor: – Deh! quali io miro strani prodigi e meraviglie nove? Il ciel d'amor dal cristallino giro di sanguigne rugiade un nembo piove. Quando tra gli alabastri unqua s'udiro nascer cinabri in cotal guisa o dove? Da fonte eburneo uscir rivi vermigli, dale nevi coralli, ostri dai gigli?
118
Sangue puro e divin, ch'a poco a poco fai sovra il latte scaturir le rose, vorrei da te saver, sei sangue o foco, che tante accogli in te faville ascose? O non mai più vedute in alcun loco gemme mie peregrine e preziose, di sì nobil miniera usciste fore, che ben si vende a tanto prezzo un core.
119
E tu candido piede insanguinato, che di minio sì fino asperso sei e ricca pompa fai così smaltato de' tesori d'amore agli occhi miei, quanto più del mio cor sei fortunato, del mio cor, che trafitto è da costei? Langue ferita e di ferir pur vaga impiagato m'ha il cor con la sua piaga.
120
A te fasciato pur di bianco invoglio efficace licor rimedio serba. Senza fasce ei si dole, al suo cordoglio non giova industria d'arte o virtù d'erba. Consenta pur Amor, che s'io mi doglio, trovi ristoro almen la doglia acerba e, stringendomi il fianco in dolce laccio, se mi ferisce il piè, mi sani il braccio.
121
Chi più giamai di me felice fia, s'egli averrà, che questa bella essangue, ch'al chiuder dela sua la piaga mia apre così, che 'l cor ne geme e langue, d'omicida crudel medica pia m'asciughi il pianto, ov'io l'asciugo il sangue? siché tra noie e gioie e guerre e paci quante mi dà ferite io le dia baci? –
122
– Lassa (l'altra dicea) che dolce pena! Questa, che la mia piaga annoda e cinge, non è fascia, anzi è ceppo, anzi è catena, che mentre il piè mi lega, il cor mi stringe. Questo purpureo umor, che 'n larga vena di vivace rossor mi verga e tinge, ahi! ch'è l'anima mia, che 'n sangue espressa vuole a costui sacrificar sestessa.
123
Erbe felici, ch'ale mie ferute dolor recate e refrigerio insieme, benché d'alto valor, quella virtute che vive in voi, non è virtù di seme. Vien dala bella man la mia salute, da quella man, che vi distilla e preme, emula de' begli occhi e del bel viso, che sanandomi il corpo, ha il core ucciso.
124
O bella mano, ond'è che curar vuoi la piaga del mio piè con tanto affetto? Forse sol per poter farmene poi mille più larghe e più profonde al petto? Fors'è destin, che fuor ch'a' colpi tuoi, non dee corpo celeste esser soggetto. La palma, che di me morte non ebbe, a te sol si concede, a te si debbe.
125
Ma che più tardo a disvelar quest'ombra, che tiene il mio splendor di nube cinto? S'or che le mie bellezze in parte adombra magica benda, il mio aversario è vinto, che fia quando ogni nebbia intutto sgombra, verrà che ceda al vero oggetto il finto? – Disse e squarciando le fallaci larve, in propria effigie al giovinetto apparve.
126
Qual vergine talor semplice e pura s'avien, ch'astuta mano alzi e discopra drappo, ch'alcuna in sé sacra figura effigiata ad arte abbia di sopra, ma secreta nasconda altra pittura, di lascivo pennel piacevol opra, tingendo il bel candor di grana fina, dal'inganno confusa, i lumi inchina,
127
tal si smarrisce Adon, quando scoverto dela dea gli si mostra il lume intero; e tanto più, pur di sognar incerto, d'alta confusion colma il pensiero, perché conosce espressamente aperto del sogno suo nela vigilia il vero, rivedendo colei, che poco dianzi, rubatrice del cor gli apparve innanzi.
128
Al bel garzon, che stupefatto resta veduto il primo aspetto in aria sciolto, la bella dea discopre e manifesta in un punto medesmo il core e 'l volto: – Ben mio (dicea) qual meraviglia è questa, che tra dubbi pensier ti tiene involto? quel traveder, che ti fa star dubbioso, fu di mia deità scherzo amoroso.
129
Or non più mi nascondo. Io mi son quella per cui d'amore il terzo ciel s'accende; quella son io, la cui lucente stella innanzi al sole, emula al sol risplende. Taccio che dal mio bel, qualunque bella bella è detta quaggiù, bellezza prende, taccio che figlia son del sommo padre: dirò sol ch'amo e che d'Amor son madre.
130
Quando ben fusse a tua notizia ignoto quelche t'abbaglia, insolito splendore, qual è clima sì inospito e remoto, alma qual'è, che non conosca amore? Che se pur poco agli altri sensi è noto, malgrado suo n'ha conoscenza il core. Se ti piace d'amor dunque il piacere, dimmi il tuo stato e dammi il tuo volere. –
131
Sì disse e Pito il persuase e vinse, ch'entro le labra dela dea s'ascose; Pito, ministra sua, d'ambrosia intinse quelle faconde ed animate rose; Pito in leggiadri articoli distinse le note accorte e 'l bel parlar compose; Pito dala dolcissima favella sparse catene ed aventò quadrella.
132
Fusse la gran soavità di queste voci, che 'l giovenil petto percosse, o del bel cinto, ond'ella il fianco veste, pur la virtù miracolosa fosse, dal dolce suon del ragionar celeste invaghito il fanciul tutto si mosse; ma quelche 'n lui più ch'altro ebbe possanza, fu la divina oltramortal sembianza.
133
Un diadema Ciprigna avea gemmante, gemme possenti a concitare amore: v'era la pietra illustre e folgorante, ch'ha dala luna il nome e lo splendore, la calamita, ch'è del ferro amante e l'giacinto, ch'a Cinzio accese il core. Ma la virtù de' lucidi gioielli fu nulla appo l'ardor degli occhi belli.
134
La destra ella gli stese e 'l vago lino scorciò, che nascondea la neve pura, ond'implicato in un cerchietto fino, che con mista di gemme aurea scultura facea maniglia al gomito divino rigido di barbarica ornatura, fuss'arte o caso, dilicato e bianco fece il fuso veder del braccio manco.
135
Tenea, com'io dicea, le membra belle appannate d'un vel candido e netto e, quai d'Adria veggiam donne e donzelle, infin sotto le poppe ignudo il petto. Fe' vista allor tra 'l seno e le mammelle voler groppo annodar non ben ristretto e più leggiadra e più secreta parte fingendo di coprir, scoverse ad arte.
136
Mentre languia l'innamorata dea, Adon con fise ciglia in lei rivolto tutto rapito a contemplar godea le meraviglie del celeste volto e quivi in vista attonito scorgea il bel del bello in breve spazio accolto. Fra i detti intanto e fra gli sguardi amore gli entrò per gli occhi e per l'orecchie al core.
137
Nel'udir, nel mirar s'accese ed arse di non sentite ancor fiamme novelle e del foco del cor l'incendio sparse su per le guance dilicate e belle. Inchinò a terra, onestamente scarse, vergognosetto le ridenti stelle, poi verso lei con un sospir le volse, alfin lo spirto in queste voci sciolse:
138
– O dea cortese, o s'altro è pur fra noi titol, ch'a maestà tanta convegna, qual può mai cosa offrir vil servo a voi, la cui pietà di cotal grazia il degna? Lo scettro no, poiché ne' regni suoi povero diredato or più non regna; la vita no, che da voi dei fatali il vivere e 'l morir pende a' mortali.
139
Voi siete tal, ch'altri non può mirarvi, che mirando d'amor non sen'accenda; ma non può alcuno accendersi ad amarvi, ch'amando non v'oltraggi e non v'offenda. Offesa v'è servirvi ed adorarvi, v'oltraggia uom vil, che cotant'alto intenda, perché con quel, ch'ogni misura passa, proporzion non ha scala sì bassa.
140
Non dee tanto avanzarsi umano ardire, che presuma d'amar bellezza eterna, ma curvar le ginocchia e reverire con devota umiltà chi 'l ciel governa. è ben ver che, qualora entra in desire d'inferior natura alma superna, quella bontà, quella virtù sublime nel'amato suggetto il merto imprime.
141
Quel merto, ch'esser suol d'amor cagione in noi mortali, è in voi celesti effetto, siché, quando alcun dio d'amar dispone uom terreno e caduco, il fa perfetto; che, benché disegual sia l'unione, l'un del'altro però sgombra il difetto; e d'ogni indignità purgando il vile, ciò ch'è per sé villan, rende gentile.
142
Amor di voi m'innamorò per fama pria ch'a veder vostra beltà giungessi e da lunge v'amai non men che s'ama oggetto bel, ch'ingorda vista appressi. Orché, quanto il mio cor sospira e brama son condotto a mirar con gli occhi istessi, e ch'oltre il rimirarvi altro m'è dato, vo', contentando voi, far me beato.
143
Quanto darvi mi lice e quanto è mio vi sacro e del'ardir cheggio perdono. Se degno son di voi, vostro son io e se il cor vi fia in grado, il cor vi dono. Se mendica è la man, ricco è il desio, siete donna di me più ch'io non sono. Né fuorché l'amor vostro amar potrei, né potendo voler, poter vorrei.
144
Il mio volere al voler vostro è presto tanto che quasi in me nulla n'avanza. Lo stato mio, s'a tutti è manifesto, come a voi di celarlo avrei baldanza? Mirra, dirollo, il cui nefando incesto la vergogna rinova ala membranza, fu la mia genitrice e da colui che generolla, generato io fui.
145
Ed or selvaggio cacciator ramingo, sagittario di damme e di cervette, l'arco per mio trastullo incocco e stringo ed impenno la fuga ale saette. Felice error, che per l'orror solingo di quest'ombre beate e benedette fuor di via mi tirò, né ciò mi dole, poiché perdo una fera e trovo un sole.
146
Ne' be' vostr'occhi, per cui vivo e moro, l'anima omai depositar mi piace; ma perché 'l cor sacrificato in loro già sento già, che 'n vivo ardor si sface e perch'a quella bocca, ov'è 'l tesoro d'amor, non è d'avicinarsi audace, ecco, con questo bacio, ancorché indegno, a te, candida mano, io la consegno. –
147
Ed ella allor: – Che tu ti sia, mia vita, esperto arcier, saettatore accorto altra prova non vo'che la ferita, che 'n mezzo al petto immedicabil porto. Ma d'aver tal beltà mai partorita, Mirra, credilo a me, si vanta a torto, perché fra l'ombre il sol non si produce, né può la notte generar la luce.
148
Ella il padre ingannò di notte oscura e tu porti negli occhi un dì sereno. Ella di scorza alpestra il corpo indura e tu più che di latte hai molle il seno. Ella amara e spiacente è per natura e tu sei tutto di dolcezza pieno. Ella distilla lacrimosi umori e tu fai lagrimar l'anime e i cori.
149
Sol quelle luci tue rapaci e ladre, ch'involando da' petti i cori vanno, parto furtivo di furtiva madre t'accusan nato e con furtivo inganno. Or se membra sì belle e sì leggiadre fur concette di furto e furar sanno non ti meravigliar, se voglio anch'io, che chi mi fura il cor sia furto mio.
150
Non pur gli occhi e le mani a tuo talento, la bocca e 'l sen t'è posseder concesso, ma t'apro il proprio fianco e ti presento in cambio del tuo core il core istesso. Vedrai, che quell'amor, ch'al core io sento, t'ha sculto no, ma trasformato in esso, ché sei de' miei pensieri unico oggetto e ch'altro cor che te non ho nel petto. –
151
Con tai lusinghe il lusinghiero amante la lusinghiera dea lusinga e prega. Ella arditetta poi la man tremante gli stende al collo e dolcemente il lega. Qui, mentr'Amor superbo e trionfante l'amoroso vessillo in alto spiega, strette a groppi di braccia ambe le salme, ammutiscon le lingue e parlan l'alme.
152
Dolce de' baci il fremito rimbomba e, furandone parte invido vento, degli assalti d'amor sonora tromba, per la selva ne mormora il concento; a cui la tortorella e la colomba rispondono con pur con cento baci e cento. Amor de' furti lor dal vicin speco, occulto spettator, sorrise seco.
153
Fu così stretto il nodo, onde s'avinse l'aventurosa coppia e sì tenace, che non più forte vite olmo mai strinse, smilace spina o quercia edra seguace. Vaga nube d'argento ambo ricinse, quivi gli scorse e chiuse Amor sagace, la cui perfidia vendicando l'onta con mille piaghe una sferzata sconta.
154
La bella dea, che 'nsanguinò la rosa, benché trafitta il sen di colpo acerbo, contro il figliuol non si mostrò sdegnosa per non farlo più crudo e più superbo; ma premendo nel cor la piaga ascosa, si morse il dito e disse: – Io tela serbo. Per questa volta con l'altrui cordoglio tanta mia gioia intorbidar non voglio. –
155
Poi le luci girando al vicin colle, dov'era il cespo, che 'l bel piè trafisse, fermossi alquanto a rimirarlo e volle il suo fior salutar pria che partisse; e vedutolo ancor stillante e molle quivi porporeggiar, così gli disse: – Salviti il ciel da tutti oltraggi e danni, fatal cagion de' miei felici affanni.
156
Rosa riso d'amor, del ciel fattura, rosa del sangue mio fatta vermiglia, pregio del mondo e fregio di natura, dela terra e del sol vergine figlia, d'ogni ninfa e pastor delizia e cura, onor del'odorifera famiglia, tu tien d'ogni beltà le palme prime, sovra il vulgo de' fior donna sublime.
157
Quasi in bel trono imperadrice altera siedi colà su la nativa sponda. Turba d'aure vezzosa e lusinghiera ti corteggia dintorno e ti seconda e di guardie pungenti armata schiera ti difende per tutto e ti circonda. E tu fastosa del tuo regio vanto porti d'or la corona e d'ostro il manto.
158
Porpora de' giardin, pompa de' prati, gemma di primavera, occhio d'aprile, di te le Grazie e gli Amoretti alati fan ghirlanda ala chioma, al sen monile. Tu qualor torna agli alimenti usati ape leggiadra o zefiro gentile, dai lor da bere in tazza di rubini rugiadosi licori e cristallini.
159
Non superbisca ambizioso il sole di trionfar fra le minori stelle, ch'ancor tu fra i ligustri e le viole scopri le pompe tue superbe e belle. Tu sei con tue bellezze uniche e sole splendor di queste piagge, egli di quelle, egli nel cerchio suo, tu nel tuo stelo, tu sole in terra, ed egli rosa in cielo.
160
E ben saran tra voi conformi voglie, di te fia 'l sole e tu del sole amante. Ei de l'insegne tue, dele tue spoglie l'Aurora vestirà nel suo levante. Tu spiegherai ne' crini e nele foglie la sua livrea dorata e fiammeggiante; e per ritrarlo ed imitarlo a pieno porterai sempre un picciol sole in seno.
161
E perch'a me d'un tal servigio ancora qualche grata mercé render s'aspetta, tu sarai sol tra quanti fiori ha Flora la favorita mia, la mia diletta. E qual donna più bella il mondo onora io vo' che tanto sol bella sia detta, quant'ornerà del tuo color vivace e le gote e le labra. – E qui si tace.
162
Il palagio d'Amor ricco e pomposo da quel bosco lontan non era guari, ma di ciò che tenea nel grembo ascoso degni giamai non fece occhi vulgari. Non molto andar, che di fin or squamosi vider lampi vibrar fulgidi e chiari il tetto, onde facea mirabilmente l'edificio sublime ombra lucente.
163
Quella casa magnifica, che raro al'altrui vista i suoi secreti aperse, al novo comparir d'oste sì caro quanto di bello avea tutto gli offerse; e non sol di quel loco illustre e chiaro la gloria incomparabile scoverse, ma l'attuffò nel pelago profondo di quante ha gioie e meraviglie il mondo.
164
Nela torre primiera a destra mano entrando il bell'Adon le piante mosse e si trovò dentro un cortile estrano, il più ricco, il più bel, che giamai fosse. Quadro è il cortile e spazioso e piano ed ha di pietre il suol candide e rosse. Par che 'l pavese un tavolier somigli scaccheggiato a quartier bianchi e vermigli.
165
Torreggiante nel mezzo ampia e sublime sorge lumaca, onde si scende e poggia. Quattr'archi, ch'escon fuor dele sue cime, fanno una croce, ch'ai balcon s'appoggia, a cui congiunte son le stanze prime, onde scorrer si può di loggia in loggia, sì ch'una scala abbraccia e signoreggia per quattro corridoi tutta la reggia.
166
Ne' quattro quarti intorno, onde il cortile dala croce diviso si comparte, havvi intagliate da scarpel fabrile quattro illustri fontane, una per parte, di lavor sì stupendo e sì sottile, che ben si scorge che divina è l'arte. Due d'alabastro e d'agata scolpite, una di corniola, una d'ofite.
167
Nettuno è in una, in atto effigiato di ferir col tridente un scoglio alpino e ne fa scaturir per ogni lato fiume d'acqua lucente e cristallino. Sta sovra un nicchio da delfin tirato, vomita ancor cristallo ogni delfino. Quattro tritoni intorno in mille rivi versan per le lor trombe argenti vivi.
168
Nel'altra entr'una pila incisi e scolti, ch'a colonnetta picciola fa tetto, stan tergo a tergo l'un l'altro rivolti Piramo e Tisbe con la spada al petto; e spruzzan fuor molti ruscelli e molti per la piaga mortal di vino schietto, onde viene a cader per doppia canna dentro il vaso maggior purpurea manna.
169
Tien l'altra fonte in una conca tonda seno a seno congiunto e bocca a bocca Ermafrodito insu la fresca sponda, che la bella Salmace abbraccia e tocca ed a questa ed a quello in guisa d'onda dale membra e da' crini ambrosia fiocca e su i lor capi una grand'urna piena piove nettare puro in larga vena.
170
La quarta esprime Amor, che sovra un sasso quasi dormendo si riposa in pace. Le Grazie sotto lui stan più da basso, come per custodir l'arco e la face. Sparge balsamo fuor per lo turcasso l'orbo fanciul, che sonnacchioso giace; e l'amorose sue vaghe donzelle stillan l'istesso umor per le mammelle.
171
Per l'alloggio d'Adon tra quelle mura va in volta la sollecita famiglia; ma mentreché la dea minuta cura degli affari domestici si piglia, col figlio a risguardar l'alta struttura in disparte il garzon trattien le ciglia; e chi sia dela fabbrica che vede, il possessor, l'abitator, gli chiede.
172
– Questo (con un sospiro Amor risponde) che cotante in sé chiude opre sublimi, è il mio diletto albergo ed ho ben donde pregiarlo sì, che sovra 'l ciel lo stimi. Qui già le dolci mie piaghe profonde, qui, lasso, incominciar gl'incendi primi, qui per colei, che preso ancor mi tiene, fu il principio fatal dele mie pene.
173
Non creder tu che libera se n'vada dale forze amorose alma divina, ch'a bramar quel piacer, che tanto aggrada, forte desir naturalmente inclina. Ch'a questa legge sottogiaccia e cada anco il re de' celesti, il ciel destina. Ed io pur io, dala cui mano istessa piove gioia e dolor, passai per essa.
174
Non restai di languir, perch'io possegga la face eterna, insuperabil dio, e tratti l'arco onnipotente e regga gli elementi e le stelle a voler mio. E se m'ascolterai, vo' che tu vegga, che fui dal proprio stral ferito anch'io e che del proprio foco acceso il core ed arse e pianse innamorato Amore. –
175
Così l'arcier, che di Ciprigna nacque, venia di Mirra al bel figliuol parlando; e perch'assai d'udirlo ci si compiacque, ale sue note attenzion mostrando, il dir riprese e, poich'alquanto tacque, non però già di passeggiar lasciando, nel grazioso Adon gli occhi converse e 'n più lungo parlar le labra aperse.
|
|
|
|