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ilmarino testo integrale, brano completo, citazione delle fonti, commedie opere storiche opere letterarie in prosa e in versi, operaomnia #
CANTO VENTESIMO
Gli spettacoli
ALLEGORIA
i giuochi adonii instituiti da Venere nell'essequie d'Adone, sono per farci intendere che quegli amici, i quali veramente di cuore amano, non lasciano con tutte l'ufficiose dimostrazioni possibili d'onorare eziandio dopo la morte la memoria di coloro che hanno amati in vita.
Nella giostra, che dopo il tirar dell'arco, il ballo, la lotta e la scherma de' due precedenti, è lo spettacolo del terzo ed ultimo giorno, oltre i cavalieri barbari che v'intervengono, sono adombrate molte famiglie principali d'Italia. Tra le romane ven'ha primieramente quattro che vengono da pontefici, come Farnesi, Peretti, Aldobrandini e Borghesi. L'altre che seguono sono Colonnesi, Orsini, Conti, Savelli, Gaetani, Sforzi, Cesarini, Cesi, Crescenzi, Frangipani, Molari, Cafarelli, Santacroci e Mattei. Vi si aggiugne di più il giovane sposo Lodovisio, nipote di papa Gregorio il decimoquinto, congiunto ultimamente in matrimonio con la Gesualda, principessa di Venosa. Per la persona di Sergio Carrafa s'intende il prencipe di Stigliano, che così, per quanto dicono, si chiamò il primo capo di quella casa. Ne' tre fratelli che vengono appresso si figurano i tre figliuoli secolari del serenissimo duca di Savoia; l'uno è detto Doresio dalla Dora, fiume del Piemonte; l'altro Alpino dall'Alpi, presso allequali è il dominio di que' prencipi; il terzo Leucippo, che vuol dire cavallo bianco, ilquale è la divisa antica di quelle altezze. I due che sono gli ultimi a comparire rappresentano Spagna e Francia. Austria si nomina la guerriera, ch'è il cognome dell'una; Fiammadoro il cavaliere, cioè Oriflamma, ch'è l'istoria nota dello scudo dell'altra. A quella si danno ed il leone e l'aquila, l'uno per esser l'arme di Castiglia, l'altra per la possessione dell'Imperio e l'uno e l'altra come geroglifici della magnanimità. A questo si danno il giglio ed il gallo, l'uno per significare il sudetto scudo, l'altro perché allude al nome della Gallia ed è dedicato a Marte, che predomina quella nazione. Nella battaglia che passa tra loro si accennano le guerre passate; e negli amori che succedono tra amendue si dinota il maritaggio seguito tra questa corona e quella. Il pronostico d'Apollo sopra lo scudo di Vulcano contiene le lodi del re Lodovico ed in breve compendio tutti i progressi della guerra mossa contro gli ugonotti.
ARGOMENTO
Dopo l'essequie nobili e pompose Venere instituisce i giochi estremi e, compartiti ai vincitori i premi, il vel si squarcia ale future cose.
1
Ed ecco alfin, dopo camin sì lungo scorge la meta il mio corsier già stanco, onde con maggior fretta io sferzo e pungo al pigro ingegno il travagliato fianco. Già la voce vien men, ma mentr'io giungo presso al'estremo, augel canoro e bianco, vorrei, purgando il rauco spirto alquanto, far vie più dolce e non mortale il canto.
2
Qual volubile ordigno il cui volume misura quelche dà misura al moto, giunto al tocco del'ora, oltre il costume veloci i giri accelerando io roto. Quasi lucerna, in cui s'estingue il lume quando il vasel d'ogni alimento è voto, svegliando il vigor languido, mi sforzo raddoppiar lo splendor mentre l'ammorzo.
3
Somiglio peregrin che 'nfermo e fioco trascorsa già quella contrada e questa, del patrio tetto e del paterno foco scoprendo i fumi, i voti al tempio appresta. Sembro nocchier, che fatto un tempo gioco per l'immenso ocean dela tempesta, tosto che dela riva arriva al segno ripiglia il remo e dà la spinta al legno.
4
Son Leandro novello a cui tra l'onde mostra lucida lampa eccelsa rocca. Ma, mentre da vicin mira le sponde, mentre ch'ador ador la terra tocca, in guisa il mar orribile il confonde che gli manca tremante il fiato in bocca e lasciar teme, pria ch'attinga il lido, tra gli scogli sommerso, il debil grido.
5
Pur tale e sì benigna è la mia scorta, sì chiara splende e sì serena e bella, che dal polo real mi riconforta in sì dubbiosa e torbida procella; né tem'io già che mi sia spenta o morta, perché mai non tramonta artica stella e può più tosto il sol perder la luce che quel raggio immortal che mi conduce.
6
Dunque, che fai? Rinfranca ed avalora, ahi lento nuotator, le forze oppresse. Ben ha tanto il tuo stil di lena ancora che ti basta a compir l'alte promesse. Ecco già desta in ciel sorge l'aurora, sorga la musa al bel lavor che tesse; già con l'ultimo fil Febo la chiama dela gran tela a terminar la trama.
7
La ninfa d'oriente aprendo il grembo tra nuvoletti candidi e vermigli, dolce versava ed odorato nembo di pura manna e di celesti gigli. Garriano intorno al rugiadoso lembo i dipinti del'aria alati figli e per l'ampio seren Favonio e Clori scoteano i vanni e precorrean gli albori.
8
Sereno il ciel, d'un'aurea luce viva fregiava l'aere puro e cristallino e d'odor molli, mentre il sole usciva, seminava le vie del suo camino; ed ala funeral pompa festiva apria dal'uscio d'oro e di rubino, da mille trombe salutato intorno, di mille lampi incoronato il giorno.
9
Tranquillo il mar, del'onde sue facea senz'alcun monte una pianura eguale e quasi una gran tavola parea tinta di schietto azzurro orientale; e come in specchio di zaffir, v'ardea in tal guisa del ciel l'oro immortale, che detto avresti o che nel mar profondo sommerso è il sole o ch'ha duo soli il mondo.
10
Verdeggiante la terra e di bei fiori vestito il prato e di color novelli, richiamava, ridendo, i suoi pastori ale ghirlande, ai pascoli gli agnelli. Spandea liet'ombre il bosco e, spettatori de' bei certami i venti e gli arboscelli, taceano intenti al nobile apparato fermando il moto e sospendendo il fiato.
11
Tratta i zefiri a volo e l'aria scorre del celeste senato il messo eterno; e non fa sol le deità raccorre ch'han dela terra o ch'han del ciel governo, ma chiamata vi tragge e vi concorre del pelago la turba e del'inferno. Sol Marte irato e sol Vulcan dolente non volse ai propri scorni esser presente.
12
Ad onorar le dolorose feste, instituite al funeral d'Adone, dalo stellante suo trono celeste col consorte immortal scese Giunone. Per sì nove mirar pompe funeste la cieca reggia abbandonò Plutone. E per far quell'onor vie più sollenne il gran Giove del'acque anco vi venne.
13
Oltre Cerere e Bacco, oltre la madre del forte Achille e 'l figlio di Latona, d'altri dei, d'altre dee v'ha varie squadre, Berecinzia con Cinzia, Isi e Bellona: Temi e Vesta vi son, né men leggiadre Iride ed Ebe e Flora èvvi e Pomona, Giano, Como, Talassio, indi s'asside tra gli immortali immortalato Alcide.
14
L'ordin non si confonde, a ciascun dassi secondo il proprio merito la sede; e Mercurio, il mazzier, dispon le classi e d'onor pari al grado altrui provede. A tutti gli altri dei, che stan più bassi, con l'alta sposa il gran motor precede, e giù deposto il fulmine tra loro eminente si mostra in soglio d'oro.
15
Dopo colui che l'universo regge, ponsi il signor che sovra l'onde regna. Ai principi minor ch'han da lui legge loco non lunge inferior s'assegna. Tien presso al gran Nettun le prime segge Nereo con Forco e gente altra più degna. Stan con mill'altri poi cerulei numi degli umid'antri usciti, i vecchi fiumi.
16
Segue terzo la serie il re profondo, genero dela dea che 'n Etna impera, e seco ha quella che dal nostro mondo discese ad abitar la città nera. Succede, setoloso e rubicondo, lo dio d'Arcadia con la rozza schiera; corna e piante ha salvatiche e caprigne e di minio le guance ognor sanguigne.
17
V'è, di ferula cinto e di ginestra, Silvan, del'ombre l'arbitro canuto, che Pale a manca ed ha Vertunno a destra, dintorno un folto essercito cornuto, rustica gioventù, plebe silvestra, il satiro lanoso e 'l fauno irsuto, e presso a questi in non sublime scanno geni, lari, cureti assisi stanno.
18
Gran piano innanzi ala superba entrata del bel palagio ove Ciprigna alloggia, spazioso vestibulo dilata sotto l'alte finestre e l'ampia loggia, che s'allarga e distende in piazza ovata, quasi di circo o di teatro a foggia. Ha la tela nel mezzo e come s'usa di palancati e di bertesche è chiusa.
19
Scena è di lieti giochi e par steccato fatto per diffinir risse e duelli, tra ben salde colonne incatenato di graticci pertutto e di cancelli; ed ha da' capi al'un e l'altro lato due porte con barriere e con rastelli, per cui passando poi, denno i campioni rappresentar pacifiche tenzoni.
20
Non sol di Cipro i popoli e i vicini sono al'alto spettacolo presenti, ma da vie più remoti altri confini vi convengono ancor straniere genti. Paesani non men che peregrini stan su i balconi ale bell'opre intenti. Parte occupano intorno i catafalchi, le sbarre il vulgo e 'l baronaggio i palchi.
21
Poiché già pieno il campo in ogni parte scorge la bella dea nata di Giove, appresta i premi ai giochi e gli comparte per dispensargli ale future prove. Fa varie spoglie sue porre in disparte e tutte rare e preziose e nove e l'inalza e sospende, accioché sproni sieno dela virtute i guiderdoni.
22
In alto tribunal stassene assisa, per poter più spedita aver la vista e, mentre ingiù lo sguardo intenta affisa, giudicar meglio chi più loda acquista. Intanto con l'insegna ala divisa di porpora e d'argento a lista a lista l'araldo con tre suoni intima il bando, poi publica il cartel così gridando:
23
– La dea del terzo cielo in rimembranza del morto Adon, ch'ha tanto amato in vita, de' sacri onori la pietosa usanza per tre giorni continui ha stabilita. Oggi, ch'è il primo, al'arco ed ala danza con bella pugna i concorrenti invita; negli altri duo vuol che si venga in mostra ala lotta, ala scherma ed ala giostra.
24
Ben fian dela vittoria i pregi tali che non saranno invan sparsi i sudori, né poveri di palme trionfali invidia avranno i vinti ai vincitori. Chiunque in guisa indrizzerà gli strali, che riporti in colpire i primi onori, o per valore o per fortuna avegna, ricompensa del'opra avrà ben degna.
25
Quella faretra avrà che colà pende e di sagri vermiglio ha l'ornamento, con quell'arco di bosso a cui risplende l'un capo e l'altro di polito argento. Chi più vicino al primo il segno offende, d'un nobil dardo rimarrà contento. D'ebeno è l'asta, e 'l ferro è di tai tempre che qualvolta ferisce, uccide sempre.
26
Darassi al terzo d'immortale alloro, degna non pur d'arcier ma di poeta, ghirlanda che le fronde ha messe ad oro, attorta a un cordoncel di verde seta. Fia poscia di colui ch'avrà tra loro l'ultimo grado in accertar la meta, spiedo di duro e noderoso cerro ch'arma la punta di lucente ferro. –
27
Qui tace, e risonar fanno l'agone cent'altre trombe e nacchere e cornette. Allor quivi legato ad un troncone lontano alquanto un cavriuol si mette. Questo, per ordin dela dea s'impone, ch'esser deggia bersaglio ale saette. Ed ecco al saettar destra e leggiadra arciera in punto e faretrata squadra.
28
Tempo distruggitor d'ogni bell'opra, ch'affondi i nomi entro l'oscuro oblio, consenta il tuo rigor ch'io narri e scopra i più degni tra lor nel canto mio. O Fama e tu ch'impero eterno hai sopra le forze invitte del tiranno rio, tu mel rammenta e dal'etate avara l'offuscate memorie a me rischiara.
29
Fassi avante Arabin che 'n Guba nacque, del'Arabia petrea nobil cittate, ma per le selve essercitar gli piacque contro le fere la robusta etate. Vien Silvanel, che colà dove l'acque sen va col Tigri a mescolar l'Eufrate, crebbe in Apamia, avezzo a ferir solo le folighe del mar che vanno a volo.
30
Havvi Foresto il troglodito arciero, che 'l deserto per patria ebbe nascendo, selvaggio cacciator più che guerriero, agli elefanti ed ai leon tremendo. V'è Ferindo d'Arsacia, il parto fiero, che combatter non sa se non fuggendo e 'l cavo arnese al tergo e 'n pugno l'arco di saettame avelenato ha carco.
31
Ermanto v'ha, di cui giamai più dotto non ebbe in quel mestier l'indica terra. E Fartete il pigmeo, che fu prodotto ad aver con le gru perpetua guerra. E v'è Fulgerio ancor ch'è cipriotto e di mille un sol colpo unqua non erra, e 'l superbo Medonte il battriano che d'acciaio lunato arma la mano.
32
S'accinge al'opra e cinge al fianco Ordauro pien di ferrate penne aureo turcasso. Il figliuol d'Euro Euripo, il gran centauro, tal gloria ambisce e 'l sericano Urnasso. Né men di lor Brimonte ed Albimauro la brama, ircano l'un, l'altro circasso. Chiedela aprova Ucciuffo ed Anazarbo, quegli è di Tracia allievo e questi alarbo.
33
E Tirinto e Filino, i duo fratelli, mostran d'entrar nel numero desire, nati in Tessaglia e di ferine pelli vestiti e molto esperti a ben ferire. Vogliono cento e cent'altri e questi e quelli del primo gioco al paragone uscire. Vuol, per accrescer liti, Amor istesso ala prova del'arco esser ammesso.
34
Or per cessar gli sdegni, onde dolersi sol dela sorte poi deggian gli esclusi, scriver fa Citerea nomi diversi e porgli in urna d'or serrati e chiusi; e poich'ivi per entro alfin dispersi son con più d'una scossa e ben confusi, ad un ad un dal'agitato vaso per la man d'un fanciul fa trargli a caso.
35
Dentro l'urna il fanciul la mano ascose e Mitrane n'uscì nel primo scritto, Mitrane, che lasciate ha le famose sponde del fiume onde s'impingua Egitto. Fatto è l'arco, ch'ei tien, di due ramose corna d'un cervo di sua man trafitto ed ha nel mezzo le divise punte con bel manico eburneo insieme aggiunte.
36
D'un dragone african macchiato a stelle voto scoglio squamoso ha per frecciera e sgangherando l'orride mascelle il teschio serpentin gli fa baviera. Scalze ha le piante e con la bionda pelle dela più brava e generosa fera tra quante n'ha Getulia unqua produtte, ammanta il resto dele membra tutte.
37
Ponsi per dritto filo incontro al segno, la faretra si slaccia e la disserra e, traendone fuora alato legno, s'abbassa e posa un de' ginocchi in terra. Lo squadra intorno e con industre ingegno in un punto con l'arco il ferro afferra. In cima il tenta e tasta pria se punge, indi al cordone il calamo congiunge.
38
Tien nela manca il corno, e la saetta con l'altra mano insu la fune incorda. Trae fin al destro orecchio a forza stretta col grosso dito e l'indice la corda, ch'un angolo divien di linea retta, e l'occhio intanto con la mano accorda, e dal'arco incurvato in mezza sfera fa per l'aria volar l'asta leggiera.
39
Liberata la canna, ancorché fosse la testa ita a ferir del cavriuolo, però ch'impaurito il capo ei mosse, died'alto e passò via rapida a volo. Il tronco nondimen giunse e percosse dove lo ritenea stretto il lacciuolo e sì forte ad entrarvi andò la freccia, ch'affissa gli restò nela corteccia.
40
Fu per sorte il secondo Arconte armeno che la man pueril dal'urna trasse, di fero latte ed ale fere in seno nutrito in riva al sagittario Arasse, la 've Nifate, d'aspre selve pieno, volge la fronte alpestra al gelid'asse e dela tigre il fremito dolente vedovata de' figli, ode sovente.
41
Raso il mento e la chioma e bruno il volto, lunga ha la giubba e d'un tabì cangiante, sferico lino in larghe fasce involto gli tesse intorno al capo ampio turbante. Di scaglie d'oro intarsiate e scolto l'arco ha d'orribil vipera sembiante; serpe rassembra e 'n quella parte e 'n questa chiude l'estremità gemina testa.
42
Grossa canna indiana acconcia in modo di vagina agli strali, in campo tratta, d'un sol bocciuol dal'un al'altro nodo dal'istessa natura ad arte fatta. Prende il suo posto e ben acuto e sodo un ne sceglie tra molti e poi l'adatta. D'un anel d'osso il maggior dito cinge, indi il calce v'appoggia e l'arco stringe.
43
Stringe, col pugno manco, il legno torto, col dritto a più poter la corda tira, l'un piede indietro e l'altro innanzi sporto; curva gli omeri alquanto insu la mira, serra il lume sinistro e l'altro accorto su l'asta aguzza e 'l braccio al segno gira, sbarra alfin l'arco e quel caccia lo strale; fremono intorno l'aure e fischian l'ale.
44
Lieve più che balen, fendendo il cielo, lo stral nel caprio a sdrucciolar sen viene. Nol fiede già, né pur gli tocca il pelo ma nel canape dà che preso il tiene. Vien nela corda ad incontrarsi il telo e fa tremar il cor, gelar le vene ala fera che tenta a' suoi legami romper intutto i già sfilati stami.
45
Scotonsi allor gl'imbossolati brevi e n'escon duo, l'un prima e l'altro dopo. Frizzardo è l'un, con le quadrella lievi uso a chius'occhi ad affrontar lo scopo, natio del'arso e non da piogge o nevi rinfrescato giamai clima etiopo, là dove d'acque e d'ombre ognor mendica soggiace al primo sol Siene aprica.
46
Cotta ha la pelle e tutto ignudo il busto, sol cinto in mezzo di listati lini; tinge la chioma arsiccia e 'l pelo adusto d'odoriferi unguenti e purpurini; tien di piume vermiglie il capo onusto e di folte saette impenna i crini, e, coronata di sì strania cresta, è faretra al'arcier la propria testa.
47
L'ultimo è Dardiren, là nel'arena nato ove nasce il solitario Oronte, la cui serpente e flessuosa vena ha tra 'l Libano e 'l Tauro il primo fonte. Garzon di crespo crin, d'aria serena, di viso grato e di modesta fronte, non sol famoso a guerreggiar con l'armi, ma maestro de' suoni anco e de' carmi.
48
Duo archi, un dale corde un dagli strali, usa e con l'un e l'altro egli ferisce. Quello stampa in altrui piaghe vitali, questo dà morte a chi sfidarlo ardisce; e de' corpi e de' cori ha palme eguali e la dolcezza ala fierezza unisce. Sembra, di doppio arnese ornato il collo, con la faretra e con la cetra, Apollo.
49
L'arco guerrier che l'arma e per traverso dal'omero gli pende al fianco cinto, è di tasso cornuto assai ben terso, con purpureo carcasso insieme avinto. Di vario smalto e di color diverso, sicom'iride in ciel, tutto è dipinto; iride sì, però che 'n guerra o in caccia sempre pioggia di strali altrui minaccia.
50
Con lieto mormorio, con molte e molte voci d'applauso il nome altier si lesse, perché sapean le turbe intorno accolte quanto in quell'arte il giovane valesse; sapean che 'l nibbio e l'aghiron più volte fè ch'a mezz'aria insu 'l volar cadesse; e ch'avria, nonche 'n ciel giunto un augello, diviso con lo strale anco un capello.
51
Prende alor l'arco in man prima Frizzardo, ch'è fabricato del più bianco dente e dala selva, ond'è crinito, un dardo svelle qual più gli par saldo e pungente. Il segno e 'l sito essamina col guardo ed al vantaggio suo volge la mente. L'arco in mezzo sostien con la sinistra, con la destra il quadrel gli somministra.
52
Incoccato ch'ei l'ha, pria che lo scocchi, pria che 'l forbito avorio allarghi e stenda, piglia la mira e studia ben con gli occhi dove l'un drizzi e come l'altro spenda. La distanza misura accioché tocchi in parte l'animal ch'egli l'offenda. L'occhio, il braccio, la mano inun rassetta, l'arco a tempo, la corda e la saetta.
53
Tragge il gomito indietro e la pennuta verga verso la poppa accosta insieme. In tondo il semicircolo si muta, vanno a baciarsi le due punte estreme, si dischiava la noce e l'asta acuta salta e ronza per l'aria e fugge e freme. L'arco il suo sesto alfin ripiglia e torna, già rallentato, a dilatar le corna.
54
Ch'arrestasse la fera alquanto il moto l'etiopico arcier non ben sostenne, ond'ella allor ch'al sibilar di noto sentì del novo stral batter le penne, fatto sforzo maggior, non solo a voto fu cagion che la freccia a cader venne, ma spezzato il capestro ond'era avolta, per la piazza fuggì libera e sciolta.
55
Per rabbia e per dolor la destra sciocca si morde il negro che quel colpo ha fatto. Ma Dardiren, che 'l dardo ha su la cocca, più non aspetta a scaricare il tratto. Senz'altro indugio a sé tirando il tocca e lascia andarlo impetuoso e ratto. Per l'aria che, qual folgore, divide striscia lo strale e strepitoso stride.
56
Dal'arco sorian la freccia uscita e dala man che l'impeto le diede, va la fera a trovar che sbigottita move, già rotto il laccio, in fuga il piede e la raggiunge e di mortal ferita per lo fianco sinistro il cor le fiede e 'l colpo, onde di sangue il campo bagna, con lieti gridi il popolo accompagna.
57
Tra i quattro allor saettatori egregi, che fur dal caso a gareggiar promossi, fè Citerea distribuire i pregi a suon di vari bronzi e vari bossi. Ma Dardiren de' più superbi fregi come il più degno e segnalato ornossi; onde colui, che 'l volto arso ha dal sole, sdegnoso freme e con la dea si dole:
58
– Non per valor (dicea), ma per ventura m'usurpa oggi costui le glorie prime, che s'avess'io qual egli ha l'armatura, giunto non fora a quest'onor sublime. Di tempra è l'arco suo non molto dura e guernite ha di corno ambe le cime, corno di capro alpin ch'agevolmente si curva e torce ed ala man consente.
59
Di rigid'osso è il mio che pertinace spezzar prima si può che piegar mai. Questo adoprar sogl'io perché ferace di tal materia è la mia terra assai. Ma se 'l discior quell'animal fugace error fu pur, d'impazienza errai. Vinto fui sol perch'aspettar non volsi e per non corre il tempo, apien nol colsi.–
60
Sotto benigno e placido sorriso, velando allora i suoi tormenti acerbi, la dea con lieto e mansueto viso rispose a quegli accenti aspri e superbi: – Ragion è ben che del mio Adone ucciso memoria ancor tra' barbari si serbi – e, perché vide ben ch'invidia il punse, al già promesso dono altro n'aggiunse.
61
– Questa sottile ed ingegnosa rete prendi (gli disse) a più color contesta. Poco men ch'invisibili ha le sete, opra Aracne non fè simile a questa. Le fere di tal fraude ingorde e liete vi corron volentier per la foresta ed al'augel che 'n sì bei nodi è colto, il perder libertà non pesa molto. –
62
Finito il dardeggiar, con chiare note chiama la tromba i ballatori al ballo, poi tace e 'l vulgo, che tacer non pote, fa bisbigliando al suon breve intervallo. Ed ecco altr'armonia l'aria percote, vie più soave che 'l guerrier metallo e Dardiren tra' musici stromenti canta il trionfo suo con lieti accenti.
63
Follerio, il ballarin, fuor del drappello degli altri tutti in prova uscì primiero; sfrenato strale o fuggitivo augello fora di lui men presto e men leggiero. Questi una sua corrente agile e snello danzò con arte tanta e magistero, intramezzata di passaggi tali, ch'empì d'alto stupor l'alme immortali,
64
ond'un par di coturni in premio ei n'ebbe barbaramente ala ninfal guerniti. Al purpureo corame il mastro accrebbe ricchi riccami in bel tramaglio orditi e 'n guisa che stimar non si potrebbe di figure d'argento eran scolpiti. Ei donogli a Tersilla il giorno istesso, che 'l don pagò con mille baci appresso.
65
Passa innanzi Alibello, un che co' salti s'arrischia a far prodigiose prove. Sì strani son, son sì mortali ed alti, ch'orrore insieme e meraviglia move. Lanciasi in aria e, con tremendi assalti, in mille foggie inusitate e nove su la punta or d'un brando, or d'una lancia, or la schiena riversa ed or la pancia.
66
Poi di ferro la man, di piombo il piede carco, passeggia l'aure e 'l ciel discorre. e per la tesa fune andar si vede, qual Dedalo novel, da torre a torre. Viensi alfin con ardir ch'ogni altro eccede, col capo ingiù precipitoso a porre e con l'estremo sol, pendente in libra sostien sestesso e si raggira e vibra.
67
Il seconda Aquilanio, emulo antico, degli altri saltator capo sovrano e seco ha Clarineo, Delio, Laurico e Garbino e Celauro e Floriano. Tutti congiunti allor costor ch'io dico, fan di sé l'un su l'altro un groppo estrano ed ergendo di membre eccelse mura, fan di corpi intessuti alta struttura.
68
Di martora ebbe l'un rara e pregiata zanio artificioso e peregrino, che gli occhi avea di lucida granata e le zanne e le zampe avea d'or fino, la cui morbida pelle era fodrata d'un bel serico vello incremesino e con lacci di seta intorno sparsi poteva al fianco appendersi e legarsi.
69
L'altro non men leggiadra e preziosa e per materia insieme e per lavoro con foglie di rubino ebbe una rosa e con spine di smalto e gambo d'oro. Onorato ancor poi d'alcuna cosa fu ciascun altro de' compagni loro: – Su su (Venere disse) or basti tanto, non si tolga al mio sesso il proprio vanto.
70
Serbinsi i cor virili a lotte, a giostre, non s'usurpi omai l'uom l'arti donnesche. Vengano e scopran lor le ninfe nostre come sappiam menar carole e tresche. – Allor vaghe donzelle in varie mostre comparver con fiorite e con moresche e della balleria di quelle schiere le Grazie eran maestre e condottiere.
71
V'è Lindaura gentil, Marpesia bella, Mirtea vezzosa e Filantea gioconda, Albarosa la bianca e Fiordistella la bruna e, col crin d'or, Fulvia la bionda. Ma Lilla a cui questa bellezza e quella di gran lunga non è pari o seconda, la pupilla d'april sembra tra' fiori o la lampa maggior tra le minori.
72
Prende con tanta grazia a danzar Lilla il contrapasso pria, poi la gagliarda, che d'amor langue e di dolcezza brilla il misero Filen mentre la guarda; e non solo ale fiamme onde sfavilla l'alto sol de' begli occhi è forza ch'arda, non sol la bianca man lo lega e fiede, ma trafigger si sente anco dal piede.
73
– Bel piè (seco dicea) mentreche finge la danza essercitar mobile e vaga, nele tue rote i circoli dipinge dove m'incanta la mia bella maga. Tesse mille catene onde mi stringe ed incurva mill'archi onde m'impiaga; que' giri, ch'ella in tanti modi implica, son labirinti ove 'l mio core intrica.
74
O felice il terren che vai premendo! Deh, perché non poss'io cangiarmi in sasso? seben, mentre che 'n te lo sguardo intendo, l'anima mia calpesti a ciascun passo. Oimé, sento il tuo moto e nol comprendo. Com'esser puoi così veloce, ahi lasso? Sì sì, vola pur lieve a saettarmi poich'hai l'ali d'Amor come n'hai l'armi.–
75
Così dela sua Lilla innamorato l'afflitto pescator tra sé dicea; ed ella intanto avea sì ben danzato che l'onor riportò da Citerea. Dono d'un bel pavone ammaestrato tra le mense a servir le fè la dea: con la coda sapea ne' soli ardenti scopar le mosche e temperare i venti.
76
Uscir Clizio pastor poscia si scorge ch'a ballar la sua Filli invita e prega, Filli sua che ritrosa alquanto sorge, pur quelche chiede al'amator non nega. Levata in piè, la bella man gli porge, la bella man che l'incatena e lega. Reverente e tremante egli la prende e si bacia la sua mentre la stende.
77
Seco al tenor dela maestra cetra pianpian s'aggira pria ch'abbia a lasciarla, indi la lascia, indi da lei s'arretra, indi rivolto a lei, torna a baciarla; e cortese un inchino anco n'impetra mentre curva il ginocchio ad onorarla. Stassi la ninfa in mezzo al cerchio immota, Clizio qual Clizia intorno al sol si rota.
78
Del'onesto favor fatto orgoglioso, poiché chiusa più volte egli ha la volta, vassene in atto grave e grazioso a restringer la man che dianzi ha sciolta. Torna seco al passeggio aventuroso e 'ntanto egli le parla, ella l'ascolta; e trattenendo in bassi accenti il gioco, scopre l'un l'altro il suo celato foco.
79
La dea traendo fuor nobil cicuta fatta di sette canne in Siracusa, donolla a Clizio, ala cui voce arguta ben s'accordò la sua canora musa. Gazza loquace ch'i pastor saluta Filli ebbe in dono, in gabbia eburnea chiusa; umana lingua aver sembra e favella e chiunque conosce a nome appella.
80
Due coppie ancor la dea volse ch'avesse di colombe vezzose a meraviglia e sì feconde che ciascuna d'esse ben quattro volte il mese impregna e figlia. L'una è sì bianca che le nevi istesse, l'istesso latte nel candor somiglia; l'altra d'un vago vezzo il collo ha cinto di varie macchie a più color dipinto.
81
Faunia, di Citerea serva lasciva, vien dopo loro ad occupar la lizza e come baldanzosa ed attrattiva prende Ardelio per man, che 'n piè si drizza. Incominciano in prima a suon di piva, secondo l'uso a carolar di Nizza, Nizza, che di Provenza il bel paese rende superbo del suo forte arnese.
82
Mossersi alparo ed amboduo ballando vedeansi a man a man, sola con solo prima a passo veloce ir misurando con giravolte e scorribande il suolo, poscia l'un l'altra insu le braccia alzando levarsi in aria e gir senz'ali a volo e 'n più scambietti al'ultima raccolta serrar il giro e terminar la volta.
83
Così vid'io, qualora i campi aprici fervon su 'l fil dela stagione adusta, nele selve colà liete e felici dela famosa e fortunata Augusta danzatori leggiadri e danzatrici a groppo a groppo in vaga rota angusta pender girando a suon d'arpa canora e di plausi festanti empir la Dora.
84
Compito il primo ballo, ecco s'appresta la coppia lieta a variar mutanza, e prende ad agitar, poco modesta, con mill'atti difformi oscena danza. Pera il sozzo inventor che tra noi questa introdusse primier barbara usanza. Chiama questo suo giuoco empio e profano saravanda e ciaccona il novo ispano.
85
Due castagnette di sonoro bosso tien nele man la giovinetta ardita, ch'accompagnando il piè con grazia mosso, fan forte ador ador scroccar le dita. Regge un timpano l'altro, ilqual percosso con sonaglietti ad atteggiar l'invita; ed alternando un bel concerto doppio al suono a tempo accordano lo scoppio.
86
Quanti moti a lascivia e quanti gesti provocar ponno i più pudici affetti, quanto corromper può gli animi onesti rappresentano agli occhi in vivi oggetti. Cenni e baci disegna or quella or questi, fanno i fianchi ondeggiar, scontrarsi i petti, socchiudon gli occhi e quasi infra sestessi vengon danzando agli ultimi complessi.
87
Letto era un pregio esposto in quelle feste con colonne d'elettro elette e fine, ch'avean di sfinge i piè, d'arpia le teste e custodie di porpora e cortine e vergate pertutto e quelle e queste erano d'oro in triplicate trine. Fatto il talamo ricco e prezioso ala vista parea più ch'al riposo.
88
Dele danze sfacciate ed impudiche volse la dea che per trofeo servisse: – Ale vostre dolcissime fatiche questo sia 'l premio e questo il campo (disse). Qui col mio figlio ignudo entrò già Psiche la prima notte ale beate risse; qui voi dar fine al gioco ed al difetto potrete del ballar supplir col letto.–
89
Diana, che la guancia avea vermiglia quegli atti abominabili mirando e tenea tuttavia chine le ciglia per la vergogna del ballar nefando, non fu lenta a chiamar la sua famiglia, che venne al cenno del divin comando; e, senza uscir del'onestà devuta, un riddon cominciò con nova muta.
90
Lucilia bella, che qual sole irraggia, Lidia gioliva che qual fiamma sface, Partenia casta, Gloriana saggia, Absinzia cruda, Antifila sagace, Florismena solinga, Egle selvaggia, Lesbia ritrosa, Testili fugace, Amaranta superba, Alteria altera, danzan tutte racolte in una schiera.
91
Guidato alquanto insieme il ballo tondo, ballar volser divise ad una ad una e con error festevole e giocondo, ma col decoro debito a ciascuna, di quante danze ha più leggiadre il mondo non tralasciaro in tai vicende alcuna, qual più per arte o per vaghezza aggrada del ventaglio, del torchio e dela spada.
92
Disse la dea d'amor: – L'onesto e 'l bene del meritato onor non si defraude. Non dee vera virtù, né si conviene, senza premio restarsi e senza laude. Vuolsi qui dimostrar ch'al'opre oscene Vener non più ch'a le contrarie applaude. – E fattasi recar la statua d'oro del'istessa Virtù, la donò loro.
93
Non vuol Febo soffrir che la sorella l'onor del ben ballar sen porti sola, onde dele sue Muse il coro appella e l'aureo plettro accorda ala viola. Vien tosto, inteso il suon, la schiera bella al'armonia dela divina scola e co' legami dele braccia istesse stranio balletto in vaghi nodi intesse.
94
Sotto la treccia dele braccia alzate per filo or quella or questa il capo abbassa, e torcendo le mani innanellate altra sen'esce, altra sottentra e passa. Poich'alfin le catene ha rallentate, la bellissima filza il campo lassa e soletta a ballar resta in disparte Tersicore che diva è di quell'arte.
95
Si ritragge da capo, innanzi fassi, piega il ginocchio e move il piè spedito e studia ben come dispensi i passi, mentre del dotto suon segue l'invito; circonda il campo e raggirando vassi pria che proceda a carolar più trito, sì lieve che porria, benché profonde, premer senz'affondar le vie del'onde.
96
Su 'l vago piè si libra, e 'l vago piede movendo a passo misurato e lento, con maestria, con leggiadria si vede portar la vita in cento guise e cento. Or si scosta, or s'accosta, or fugge, or riede, or a manca, or a destra in un momento, scorrendo il suol sì come suol baleno del'aria estiva il limpido sereno.
97
E con sì destri e ben composti moti radendo in prima il pian s'avolge ed erra, che non si sa qual piede in aria roti e qual fermo de' duo tocchi la terra. Fa suoi corsi e suoi giri or pieni, or voti, quando l'orbe distorna e quando il serra, con partimenti sì minuti e spessi che 'l Meandro non ha tanti reflessi.
98
Divide il tempo e la misura eguale ed osserva in ogni atto ordine e norma. Secondo ch'ode il sonatore e quale o grave il suono o concitato ei forma, tal col piede atteggiando o scende o sale e va tarda o veloce a stampar l'orma. Fiamma ed onda somiglia e turbo e biscia, se poggia o cala o si rivolge o striscia.
99
Fan bel concerto l'un e l'altro fianco per le parti di mezzo e per l'estreme; moto il destro non fa che subit'anco non l'accompagni il suo compagno insieme; concordi i piè, mentre si vibra il manco, l'altro ancor con la punta il terren preme; tempo non batte mai scarso o soverchio, né tira a caso mai linea né cerchio.
100
Tien ne' passaggi suoi modo diverso, come diverso è de' concenti il tuono; tanti ne fa per dritto e per traverso quante le pause e le periodi sono e, tutta pronta ad ubbidire al verso che 'l cenno insegna del maestro suono, or s'avanza, or s'arretra, or smonta, or balza e sempre con ragion s'abbassa ed alza.
101
Talor le fughe arresta, il corso posa, indi muta tenore in un instante e con geometria meravigliosa apre il compasso dele vaghe piante, onde viene a stampar sfera ingegnosa e rota a quella del pavon sembiante; tengono i piè la periferia e 'l centro, quel volteggia di fuor, questo sta dentro.
102
Su 'l sinistro sostiensi e 'n forme nove l'agil corpo sì ratto aggira intorno che con fretta minor si volge e move il volubil paleo, l'agevol torno. Con grazia poi non più veduta altrove fa gentilmente, onde partì, ritorno; s'erge e sospende e, ribalzando in alto, rompe l'aria per mezzo e trincia il salto.
103
Il capo inchina pria che 'n alto saglia e gamba a gamba intreccia ed incrocicchia; dale braccia aiutato il corpo scaglia, la persona ritira e si rannicchia. Poi spicca il lancio, e mentre l'aria taglia, due volte con l'un piè l'altro si picchia e fa, battendo e ribattendo entrambe, sollevata dal pian, guizzar le gambe.
104
Poich'ella è giunta insù quanto più pote, la vedi ingiù diminuir cadente e nel cader sì lieve il suol percote che scossa o calpestio non sene sente. è bel veder con che mirabil rote su lo spazio primier piombi repente, come più snella alfin che strale o lampo discorra a salti e cavriole il campo.
105
Immobilmente il popolo sospeso pende da' moti di colei che balla. Stupisce ognun che dele membra il peso estolla al ciel qual ripercossa palla; serpa in obliquo o vada a passo steso, opra il tutto con arte e mai non falla, ond'alza un grido alfin garrulo e roco e 'l sol termina il giorno ed ella il gioco,
106
e la madre d'Amor, con queste lodi, dele sorelle sue celebra il vanto: – Dive immortali, vergini custodi del pregiato licor del fiume santo, da cui per fare al Tempo eterne frodi hanno i miei bianchi augelli appreso il canto, qual dono offrir vi può che vil non sia o la sfera o la terra o l'onda mia?
107
Ecco nove corone. Elette queste sono a fregiar le vostre chiome bionde, peso ben degno di sì degne teste poiché de' cieli al numero risponde. Son merlate di gemme ed han conteste di smeraldo finissimo le fronde, la cui verdura si conforma al verde del'arbor che giamai foglia non perde.
108
A te, che fatto hai qui novo Elicona chiudendo il festeggiar di questo giorno, oltre ch'avrai dela gentil corona, come l'altre compagne, il crine adorno, questo ricco monile anco si dona da cerchiar nove volte il collo intorno, da cui di bel zaffir pende un branchiglio che dal'isole vien del mar Vermiglio.
109
Ma tu, che più d'ogni altra altrui diletti, onde stimata sei la più gentile, Erato mia, che gli amorosi affetti spiegando in dolce e delicato stile lusinghi i cori, intenerisci i petti, altro avrai che corona e che monile, degna per la tua rara alta eccellenza d'esser dela mia rota intelligenza.
110
Se non ho cosa che 'l tuo merto agguagli, resti del buon voler pago e contento; togli questo scrittoio, i cui serragli, i cui foderi son tutti d'argento. Tien figurato di sottili intagli in ciascun ripostiglio il suo stromento, coltelli e righe e con mirabil arte cent'altri arnesi da vergar le carte.
111
è di terso diaspro il bel lavoro del'urna che l'inchiostro in sé ricetta. Fuso, invece d'inchiostro, havvi del'oro, di cui l'arco ha il mio figlio e la saetta. Del più candido cigno e più canoro penna lo sparge infra mill'altre eletta e 'l vasel dela polve in grembo tiene ricche del Gange e preziose arene.
112
Con questo a gloria mia vo'che tu scriva versi soavi e teneri d'amore. Ed io, qualor su la Castalia riva t'esserciti a cantar con l'altre suore, farò che del tuo stil la vena viva dolcezza assai del'altre abbia maggiore, dando al tuo canto, accioché più s'apprezzi, tutte le grazie mie, tutti i miei vezzi.
113
La stella mia che, quando il sol vien fora, ultima cade e 'n ciel sorge la prima, quella che sveglia a salutar l'aurora i sacri spirti ed a cantar in rima e più che 'n altra è solita in quell'ora d'alzar l'ingegno ond'alte cose esprima, vo' che col raggio suo, sempre seconda, furor divino ala tua mente infonda. –
114
Disse e già fuor de' tenebrosi orrori traea di vive perle il corno pieno Cinzia e spargea di cristallini albori il taciturno e gelido sereno. Taceano i venti e languidetti i fiori giaceano al'erba genitrice in seno. Nel suo placido letto il mar dormiva, del cui gran sonno il fremito s'udiva.
115
Sorse Venere bella e seco tolti tra mille lumi i peregrini dei, lor provide d'alloggio e fur raccolti nel'ampia reggia ad albergar con lei. Sgombra fu la gran piazza, ancorché molti de' riguardanti e nobili e plebei volser, per non lasciar gli agiati luochi, aspettar nel teatro i novi giochi.
116
Già lampeggiando in ciel l'alba traea dale nubi notturne auree scintille e colte già dal seminario avea dele rugiade mille perle e mille, onde con larga mano ella spargea dal vaso d'oro innargentate stille, innebriando di celesti umori l'avidità, l'aridità de' fiori,
117
quando Ciprigna ad ordinar le cose del dì secondo uscì del ricco albergo e de' lottanti al vincitor propose fiero molosso a brun macchiato il tergo, ch'avea di piastre terse e luminose d'acciar dorato intorno un forte usbergo e d'un cuoio durissimo ferrato, aspro di punte d'oro, il collo armato.
118
Col novo premio e con la luce nova, ecco più d'una tromba ad alta voce dela lotta citar s'ode ala prova ed incitar la gioventù feroce. Subito presto a comparir si trova Cisso il tebano e Batto il cappadoce e Clorigi è con essi e Vigorino, il primo è cireneo, l'altro è bitino.
119
Noto al'Olimpo Olimpio ed al Citoro Eutirto, un di Tessaglia ed un di Ponto; Brancaforte di Tarso e Bellamoro di Babilonia, uom celebrato e pronto, e col temuto Uragano il fier Brunoro mostrasi anch'egli apparecchiato e pronto, e Bronco il forte e l'animoso Edrasto esser bramano i primi al gran contrasto.
120
Ma Satirisco entro l'agone intanto salta ed aspira ai preparati premi. D'una driada e d'un fauno in Erimanto fu generato di confusi semi. Non è satiro intutto eccetto quanto tengon sol dela capra i piedi estremi. Forma umana ha nel resto e di due corna, con cui cozza lottando, il capo adorna.
121
Corteccio allora, un contadin possente, contro costui per tenzonar s'è mosso; ale braccia in Arcadia uso è sovente venir con gli orsi e n'ha le pelli addosso. Ha, come gli orsi istessi, irto e pungente su 'l petto il pel, grande ogni membro e grosso; è dele piante figlio e dele selve, commun l'albergo e 'l vitto ha con le belve.
122
Le selve a questo popolo e le piante, orribil a contar, fur genitrici e crebbe poi robusta turba errante, senza cura di fasce o di nutrici. Da novo piè calcata, il suoi tremante scosse la terra infin dale radici, quando da' padri frassini e da' faggi vide i fanciulli uscir verdi e selvaggi.
123
Spaventati ed attoniti stupiro quel dì che prima al ciel gli occhi levaro e videro alternar con vario giro dela notte e del giorno il fosco e 'l chiaro. Fama è che lungo tratto il sol seguiro quando oscurar la sera il dì miraro, temendo forte, ahi semplici! non loro involasse per sempre i raggi d'oro.
124
Veder duo lottator tanto eccellenti da corpo a corpo a contrastar ridutti, fu gran diletto, ond'a mirargli intenti in piè s'alzaro i circostanti tutti. Non stetter molto a bada i combattenti, ambo delpar nell'essercizio instrutti, ma subito n'andar senz'altro dirsi impetuosamente ad assalirsi.
125
Non da spiedo o da stral talor feriti duo fier leoni o duo cinghiali alpestri risonar d'urli orrendi e di ruggiti fan con tanto furor gli antri silvestri, con quanto insieme ad affrontarsi arditi vennero dela lotta i duo maestri e si strinsero a un tempo e d'alti gridi rimbombar fer d'intorno i campi e i lidi.
126
Tra saldi nodi e rigide ritorte avinchiati così stetter gran pezza, poi si staccaro e con rivolte accorte cominciaro a mostrar forza e destrezza. Pesante è l'un, ma ben gagliardo e forte, l'altro è leggier, ma di minor fortezza, pur, girandosi ognor, con l'arte astuta e con la propria agilità s'aiuta.
127
Poich'ei più volte ha circondato il piano, le gambe allarga e ferma i piedi in terra, le spalle incurva e l'una e l'altra mano distende innanzi, accinto a nova guerra. Con minaccioso scherno il fier villano sorride e contro lui ratto si serra e con un braccio, il più forte che pote, di sovra la collottola il percote.
128
Quasi duro bastone o grossa trave parve battesse al satiro la fronte e stordito restò dal picchio grave, pur come addosso gli cadesse un monte. Ma si riscote intanto e perché pave d'un nemico sì fier l'offese e l'onte, cerca di prevaler sagace e scaltro con stratagemi e con cautele al'altro.
129
Mostrò forte dolersi e d'aver rotta la testa e di cader quasi s'infinse, onde colui per dargli un'altra botta, scioccamente ridendo, oltre si spinse e, credendo omai vinta aver la lotta, senza riguardo alcun, seco si strinse; ma tutto in semedesmo ei si raccolse ed aspettar quell'impeto non volse.
130
Mentre Corteccio, con l'ardir ch'ha preso risoluto ritorna ala battaglia e la seconda volta il braccio steso per di novo ferirlo a lui si scaglia, la fronte abbassa e, pria che l'abbia offeso, gli entra di sotto e fa che 'nvan l'assaglia e dà loco ala furia e la ruina del colpo irreparabile declina.
131
Schivato il colpo e col suo destro braccio preso del'aversario il braccio manco, quasi legato da tenace laccio gliel'imprigiona e l'attraversa al fianco. Tenta ben l'altro uscir di quell'impaccio, ma perché greve e travagliato e stanco ceder gli è forza e nel colpire a voto è tirato a cader dal proprio moto.
132
Tutto in un tempo ei gli passò sfuggendo sotto l'ascella e gli s'avinse al collo e con le mani il gran ventre cingendo gli saltò sulle terga e circondollo in guisa tal che 'n ginocchion cadendo quei venne a terra e non potea dar crollo; pur con sì fatto sforzo alfin si torse che quasi in piedi libero risorse
133
e con quel dimenar diè sì grand'urto al destro assalitor che l'avea cinto, ch'al'improviso allor colto e di furto, fu per caderne anch'egli, indietro spinto. Ma pria ch'apien disciolto e 'n piè risurto fusse l'altier, già poco men che vinto, il quasi vincitor dela contesa non fu già lento a rattaccar la presa.
134
Robustamente con le braccia il lega, con le corna il ferisce a capo chino e 'l ginocchio di dietro, ove si piega, batte in un punto col tallon caprino e tanta forza ad atterrarlo impiega, che lo costringe a traboccar supino. Far non potè però, quando l'oppresse, ch'ancor sovra il caduto ei non cadesse.
135
Seco abbracciato e fortemente stretto l'abbattuto pastor in modo il tenne, ch'addosso in venir giù sel trasse al petto, onde cadere ad ambodue convenne. Cadder sossovra e d'onta e di dispetto l'un e l'altro fremendo in piè rivenne; e già moveansi a più rabbiose risse ma Citerea vi s'interpose e disse:
136
– Non convien che più oltre oggi proceda, giovani valorosi, il furor vostro, né che cotanto un vano sdegno ecceda; basti l'alto valor che qui s'è mostro. Non vo' che 'l sangue alo scherzar succeda, non è mortal conflitto il gioco nostro; cessino l'ire; ambo egualmente siete degni di palma ed egual premio avrete.
137
Abbiasi Satirisco il can promesso ma non s'oblii del'altro insieme il merto; quel pardo cacciator gli fia concesso ch'è di spoglia ricchissima coverto. – Più volea dir, ma su quel punto istesso vide Membronio entrar nel campo aperto, Membronio il fiero scita, uom ch'ale membra animata piramide rassembra.
138
Sembra torre sensibile e spirante, sembra viva montagna ala statura. Non giamai, credo, in alcun suo gigante tanta massa di carni unì Natura. Dal vasto capo ale tremende piante così dismisurata è la misura, che tra gli uomini grandi è quello istesso ch'è tra i virgulti piccioli il cipresso.
139
Pien di superbo e temerario orgoglio questi nel chiuso cerchio entrato apena, depon le vesti e in un confuso invoglio furiando le gitta insu l'arena. Poi, quasi eccelso ed elevato scoglio, del'ampie spalle e del'immensa schiena scopre gli eccessi e di terribil ombra, ben piantato nel mezzo, il piano ingombra.
140
Qual Tizio fuor dela prigion tenace libero e 'n piè levato a veder fora, se l'augel che famelico e mordace le sue feconde viscere divora, da' nove campi ove disteso ei giace sorger gli desse e respirar talora, cotal parea quel mostro orrendo e rio, ch'i più temuti a spaventar uscio.
141
Con bieco sguardo in prima egli si vide torcer le luci e sollevar la faccia, aspra se scherza ed orrida se ride, or che fia se s'adira o se minaccia? Indi con formidabili disfide, ambe sbarrando incontr'al ciel le braccia, di tai parole audaci ed arroganti l'orecchie fulminò degli ascoltanti:
142
– Or venga a noi di quanta gente accoglie questa di lottatori ampia adunanza, qual più di palme cupido e di spoglie in sestesso si fida e 'n sua possanza. Vedrem chi tanto insane avrà le voglie, che di meco pugnar prende baldanza. Parlo a chiunque intorno ode il mio grido e quanti qui ne son, tanti ne sfido. –
143
Nessun risponde al'oltraggiose note, salvo sol di Beozia un giovinetto, ch'accende allor, perché soffrir nol pote, di vergogna la guancia e d'ira il petto. Incomincia a segnargli ambe le gote del primo pelo un picciolo fregetto, ma sotto l'ombra dele fila bionde di qua, di là la zazzera l'asconde.
144
Crindor, dal'or del crine, egli ebbe nome, perché sì bionde e molli e dilicate e sì crespe e sì terse avea le chiome, ch'auree in vero pareano e non aurate. E qualor dala forbice, sicome sogliono a chi si tonde, eran tagliate, per posseder sì lucido tesoro le compravan le donne a peso d'oro.
145
Senza accorciarla un lustro ha già nutrita la bella chioma, ond'è diffusa e lunga e non è di che culta e ben forbita, de' più pregiati aromati non l'unga. Ma s'or avien che dal'impresa ardita vincitor esca e ch'ala patria ei giunga, troncar promette in voto i capei cari e d'Apollo offerirgli ai sacri altari.
146
Poiché vede ch'alcun non osa ancora di contraporsi a quel colosso immane, sfibbiasi il manto e senz'altra dimora, scinte le spoglie, ignudo ivi rimane e del corpo viril dimostra fora le fattezze leggiadre e sovrumane, onde del'altre membra al vago volto quelche i drappi ascondeano, il pregio ha tolto.
147
Sentendo nel bravar che fa colui publica e general l'ingiuria e l'onta, benché debil di forze, incontr'a lui dala voglia è portato audace e pronta, né senza tema e meraviglia altrui il coraggioso giovane l'affronta. Ma l'altro, con piè fermo e fronte oscura, minacciando l'aspetta e nulla il cura.
148
Somiglia là, nelo steccato ibero tauro cui gente irritatrice espugna, qualor dal canneggiar fatto più fiero, fiede il ciel con la fronte, il suol con l'ugna, la coda inalza, abbassa il collo altero, sbarra le nari e sfida i venti a pugna e par, torto le corna e torvo i lumi, quando sorge dal letto il re de' fiumi.
149
E che può folle ardir? che può? che vale contro sì sconcia machina e sì vasta? che non ch'aver proporzione eguale, con tutto il petto al capo gli sovrasta? Lasciasi pur crollar, mentr'ei l'assale, sostien gli urti innocenti e non contrasta; ma 'l tempo attende e con accorto ciglio cerca ala treccia d'or dargli di piglio.
150
La treccia d'oro ch'al soffiar del vento volava intorno innanellata e sciolta, era molto al garzon d'impedimento e gli occhi gli copria tant'era folta; onde il gigante ala vittoria intento ebbe pur d'afferrarla agio una volta; nel'aureo crin la fiera man gli stese e tanto ne stracciò quanto ne prese.
151
Come quando talora astuto gatto il nemico che rode ha nela branca, non subito l'uccide al primo tratto ma quinci e quindi lo raggira e stanca, finché, veggendol poi mezzo disfatto e che lo spirto ador ador gli manca, dopo lungo scherzar, pur finalmente ala zampa lo toglie e dallo al dente,
152
così Membronio altero e furibondo poiché sofferto ha il bel Crindoro alquanto, con oltraggio crudel per lo crin biondo lo sbatte a terra e quivi il lascia intanto; e disprezzando insieme il cielo e 'l mondo l'insolente parlar raddoppia e 'l vanto: – Perché soffre (dicea) chi più si stima che gli tolga un fanciul la lotta prima?
153
Venite voi, ch'io tal onor non curo, voi forti, al braccio mio degna fatica. Venga ciascun che vuol provar se duro o molle è il sen dela gran madre antica. – Così dic'egli con sembiante oscuro, né Corimbo sostien che così dica; di Crindoro è compagno, anch'egli greco, e di stretta amistà legato seco.
154
Nacque su l'Acheloo, famoso fiume, che lottò già col domator de' forti e contan che l'istesso umido nume gl'insegnò l'arte e mille tratti accorti e del pontar la pratica e 'l costume e le prese a cangiar di varie sorti; e di persona essendo agile e destra, vincitor riuscì d'ogni palestra.
155
Spiacque a ciascun la crudeltà villana del barbaro feroce e discortese, ma 'l fido amico ala caduta e strana d'ira non men che di pietà s'accese. – Volgiti (disse) a me, bestia inumana, che disonori l'onorate imprese e d'avilire e d'infamar ti gonfi l'onor dele vittorie e de' trionfi.
156
Non superbir con vanità sì sciocca, perché mole di membra abbi cotanta, ché, se sembra il tuo corpo eccelsa rocca, eccelsa rocca ancor s'abbatte e schianta. Spesso da giogo altero al pian trabocca tronca da picciol ferro, immensa pianta, spesso lo smisurato angue d'Egitto da minuto animal cade trafitto.
157
Fu l'uccisor del fier leon nemeo vie più forse di te forte e membruto, pur nel tallon trafitto alfin cadeo dal morso sol d'un pesciolin brancuto. Fu di quel ch'io mi son, del campo acheo forse minor l'esploratore astuto, pur tolse di sua man con picciol remo l'arroganza e la vita a Polifemo. –
158
Con un ghigno sprezzante e pien d'orgoglio l'ascolta il grande e qual si sia nol degna: – Teco non con la man combatter voglio, solo il mio piede a ben lottar insegna. Con un calcio di quei, ch'aventar soglio, ti manderò dove Saturno regna; e 'n tornar giù mi recherai novelle di ciò che colassù fanno le stelle. –
159
Così rispose, e così detto prese un salto tal che fè stupir le genti, né l'Appennin sì forte o il Monsanese scosso è talor da prigionieri venti. Poi d'un grido sì fiero il cielo offese, che la terra crollò da' fondamenti; vacillò la gran piazza e rimbombonne l'aria e tremaro intorno archi e colonne.
160
Con sì fatto romor, quand'Ercol morse, aprì latrando Cerbero le gole; con tal rimbombo Giove a punir corse del fier Titan la temeraria prole e con strepito egual Pozzuol fè forse d'alto spavento impallidire il sole, alor ch'alo scoppiar dele campagne vomitò fiamme e partorì montagne.
161
Senz'altro motto al vantator superbo il buon Corimbo allor si drizza e tace. è d'età verde e di vigore acerbo, indomito di cor, di spirto audace, tutto callo, tutt'osso e tutto nerbo, di polpe asciutto e d'animo vivace. Quadrato ha il corpo e sovra i fianchi stretto, gli omeri larghi e spazioso il petto.
162
Stupir le turbe intorno, a cui non era conta la fama del campion gagliardo, quando insperato e solo uscir di schiera l'ebber veduto e 'n lui fisaro il guardo. Ma tra color ch'avean notizia intera di quel valor che non fu mai codardo, meraviglia non nacque e lor non nove l'usate n'attendean prodezze e prove.
163
Del pari ignuda e stimulata e punta da sprone egual la fiera coppia arriva, e poiché già concesso a prima giunta libero ad ambo il campo è dala diva, poich'han la pelle immorbidita ed unta col licor verde dela molle oliva, chinansi a terra e con furore e rabbia fregan le mani insu la secca sabbia.
164
Quando d'arida polve ambo pres'hanno quanto lor basta ad inasprar le palme, non così tosto ad abbracciar si vanno quelle due senza pari intrepid'alme. Ma de' corpi ch'al moto accinti stanno, ferme nel suol le ben librate salme, da capo a piè, da questo e da quel canto, trattengon gli occhi a misurarsi alquanto.
165
Usa ciascun l'industria, adopra ogni arte per aver nela luce anco vantaggio e sceglie il sito e 'n guisa il sol comparte, che gli occhi offenda al'aversario il raggio, cercando pur di collocarsi in parte dove non n'abbia la sua vista oltraggio, e 'n sì fatta postura il lume piglia che gli fieda le spalle e non le ciglia.
166
Volge Membronio al suo nemico il viso, tien curvo il collo e tien le gambe aperte e 'ntento ad avinchiarlo al'improviso, larghe le braccia ed inarcate ed erte. Corimbo in sé raccolto e 'n su l'aviso, le man, gli occhi e la faccia a lui converte ed indietro col piè, col capo avante, tenta aver nela presa il primo istante.
167
Lanciarsi ambo in un tratto ed investiti s'aviticchiar con noderosi groppi; né polpo a nuotator tra' salsi liti tese mai nodi sì tenaci e doppi, come fur quei, che di lor membra orditi, tentando insidie e traversando intoppi, strinsergli insieme in cento modi estrani con le braccia, co' piedi e con le mani.
168
Premer petto con petto ambo vedresti e stinco a stinco e fronte a fronte opporsi, ambo a prova afferrarsi agili e presti sotto i lombi, su i colli e dietro ai dorsi. Stan così buono spazio e quegli e questi, pur disbrigati al fin vengono a sciorsi e, con gran giri intorniando il loco, van quinci e quindi e fan più largo il gioco.
169
Torna da capo ad affrontarsi e i petti congiunge insieme la robusta coppia, e sì forte gli tien serrati e stretti ch'afferma ognun che già vien meno e scoppia; poi son pur a lasciarsi alfin costretti, indi pur l'un e l'altro ancor s'accoppia, e l'un e l'altro mentre or lascia, or prende, scambievolmente ognor varia vicende.
170
Come in riva palustre o in balza alpina, quando dal furor d'euro è combattuta, minaccia antica pianta alta ruina, accenna arbore eccelsa alta caduta, or la cima frondosa a terra inchina, or in alto dal vento è sostenuta e 'l moto alterno del'altere fronti fa stupire e tremare i fiumi e i monti,
171
così fanno quei duo. Sovente vedi mutar fogge d'assalto or quello, or questo; il minor dal maggior talvolta credi già soffogato ed abbattuto e pesto; in un momento poi risorto in piedi rincalza l'altro ed a ghermirlo è presto; or respinge il nemico, or n'è respinto, né si distingue il vincitor dal vinto.
172
Su le dita de' piè Corimbo in alto s'erge talor, ma non gli arriva al mento; talor prende a saltar, ma sempre il salto appo busto sì grande è corto e lento. Non però si ritrae dal fiero assalto, né di forza gli cede o d'ardimento; virtù raccolta è vie più forte e langue troppo allargato in un gran corpo il sangue.
173
Membronio, saldo in mezzo al campo e dritto di guardia in atto e di difesa stassi e cerca stancheggiar l'emulo invitto che gli va intorno con veloci passi, ma per farglisi egual nel gran conflitto convien che 'l tergo incurvi e che s'abbassi. Pensa dargli di piglio e l'altro fugge, ond'ei sbuffa e bestemmia e freme e rugge.
174
Qual orbo a cui zanzara intorno o pecchia vola importuna ad infestar la faccia, ed or nel naso il punge or nel'orecchia, e più ritorna quant'ei più la scaccia, tal, quanto più si volge ed apparecchia or quinci or quindi ala tenzon le braccia, dal destro assalitor men si difende e le man per pigliarlo indarno stende.
175
Già sono entrambo affaticati e stanchi e di molle sudor bagnati e sparsi, già con spesso alitar battono i fianchi e vanno alquanto al travagliar più scarsi. Ma 'l più grave trafela e par gli manchi la lena intutto e brama omai posarsi; mostra ogni vena il corpo enfiata e rossa e più forte anelando il fiato ingrossa.
176
Pur dal'onor sospinto in piè sostiensi e gli usati furori in sé raccende; ma con la vastità de' membri immensi più che con la possanza ei si difende. Il greco, ch'ha più vigorosi i sensi, più fresco al'opra e più vivace intende ed ecco già que' nervi intanto adocchia che di dietro incurvar fan le ginocchia,
177
e perché lasso il vede e pien d'angoscia, con la destra gli accenna inver la spalla. Minaccia al collo e in un momento poscia s'inchina, ma l'effetto al pensier falla, che la man troppo breve al'ampia coscia, inumidita dal licor di Palla, non potendo fermar la palma in essa, lubrica a sdrucciolar vien da sestessa.
178
Il superbo di Scizia, ancorché rotto dala stanchezza, allor punto non tarda e vistosi da lui sì malcondotto, par che di stizza e di dispetto n'arda. Sovra andar gli si lascia e quasi sotto sel caccia in modo con la man gagliarda, ch'a l'ombra del gran seno, onde il soverchia, tutto l'asconde e con le braccia il cerchia;
179
così chi cerca con occulta mina l'oro sepolto in sotterraneo speco, se la rupe si rompe e 'n giù ruina, siché chiusa la buca ei resti cieco, sotto l'alta percossa e repentina tutti gli ordigni suoi ne tragge seco e pon fine in un punto al'opra ardita, a l'ingorda avarizia ed ala vita.
180
Non perde il cor Corimbo, anzi s'affretta in caricarlo e riposar nol lassa; e perch'a far un colpo il tempo aspetta, sotto il braccio nemico il capo abbassa e con più d'una scossa e d'una stretta gli esce ale coste, indi ale spalle, e passa. Di qua, di là, con l'una e l'altra mano gli annoda i fianchi e tenta alzarlo invano.
181
Più volte a destra, a manca il fier gigante spinge e respinge e con gran forza il tira, ma non men saldo il trova o men costante che grossa quercia a zefiro che spira. Dele gran gambe ognor, dele gran piante sì ben fondate tien, mentr'ei l'aggira, le colonne e le basi insu l'arene, che la propria gravezza in piedi il tiene.
182
Pur alfin tutto ala vittoria inteso, ratto da faccia a faccia a lui s'aventa, indi, quantunque intolerabil peso, sollevandol da terra, alto il sostenta. Quando così nel'aria ei l'ha sospeso, non allarga i legami e non gli allenta, ma con tutto il vigor dela persona là dove pende più, più s'abbandona.
183
Sovra l'osso del petto alto levato calcollo sì che 'l respirar gli tolse. Quanto d'impeto avea, quanto di fiato nele membra e nel cor, tutto raccolse e, piegandolo a forza al manco lato, lui da sé spinse e sé da lui disciolse, onde cadendo alfin, con l'ampia schiena il membruto campion stampò l'arena.
184
Non altrimenti il generoso Alcide quando il libico Anteo pugnando assalse, poiché dela cagion chiaro s'avide ond'ei più volte al suo valor prevalse, tra le braccia possenti ed omicide stringendolo schernì l'arti sue false e tanto spazio lo sostenne e resse che violenta fuor l'alma n'espresse.
185
Cadde con quel fragor che suole al basso cader smosso dal'onde argine o ponte e parve apunto che scosceso il sasso venisse quasi a dirupare un monte. Tutti a quella ruina, a quel fracasso segno mostrar d'alta letizia in fronte e con grido e stupore al riso misto, favorire applaudendo ognun fu visto.
186
Mentre intorno ridea la turba pazza, confondendo al'applauso alto bisbiglio, fattosi Citerea venire in piazza stranio vasel, volse a Corimbo il ciglio: – Tua sia questa (gli disse); in questa tazza che 'n India conquistò lo dio vermiglio, Giove bevea nel tempo già, che pria di Ganimede a mensa Ebe il servia.
187
La tazza ha il ventre assai capace e grande e, come vedi, è di cristallo alpino; sorge vite dal fondo e dale bande le serpe intorno e fa corona al vino; son di smeraldo i pampini che spande, l'uve son di topazio e di rubino; e 'n guisa tal che l'arte assembra caso, il tronco inferior fa piede al vaso.
188
In mezzo al vaso ricco e prezioso sta con arte mirabile piantato un cespo intier del'arboscel ramoso che fu già da Medusa insanguinato, onde il dolce licor d'un fresco ombroso sparge, né men ch'al labro al'occhio è grato e mesce il rosso al verde e 'nsieme serra le delizie del mare e dela terra.
189
Dele gemme ch'ha dentro il prezzo è il meno. Sì sottil l'artificio è di quest'opra, perché mentre la coppa ha voto il seno, paiono acerbi i grappoli di sopra; ma quando poi comincia ad esser pieno, tanto che 'l vino infin al'orlo il copra, s'annegrisce il rigor dela verdura e diventa l'agresto uva matura. –
190
Così dic'ella e gliel consegna e porge e, veduto Membronio ala pianura, loqual carco di polve in piè risorge vie più che di superbia e di bravura, perché confuso il mira e ben s'accorge quanto l'affligga il duol di sua sciagura, non vuol ch'alcuno in sì festoso giorno da lei si parta con mestizia e scorno.
191
Una gran fiasca in dono ottien da lei, opra ben tersa d'acero tornito, che d'un bel chiaro oscuro in duo camei per la man del gran Guido è colorito. In una parte de' celesti dei dipinto è il lauto e splendido convito, nel'altra una vendemmia ha di baccanti, di selvaggi sileni e coribanti.
192
Sovragiunge Crindoro il qual si lagna del torto ingiusto e mostra interno affanno, dicendo che da lui nela campagna fu per fraude abbattuto e per inganno. Graffiasi il volto e di bel pianto il bagna e vendica nel crin l'ingiuria e 'l danno ed accrescono grazia ala beltate le chiome polverose e lacerate.
193
Ride Ciprigna e col bel vel sottile gli asciuga di sua man gli occhi piangenti. Poi d'alabastro candido e gentile fa due portar ben grandi urne lucenti, già di ceneri sacre antiche pile, or tutte piene d'odorati unguenti: – Questi licori preziosi e fini servanti (disse) a far più molli i crini. –
194
Dopo le lutte faticose e fiere la bellicosa dea prende per mano e la vuol seco giudice a sedere sovra il gran palco che comanda al piano. Poi fra le genti armigere e guerrere fa per l'araldo suo gridar lontano che chiunque onor brama in campo vada a tirar d'armi ed a giocar di spada.
195
Per incitar, per allettar con l'esca gli animi forti ala tenzon novella, e perch'ai cori arditi ardir s'accresca, un dolce premio a conquistar gli appella; vergine addita lor fiorita e fresca nata in Corinto e fra le belle bella, bianca vie più che tenero ligustro, e compito ha di poco il terzo lustro.
196
Fu beltà tanta ai fianchi di coloro che deveano armeggiar, stimolo ardente, perch'al valor che langue, alto ristoro i trastulli d'amor recan sovente. Tosto Brandin comparve ed Armidoro, l'un detto il feritor, l'altro il valente, Gauro lo scarmigliato, Ormusto il fiero, Garinto il rosso e Moribello il nero.
197
Taurindo il mosco, il tartaro Briferro, Argalto il siro, il persian Duarte e Giramon che sì ben gira il ferro e Fulgimarte, il folgore di Marte. Magabizzo e Spadocco, un ladro, un sgherro, ambo or rivolti a più lodevol arte. Belisardo dal guado, Albin dal ponte, Grottier dal bosco ed Olivan dal monte.
198
Mentre son questi in gara ed altri eroi di cui la Musa mia l'opre non narra, Esperio ispano di cui prima o poi uom più audace non fu, prende la smarra; e precorrendo i concorrenti suoi, cacciasi il primo entro la chiusa sbarra, indi la man toccando ala donzella, con un sorriso altier così favella:
199
– Farà meco pugnando oggi costei d'altra guerra miglior, campo il mio letto. Non speri alcun dela beltà di lei finch'avrò questa in man, prender diletto. Chiunque opporsi ardisce ai detti miei, venga e 'l vieti, se può, ch'io qui l'aspetto. Gli ozi più dolci son dopo i sudori, pria convien trattar l'armi e poi gli amori. –
200
Bardo il toscano allora oltre s'avanza, sdegnoso che costui tanto presuma e dice: – Nel parlar tanta arroganza là dov'è chi più val non si costuma. Se sostegno non hai d'altra speranza, giacerai scompagnato in fredda piuma. Il guadagno non va senza il periglio e 'l ver piacer dela fatica è figlio. –
201
– E tu chi sei? (replica l'altro) e donde il primo a cercar brighe esci fra tanti? Spesso quand'altri per timor s'asconde, chi di tutti è il peggior si tragge avanti. – – Son chi mi sono, e qual mi sia (risponde) son più di te, che si ti stimi e vanti e di qualunque alpar di te s'apprezza degno di posseder quella bellezza. –
202
Avea per cominciar deposto il manto, ma trovò che già preso era l'arringo e che l'avea già prevenuto intanto e venia contr'Esperio, Ugo il fiammingo; per attenderne il fin si trae da canto e vede questo e quel cauto e guardingo moversi a tempo e 'n vaga pugna e nova vicendevoli industrie usar a prova.
203
Or s'inchinano al suol curvati e bassi, or in men d'un balen levansi in alto, or fanno innanzi, or tranno indietro i passi, or son rapidi al giro, or destri al salto. Trattiensi alquanto il belga e 'n guardia stassi, alfin s'arrischia a più vicino assalto. Fa pur l'istesso il baldanzoso ibero, ma volge in simil atto altro pensiero.
204
Di stringersi con lui si riconsiglia e non pone al'effetto altra dimora. Dela spada nemica il debil piglia siché la sforza a scaricar di fora. Poi con la sua l'avinchia e l'attortiglia, vista al disegno suo commoda l'ora. In qual modo io non so, so che lontano gliela fa svelta alfin balzar di mano.
205
Ride ed inerme il lascia ed indifeso l'altier che 'n suo valor troppo si fida ed a schernir più che a schermire inteso volgesi a Bardo e lo minaccia e sgrida. Colui corre al'appello e, d'ira acceso, vassene ad affrontar chi lo disfida, loqual contro gli vien per fargli il tratto che dianzi al'altro astutamente ha fatto.
206
Ma quel d'Etruria che 'l suo gioco intende, svia con la palma il ferro e lo raffrena, con la manca la destra indi gli prende e la guardia gli afferra e gl'incatena e mentre in guisa il tien che non l'offende passandogli col piè dietro la schiena, di piatto ancor, quasi fanciul con verga, al superbo spagnuol batte le terga.
207
Non riposa egli già poich'ha del Tago l'altero idalgo umiliato e vinto, ché di nova fatica è ben presago, visto Olbrando l'insubre a pugna accinto, che 'l capo ha di gran piume ornato e vago e di banda purpurea il petto cinto. Largo fa questi il gioco e con bravura leggiadra da veder più che secura.
208
Con ampie rote intorno a lui passeggia e 'l taglio adopra a dritto ed a traverso. Senza intervallo alcun sempre colpeggia e tien nel colpeggiar modo diverso. L'altro sta ben coverto e temporeggia col ferro al ferro di lontan converso. Alfin, quando a misura esser s'accorge, il tempo coglie e 'ncontr'a lui si sporge.
209
Saggio è chi coglie a tempo il tempo lieve, che lieve più che stral vola e che vento ed è picciolo instante, attimo breve e quasi indivisibile momento. Ma se 'n ogni altro affare esser non deve altri a pigliarlo neghittoso e lento, più nella scherma è necessario assai, ché se 'l lasci fuggir, non torna mai.
210
Tosto ch'a senno suo gli apre la porta colui che di ferir l'aure si vanta, più non indugia il tosco e non sopporta ma la stoccata subito gli pianta; e con impeto tal la punta porta lancia ver lui con furia tanta, ch'a cader quasi indietro ei l'ha costretto e la spada gli rompe in mezzo al petto.
211
Applaudon tutti allor, ma quando Bardo già nel pugno la palma aver si stima, di lui si duol lo schermidor lombardo e ceder non gli vuol la spoglia opima, anzi perfido il chiama ed infingardo, con dir che rotto il brando avea già prima nel'assalto d'Esperio e si querela ch'egli per fraude il vinse e per cautela.
212
La fanciulla per man Bardo tenendo vuol pur che come sua, gli si conceda. L'altro per l'altra ancor la vien traendo, ciascun brama per sé la nobil preda. Ma le due dee gli acquetano, imponendo ch'ancor da capo a tenzonar si rieda ed acciocché 'l giudicio alfin non erri, fan visitar con diligenza i ferri.
213
Per mostrar meglio il ver, la pugna accetta il guerrier d'Arno, ancorché d'ira avampi, ed ecco il ferro allor con tanta fretta torna il bravo a rotar ch'eccede i lampi. Ma già del'altro il ciel fa la vendetta e 'l caso vuol che l'aversario inciampi, ch'un non so che gli s'attraversa al passo e 'l piè gli manca e sdrucciola in un sasso.
214
Con la chiave del piè guasta e scommessa risorge Olbrando dale molli arene, dolente sì che 'n mezzo al'ira istessa al nobil vincitor pietà ne viene, loqual cortesemente a lui s'appressa, a levarsi l'aita e lo sostiene ed obliando le discordie e l'onte gli forbisce le vesti e 'l bacia in fronte.
215
La giovane tra lor già litigata restò pur finalmente in suo potere, e l'altro, che pur dianzi avea stracciata la traversa vermiglia in su 'l cadere, un'altra n'ebbe, intorno intorno orlata di merletti di perle a tre filiere ed avea di grottesche e di fogliami, lavor di nobil ago, ampi riccami.
216
– Più che propria virtù destin secondo diè questa palma (ei disse) al mio rivale. Colei che n'erge in alto e spinge al fondo, dona spesso gli onori a chi men vale. – E l'altro allor: – Più dee pregiarsi al mondo favor divin d'ogni valor mortale. Se le stelle mi fer sì fortunato, dunque il ciel m'ama e ne ringrazio il fato. –
217
Vener qui s'interpose e sciolse il nodo con un dolce sorriso ala favella: – Vincasi pur in qualsivoglia modo, che la vittoria alfin fu sempre bella. – Tronco il filo ala lite e fisso il chiodo al decreto immortal, la dea più bella fè dopo questi i duo primier campioni contenti anco restar con altri doni.
218
Ponsi poscia a mirar Marzio e Guerrino, l'un de' quali è guascon, l'altro normanno, l'un e l'altro iracondo e repentino che tolerar, che destreggiar non sanno. Esce pria l'aquitano, indi vicino fattosi al'altro, ove le smarre stanno, perché vinto d'orgoglio esser non soffre, de' duo stili d'acciar la scelta gli offre.
219
Eran le smarre ben temprate e dure, quantunque oltre il dever lunghe, sottili. Guerrin sorride e dice: – Altre armature si convengon che queste a cor virili. Parmi un scherzar da pargoletti o pure un pugnar da guerrier codardi e vili. A dirti il ver, meglio amerei provarmi con la spada di fil che con quest'armi. –
220
– A chi pace non vuol, guerra non manca (Marzio risponde) in campo ecco mi vedi. Voglimi o con la nera o con la bianca, pronto sempre m'avrai qual più mi chiedi. – Non vuol Ciprigna che la coppia franca, che già nova disfida ha messa in piedi, la festa sua sì dilettosa e lieta, macchi di sangue e gliel contende e vieta.
221
Grida Guerrino: – Almen fa che sien tolti dale punte de' ferri i duo bottoni, né sien da' colpi eccettuati i volti; mantenga poi ciascun le sue ragioni. – – Non creder ch'io miglior novella ascolti, né men brami di te quel che proponi – (replica Marzio) e freme iratamente, onde Vener, costretta, alfin consente.
222
Non molto in lungo andò tra loro il gioco, né l'un del'altro ebbe la man men presta. Si serrar tosto insieme i cor di foco e la mira pigliaro ambo ala testa. Onde l'assalto lor, che durò poco, si terminò con azzion funesta e passato e squarciato al'improviso l'un con l'occhio restò, l'altro col viso.
223
Poich'ha la dea, non senza doglia acerba, visto il tragico fin dela battaglia, in risanargli con qualch'util'erba prega Apollo a mostrar quant'egli vaglia. Poi dona a Marzio d'agata superba, da portar nel cappel, ricca medaglia ed a Guerrin d'una fattura estrana, per ornarsene il petto, aurea collana.
224
Sorge Altamondo, un aleman membruto, di superbia e di vin fumante e caldo e non attende che col suono arguto l'inviti in campo a duellar l'araldo. Cariclio, il greco, è contro lui venuto, d'ossa minor, ma ben robusto e saldo, uom di corpo, di piè, di mano attivo, di spirto pronto e di coraggio vivo.
225
Vassene il greco senza far parole per dargli il primo allor allor di piglio; aspettar che si scaldi egli non vole, né stima il dargli tempo util consiglio, ché la ruina di sì greve mole teme e 'l restarne oppresso è gran periglio. Onde nel ripararsi e nel colpire del'industria si serve e del'ardire.
226
Nele sue guardie ha di svantaggio il grande e d'uopo è ben ch'anch'egli il senno adopre, ch'ad ogni moto che le braccia spande, del'ampio corpo una gran parte scopre. Mal picciolo davante e dale bande facilmente si serra e si ricopre e può meglio cangiar sito e postura, non avendo a guardar tanta statura.
227
Mentre i colpi il germano adombra e finge con molti tempi e 'l tempo indarno spende, l'ultima parte del suo forte ei spinge siché nel mezzo il debile gli prende; gli guadagna la spada, indi si stringe seco ed addosso gli si scaglia e stende, né potendol ferir di piede fermo con fugace trapasso usa altro schermo.
228
Su per la spada, che Cariclio ha stesa, quegli allor trae di punta inver la faccia; ma questi anch'ei di punta a fargli offesa sotto il braccio suo destro il ferro caccia, e per non s'arrischiar seco ala presa, che sa ch'ha maggior forze e miglior braccia, senz'altro indugio in un medesmo istante lo ferisce nel fianco e passa avante.
229
Per dargli in testa, con un tratto accorto di riverso al cavar tira Altamondo; ma l'altro allor, che si ritrova al corto, mentre la spada si rivolge in tondo, subito che del ferro il giro ha scorto su 'l primo quarto il batte col secondo, la misura gli rompe e con tre passi, cautamente veloce, indietro fassi.
230
E perché vede che il nemico a molta possanza accoppia ancor scaltrito ingegno e se sotto gli va sol una volta non avrà quella furia alcun ritegno, fa, con la mente in sé tutta raccolta, ricorrendo al'astuzie, altro disegno ed usa ogni arte accioché vinta sia dala sagacità la gagliardia.
231
Torna e di novo ancor gli s'avicina, fingendo di tentar nove passate, poscia, con gran prestezza, il capo inchina tra le cosce di lui che l'ha sbarrate e in aria con altissima ruina dopo 'l tergo sel gitta a gambe alzate, siché dele gran membra il vasto peso riman, quant'egli è lungo, a terra steso.
232
Venere una cintura allor gli dona ch'ha di sottil riccamo i guernimenti e son d'oro le brocche, ond'ala zona s'affibbian col tirante i perpendenti. E 'l tedesco, ch'al suol con la persona brutta di polve, sparge alti lamenti, guadagna anch'ei, benché turbato e tristo, contro l'ebrezza un indico ametisto.
233
Ma già Cencio e Camillo il vulgo aspetta, ogni voce nel circo omai gli chiama. Tanta è l'opinion di lor concetta, che 'l popol tutto il paragon ne brama. Coppia questa di mastri era perfetta, emuli d'alta stima e di gran fama, ch'ebber per mille palme infra i migliori nele scole latine i primi onori.
234
Nacquero in riva al Tebro, ambo romani, ma da' nativi lor patri soggiorni per desio di veder paesi estrani, capitati eran qui di pochi giorni. Già di spada e pugnale arman le mani, d'abito lieve e rassettato adorni e succinta hanno a studio in su 'l farsetto spoglia di bianco lino intorno al petto.
235
Ed accioché de' colpi il segno resti nela candida tela e vi s'imprima, dal'un canto e dal'altro e quegli e questi tinti han di nero i ferri insu la cima. Non sono ad affrettarsi ancor sì presti e non si stringon subito ala prima, ma fanno, intenti ad ogni moto e cenno, moderator del'ardimento il senno.
236
Tenta ciascun con ingegnose prove farsi al proprio vantaggio adito e strada. Concorde al corpo il piè, concorde move l'occhio ala mano ed ala man la spada. Or minaccia in un loco e fa ch'altrove inaspettata la percossa cada, or, risoluto l'un l'altro incontrando, sottentra insieme e si sottragge al brando.
237
In ambo la ragion s'agguaglia al'ira, l'un e l'altro è delpari agile e forte. Quegli talor accenna e talor tira colpi furtivi con insidie accorte; questi girando al ferro ostil che gira, oppon guardie sagaci, astute porte. Se l'un con leggiadria chiama fingendo, l'altro con maestria para ferendo.
238
Camillo, ove il passaggio aperto vede, spinge la spada per entrar veloce: – Ripara or questa – dice, e batte e fiede col piè la terra e l'aria con la voce. Ma Cencio con la sua non gliel concede, l'urta in sul forte e la ribatte in croce, sovra l'elsa la ferma e dal'impaccio ritrae subito poi libero il braccio.
239
In un tempo medesmo il ferro abbassa dritto al costato inver la manca parte e mentre impetuoso andar si lassa, grida: – Così s'inganna arte con arte. – L'altro il periglio del furor che passa schiva col fianco e traggesi in disparte; ed ambo i ferri, mentr'un poggia un cala, scorrono invan sul tergo e sotto l'ala.
240
Non molto stan, ch'essendo entrambo in punto di tornar ale prese ed ale strette, tiran di punta in un medesmo punto sì ratti che del ciel sembran saette; e 'n quella parte ove l'un coglie apunto, l'altro né più né men la spada mette. A colpir questo e quel va su le cosce, siché vantaggio in lor non si conosce.
241
La rattacca Camillo e si presenta col piè destro davante ardito e franco e 'n passo natural vi si sostenta di profilo col busto e mostra il fianco e con la spada, che per dritto aventa, stende il braccio migliore ed alza il manco. Ripara un col pugnal la testa in alto e l'altro il corpo dal nemico assalto.
242
Cencio incontro gli va né si scompone, ma col sinistro piede oltre s'avanza; nel dritto del diametro si pone, sich'al circol pervien dela distanza e dela manca spalla il punto oppone verso la linea ostil, poi fa mutanza e dal confin che dianzi s'ha prescritto, di moto traversal move il piè dritto.
243
Esce dal primo circolo e va ratto nel secondo de' quattro a cangiar posto e rimosso quel punto, annulla a un tratto dela linea nemica il segno opposto, e con moto minor di quelch'ha fatto colui, che di ferirlo era disposto, e deltutto contrario al'altrui moto, fa che, se vuol ferir, ferisca a voto.
244
Quegli allor piede a piede insieme aggiunta, s'apre in passo di forza e viengli addosso e la stoccata seguita e la punta porta a quel segno pur ch'è già rimosso e 'n lui, ma così scarso, il ferro appunta che tocco si può dir più che percosso. Il colpo è sì leggier, noce sì poco, che riman dubbio a chi rimira il gioco.
245
Ma l'altro a un tempo dala parte aversa contraposto d'obliquo ala ferita, la spalla destra, incontr'a sé conversa, gli ha di ferma imbroccata apien colpita e col pugnale intanto gli attraversa la spada ch'al tornar resta impedita; poi si ritira e con la sua distesa ponsi e col corpo in scorcio ala difesa.
246
Qui fè cenno agli araldi e non permise che l'ostinata pugna oltre seguisse e la coppia magnanima divise la nemica degli odi e dele risse; e fu pari la gloria e dele decise che dipar la mercè si compartisse; e da Ciprigna in premio e da Bellona folgorina ebbe l'un, l'altro bisciona.
247
Erano queste due famose spade, Enea già l'una e l'altra usò Camilla. Ambe di rara e singolar bontade e quella e questa svincola e sfavilla. Sì dolce è il taglio e così netto rade, ch'altri prima che 'l senta, il sangue stilla. Hanno ricche guaine e le lor daghe con bei manichi d'or pompose e vaghe.
248
Intanto il sol s'inchina e fa passaggio d'Esperia a visitar l'estremo lito e stanco peregrin del gran viaggio, avendo il minor circolo fornito; carta è il ciel, l'ombra inchiostro e penna il raggio, onde cancella il dì ch'è già compito e 'l fin del lungo corso a lettre vive d'oro celeste in occidente scrive.
249
Sparito il sole, in apparir le stelle voto tutto di genti il campo resta. Chi sotto le frondose e verdi ombrelle vassene ad alloggiar nela foresta, chi del palagio in queste stanze e 'n quelle e chi de' borghi in quella casa e 'n questa; altri giace in campagna e 'l giorno attende tra pergolati e padiglioni e tende.
250
Ma già traea del Gange i biondi crini lasciando Apollo i suoi dorati alberghi e ratto fuor degl'indici confini ai volanti corsier sferzava i terghi, per venirsi a specchiar ne' ferri fini degli elmi tersi e de' lucenti usberghi, onde sembrava al mattutino lampo tutto di soli seminato il campo,
251
quando l'usata tromba ecco s'ascolta ch'al gran bagordo appella i cavalieri. Già s'è la turba al nuovo suon raccolta, già si veggion passar paggi e scudieri e trar cavalli a mano e gir in volta con livree, con insegne e con cimieri e portar quinci e quindi armi ed antenne, bandiere e bande e pennoncelli e penne.
252
Mentre che del paese e di ventura molta cavalleria concorre al gioco, siché dela larghissima pianura son già pieni i cantoni a poco a poco, dela quintana esperti fabri han cura e di piantarla in oportuno loco; e proprio insu la sbarra appo la lizza nel mezzo dela tela ella si drizza.
253
Sta coverto di ferro un uom di legno, con lo scudo imbracciato e l'elmo chiuso, ch'esposto ai colpi altrui, bersaglio e segno termina il busto in un volubil fuso e s'affige ala base e gli è sostegno forato ceppo e ben fondato ingiuso, sovra cui, quando avien ch'altri il percota, agevolmente si raggira e rota.
254
Tre catene ha la destra e quindi avinto di tre globi di piombo il peso pende, siché qualora il manco braccio è spinto, l'altro con esse si rivolge e stende, pur come voglia, ale vendette accinto, castigar chi fallisce e chi l'offende; né sì cauto esser può, né gir sì sciolto, che sul tergo il guerrier non ne sia colto.
255
Un pilier di diaspro in terra fitto su la porta al'entrar delo steccato in gran lamina d'or regge uno scritto a note di rubin tutto vergato: qui dela giostra il generale editto che dianzi a suon di trombe è publicato, di quanto in essa adoperar conviene le leggi per capitoli contiene.
256
Bella è la vista a meraviglia e lieta, varia la gente e l'abito diverso. Chi scopre nel vestir gioia secreta, chi tacendo si duol d'amor perverso. Chi cifra ha d'or su l'armi e chi di seta, altri in prosa alcun breve ed altri in verso. Ciascuno o nel colore o nel'impresa al'amata bellezza il cor palesa.
257
Sidonio in campo è il primo a comparire, Sidonio dico, il genero d'Argene, l'accorto amante il cui felice ardire meritò d'ottener l'amato bene. Ma mentre tutto intento a ben ferire già con la lancia in punto oltre ne viene, dala sua donna, ch'è sul palco assisa, con altr'armi è ferito e d'altra guisa.
258
Quarteggiate d'argento armi azzurrine son le divise sue pompose e belle, di zaffir tempestate e di turchine, fatte a sembianza d'onde e di procelle, tra cui consparse son d'acque marine e di brilli cilestri alquante stelle, che fanno al sol, sicom'ai lampi il flutto, balenar, tremolar l'arnese tutto.
259
La lorica è d'argento, adorna e ricca dele più belle pietre di levante. Con fibbie d'or si serra e si conficca con chiodetti pur d'oro e di diamante. Bandato vien d'una cerulea stricca, con bei fiocchi di seta ingiù cascante; e del color medesmo al destro braccio tien di biondi capei trecciato un laccio.
260
Perché Dorisbe azzurra usa la veste, veste anch'egli l'azzurro e l'usa e l'ama e l'auree fila in quel cordon conteste son dele chiome pur dela sua dama. Con piume d'or quel fanciullin celeste, quel nudo arcier ch'Amore il mondo chiama, sovra la rota di Fortuna assiso porta nel'elmo e nelo scudo inciso.
261
Esce per sorte a tutti gli altri avanti e 'l primo loco ad occupar si move. Tre volte correr sol lice a' giostranti per legge dela dea figlia di Giove. Soriano ha un corsier, che i primi vanti riportò dela giostra in cento prove e già chiede co' ringhi, accinto al corso, al suo signor la libertà del morso.
262
è baio e di fattezze assai ben fatte, grasso petto, ampia groppa e largo fianco. Spesso col piè sonoro il terren batte, ora col destro il zappa, ora col manco. Quasi notturno ciel solco di latte, gli divide la fronte un fregio bianco, brune ha gambe e ginocchia e brune chiome, duo piè balzani e Balzanello ha nome.
263
Di pace impaziente e di dimora, sente l'odor dela vicina guerra. Tende l'orecchie e sbuffa adora adora, le nari ador ador gonfia e disserra, tutto spumoso il ricco fren divora, drizza il collo, erge il crin, gratta la terra. E tosto che tre volte ode la tromba par sasso che volando esca di fromba.
264
Gli stringe i fianchi e l'una e l'altra costa con gli stimuli d'or punge e ripunge, e di là dove apunto il colpo apposta va per dritto a ferir non molto lunge. Il buon destrier, ch'al termine s'accosta, para in tre salti e, quando alfin vi giunge, al mormorio del'ottenuta laude con la test'alta e col nitrito applaude.
265
Tra 'l segno inferior ch'è nela gola e 'l secondo di mezzo il tronco ei spezza; e benché 'l pregio è d'una botta sola, Vener, che molto il suo fedele apprezza, col dono avantaggiato il riconsola d'un fornimento pien d'alta ricchezza, guernigion da destrier superba e bella con testiera e groppiera e fascia e sella.
266
A lui succede un saracin di Tarso che la corazza e la divisa ha nera e di serpi d'argento il campo sparso dela cotta che l'arma ala leggiera. Con l'asta in pugno è nel'agon comparso, che pur di negro in cima ha la bandiera; sul sinistro galon curva la storta e 'l turcasso con l'arco al tergo porta.
267
Passato un cor d'acuto strale e crudo ha per cimier la cappellina bruna. Di gran foglie d'acciar fasciato scudo, scudo a sembianza di non piena luna, copre senza bracciale il braccio ignudo, né color v'ha né v'ha pittura alcuna fuor due righe di bianco e dice: – O morte, l'anima senza corpo, o miglior sorte. –
268
Avea per la bellissima Adamanta, figlia del re d'Arabia, il cor ferito. Era però dala vezzosa infanta ogni servigio suo poco gradito e, benché fusse in lui prodezza quanta illustrar possa altrui, languia schernito, perché mento avea raso, irsuto labro, viso pallido, brun, rugoso e scabro.
269
Tosto riconosciuto ala coverta del'armi fu com'uom famoso e chiaro. Veggendol poi con la baviera aperta, le turbe intorno un lieto grido alzaro: – Ecco Alabrun che 'n ogni colpo accerta, Alabrun dala lancia, il campion raro. Senza dubbio egli è desso. Avrà tra poco termin la festa e si vedrà bel gioco. –
270
Vien portato costui da un suo stornello rapido sì, che se 'n campagna il vedi formar volte e rivolte, agile augello, mobil paleo, volubil fiamma il credi. E se 'n fuga ne va spedito e snello, par le procelle apunto abbia ne' piedi. Vergato a bruno e pien d'alto ardimento, vola, non corre, e nome ha Passavento.
271
Sovente il crin solleva, erge la testa e picchia il suol con la ferrata zampa, calca nel corso l'erba e non la pesta, preme col piè l'arena e non la stampa; soffia borfando e 'n quella parte e 'n questa sempre si volge e d'alto incendio avampa; chiude, né trova al suo furor mai loco, sotto il cener del manto alma di foco.
272
Contan che del'arabica pendice, mentre pascea l'armento in riva al'acque pien di quella incostanza, imitatrice del mar vicino, insu gli scogli nacque. Nettun primier domollo, anzi si dice, che talor di montarlo ei si compiacque. Quel veloce il portava e vie più lenti ne venian dietro ad emularlo i venti.
273
Pungendo ei dunque a quel destrier la pancia, è sì rapace e violento il moto, ch'agio non ha d'arrestar pur la lancia, perde l'incontro e fa l'arringo ir voto. Onde, infiammato di rossor la guancia per error sì notabile e sì noto, ritorna a spron battuto e briglia sciolta a serrarlo nel corso un'altra volta.
274
Vana ancora è la botta ed è tra via dal soverchio furor dispersa e guasta, che pria che giunto ala sortice ei sia per sestessa in andar si rompe l'asta: – Ancor tu contro me, Fortuna ria, (disse) congiuri? Amor solo non basta? Venga il mio Farfallino! – e dai sergenti gli fu innanzi recato ai primi accenti.
275
Questo del'altro è men carnoso e grande, stretto di ventre e corto di giunture. è del color dell'uve e dele ghiande quando in piena stagion son ben mature. Biondi, quasi leone, i velli spande ed ha luci vermiglie e gambe oscure, membra svegliate ad ogni cenno e pronte, rabican nela coda e nela fronte.
276
La guernitura è candida e morella con bei puntali di lucente smalto, ma di lame acciarine arma la sella, ben ferme e forti ad ogni duro assalto. Selva di folte piume ombrosa e bella gl'imbosca il capo e si rincrespa in alto. Semedesmo ei vagheggia ed orgoglioso de' ricchi fregi suoi non ha riposo.
277
Vi salse il moro e, del'error commesso tutto stizzoso, un'altra lancia tolse e di meglio colpir fermo in sestesso, contro il facchin le redine gli sciolse; e 'nfin al pugno alfin la ruppe in esso e tra 'l visale e la nasella il colse; e senon che strisciò raschiando il segno, del primo pregio il colpo era ben degno.
278
Pur dala bella giudice, che i gesti stava a notar de' giostrator baroni per compartir conformi a quegli e questi gli onori al'opre, ale fatiche i doni, in pegno di conforto ai pensier mesti un paio riportò di ricchi sproni, che di fin or le fibbie e le girelle e d'aguzzi diamanti avean le stelle.
279
Floridauro e Rosano eran duo pegni d'una portata insieme al mondo nati e pargoletti ereditaro i regni de' Caspi alpestri e de' Rifei gelati. Ma poi per colpa di duo servi indegni, che già dal morto re furo essaltati, a tradigion del regio scettro privi n'andaro orfani un tempo e fuggitivi.
280
Cresciuti in forze e pervenuti agli anni mossero l'armi intrepidi guerrieri e vendicaro i ricevuti danni e racquistaro gli usurpati imperi. Or già vinti ed uccisi i duo tiranni, qua ne veniano i giovinetti alteri e del color del'erbe e dele foglie sparse di soli d'oro avean le spoglie.
281
L'oro forbito insu l'arnese verde in cotal guisa folgora e risplende, che la vista abbarbaglia e la disperde e 'l finto sol col vero sol contende e contendendo al paragon non perde ché, se raggi ne trae, lampi gli rende. Ambo egualmente di due belle imprese fanno al'elmo ornamento ed al pavese.
282
Nel'una è un sole a cui velar la luce tenta vil nube e ricoprir la faccia; – Ingrata al genitor che lo produce – dice il cartiglio che lo scudo abbraccia. Nel'altra il sol istesso anco riluce che 'l malnato vapor distrugge e straccia; e dice il motto insu la targa al tergo: – Io che 'n alto la trassi, io la dispergo. –
283
Cavalca quei di placida andatura destrier gentil che nel'andar paleggia. Tranne il ciglio e 'l calcagno, in cui Natura sparse alquanto di brun, tutto biancheggia e 'l cigno intatto e la colomba pura nela canicie del bel pel pareggia. Sembra al'andar, sì vago è quel cavallo, sposa in passeggio o donzelletta in ballo.
284
Nacque di padre trace e madre armena ne' monti là dov'aquilone alberga. Nominossi Armellino e l'ampia schiena un profondo canal gli riga e verga. Rimorde il morso che con or l'affrena e si lascia con man palpar le terga. Sbavan le labra e con lasciva sferza la lussuria del crin sul collo scherza.
285
Picca quest'altro un barbaro veloce ch'egual quasi al pensiero il corso stende. Delo spron, dela verga e dela voce pria che senta il comando, il cenno intende. Fierezza vaga e leggiadria feroce umile al morso alteramente il rende. Steril per arte e meglio assai per questo, fatto inabil marito, abile al resto.
286
Chiamasi il Turco e dela Furia lieve diresti e che del'Impeto sia figlio, lungo e sottil la gamba, asciutto e breve il capo, alto la fronte, altero il ciglio. Di tutto il corpo ch'è di bianca neve l'estremo dela coda ha sol vermiglio, picchiato a schizzi e di macchiette fosche puntellato il mantel come di mosche.
287
Corsero alternamente e pria Rosano ben due volte colpì nela gorgiera. Corse la terza poi, ma corse invano, che la sbarra toccò nela carriera. Non fè meglio di lui l'altro germano, che due volte tornò con l'asta intera; fallò duo colpi ed ala terza botta gli fè danno maggior l'averla rotta.
288
Mentre che 'n cento pezzi ala goletta la ruppe con la man possente e franca, una scaglia volò come saetta e si confisse al corridor nel'anca; ond'a contaminar la neve schietta di quella spoglia immacolata e bianca, videsi tosto un vermiglietto rivo per la piaga spicciar di sangue vivo.
289
Di quel caso pietosa e di quel sangue Venere il tutto ad osservare intenta, al primo un bel cimiero in foggia d'angue fabricato di gemme in don presenta. Al'altro, in vece del destriero essangue, di pel simile al'ambra una giumenta che già di poco ingravidata il seno di parto ancor non ben maturo ha pieno,
290
specchio e corona dele frigie stalle, figlia di bella e generosa madre e dele più magnanime cavalle scelta per la miglior fra cento squadre. Nel petto, nele groppe e nele spalle pomellata è di macchie assai leggiadre. Dala vivacità che in lei sfavilla il nome tolse e s'appellò Favilla.
291
Segue Montauro, uom ben corputo e grosso, da sei scudieri accompagnato e cinto con l'istessa livrea ch'ei porta addosso stellata d'oro in un rossor mal tinto. Lo scudo altier, che similmente è rosso, tien del gran Giove il fulmine dipinto. Di corona real, tutta contesta di gemme e d'or, cerchiato ha l'elmo in testa,
292
e nela sommità del morione par fischi e spiri fuor fiamma vivace e spiega l'ali ed apre un fier dragone del'ampia gola il baratro vorace. Saginato e rossigno ha un suo ronzone ch'ala grandezza sua ben si conface. Nacque in India sul Gange ed è cornuto e 'l corno è lungo e più che lancia acuto.
293
Pende un fiocco di perle al corno in punta, di perle dele noci assai maggiori. Porpora con argento inun congiunta d'un sovrariccio d'or broccata a fiori che, del'estremo margine trapunta di bei fregi ha la fascia e di lavori, tuttutto il superbissimo Alicorno tien dal capo al tallon bardato intorno.
294
Gonfio di gloria e di superbia pazza in sestesso il guerrier si pavoneggia e quantunque sia solo in sì gran piazza, tutta ei solo l'occupa e signoreggia. E benché forte e di feroce razza, l'animal, che cavalca e che maneggia, sotto il peso che porta insu la schiena, ficca un braccio le braccia entro l'arena.
295
è re di Rodo. Il regno a cui comanda con Cipro insu i confini è sempre in guerra. Questi in atto sprezzante allor da banda per giostrar su le mosse un tronco afferra. Ma l'araldo ne vien che gli dimanda chi siasi e di qual gente e di qual terra. Risponde il fier, colmo d'orgoglio e sdegno: – Chi 'l sol non vede è dela luce indegno.
296
Sole è il mio nome e non è loco alcuno dove chiaro non sia, né più dirotti ch'esser ben devria qui noto a ciascuno il temuto flagel de' Cipriotti. Ciò basti e basti sol ch'io mi son uno uso a far molti fatti e pochi motti. – Non bada a far, ciò detto, altro discorso, la lancia impugna e s'apparecchia al corso.
297
L'orecchie apena il primo suon gli fiede del tortuoso incitator metallo, che dispicca un gran trotto e ne succede l'effetto mal, bench'abbia scusa il fallo. Sinistrando il destrier dal destro piede, cadder tutti in un fascio uomo e cavallo. Quel suo dal corno è poderoso e grave e del mestier la pratica non have.
298
Levasi infretta dal'immonda sabbia tra sé fremendo irato e furibondo; e perché, quando colpa egli non v'abbia, chi manca al primo arringo esce al secondo, rimonta arso di scorno, ebro di rabbia in un altro corsier membruto e tondo, di non minor possanza e gagliardia, che la dea degli amori in don gl'invia.
299
D'un'alfana di Scizia e d'un centauro là nel freddo Pangeo fu generato. Il suo pelame è del color del'auro, il suo nome per vezzo è lo Sfacciato, perché sol nela faccia, il resto è sauro, d'una gran pezza bianca ei va segnato. Di quattro gambe parimente è scalzo e camina saltando a balzo a balzo.
300
Poco miglior del primo il second'atto seguì, perché dal segno ancor lontano, lo sconcerto e 'l disordin fu sì fatto che si lasciò la lancia uscir di mano. Pur la ripiglia e studia il terzo tratto per far buon corso e non ferire invano, né dando loco altrui d'entrar in campo, con l'incontro emendar cerca l'inciampo.
301
Lo scudo del facchin nel mezzo imbrocca che la scorza ha d'acciar lubrica e liscia, onde vien l'asta ingiù tosto che 'l tocca, di sghembo a sdrucciolar con lunga striscia. Girasi il torno e la catena scocca, che s'ode allor fischiar com'una biscia e nel passar con le piombate palle, fa lunge al cavalier sonar le spalle.
302
Qual robusto castagno o pino alpino del celeste centauro ai primi orgogli, s'avien che del bel verde ostro o garbino, la folta chioma e le gran braccia spogli o ch'a busse ne scota il contadino gl'irsuti ricci e i noderosi scogli, fulmina al piano i frutti suoi sonori, dele mense brumali ultimi onori,
303
tal quella mobil machina che presta in semedesma si raggira e libra, facendo allor fioccar l'aspra tempesta il braccio move e le catene vibra e 'n tal guisa al guerrier la schiena pesta ch'ogni nervo gli dole ed ogni fibra. Batte le palme il vulgo e fischia e grida, non è vecchio o fanciul che non ne rida.
304
Tornaro i primi a replicar l'antenne: tal n'ebbe onor che fu biasmato avante; e spesso il piombo incatenato venne a scaricar la grandine pesante. Così la piazza un pezzo si trattenne con gran piacer del popol circostante; e ciascun tanto o quanto, il vile e 'l prode n'ebbe chi più, chi meno, o premio o lode.
305
Vede girando poi Vener le ciglia a coppia a coppia entrar nela barriera di diciotto guerrier nobil quadriglia, ai sembianti ed agli abiti straniera. L'armatura ciascun porta vermiglia, salvo colui che capo è dela schiera; e con tal grazia e maestà cavalca che 'l passo volentier gli apre la calca,
306
onde ala saggia dea dela civetta stupida in atto si rivolge e parla: – Che squadra è quella che fra l'altre eletta trae tutti gli occhi intenti a vagheggiarla e vien con sì bell'ordine ristretta, ch'io per me non saprei, senon lodarla? – Così dice la dea nata dal'onde e la vergin del ciel così risponde:
307
– A la tua Teti è ben ragion che porti questo di fortunato obligo eterno, perché mentre pur dianzi i guerrier forti prendendo in picciol legno i flutti a scherno trascorreano i sentier torbidi e torti del'elemento a lei dato in governo, per onorar la tua famosa festa l'acque turbò con subita tempesta;
308
onde il drappello aventurier, ch'errante altre imprese cercando in Asia giva, stanco dal mareggiar, fermò le piante in quest'amena e dilettosa riva. Or qui finché s'acqueti il mar sonante vien per provarsi ala tenzon festiva, peregrin di costume e d'idioma e v'è dentro raccolto il fior di Roma.
309
Chiamala ognun la compagnia del foco perché qual foco dissipa e consuma. Non trova al suo valor riparo o loco, arde pertutto e tutto il mondo alluma. Ciascun destriero in vera pugna o in gioco di tre penne sanguigne il capo impiuma. Gli elmi e l'armi hanno eguali e questi e quelle han per fregi e cimier fiamme e fiammelle.
310
Tutto delpari ala medesma guisa l'inclito stuol di porpora è guernito, senon quanto diversa è la divisa di cui ciascun lo scudo ha colorito. Solo colui, meco lo sguardo affisa a quel primier ch'io ti dimostro a dito, come di tutti lor suprema scorta, differente dagli altri il vestir porta.
311
Quegli è Michel che, quasi eccelso duce vien dela truppa e condottier sovrano, pompa, gloria, delizia, unica luce de' sacri colli e del'onor romano. Scelto fu dagli eroi ch'egli conduce di consenso commun per capitano. Ecco la sbarra d'ostro, ecco l'altero leon che s'erge e tien fra l'unghie il pero.
312
Colui ch'è seco insu la fila prima, è il gran Ranuccio, intrepido campione, tra i più chiari guerrier di somma stima vibri l'asta o la spada insu l'arcione; onde, poggiato dela gloria in cima, mille l'attendon già palme e corone. Su la rotella d'or mira dipinti con le foglie cerulee i sei giacinti.
313
Pietro il seconda, alta speranza e pregio d'Italia tutta e l'onorato stemma in celeste color con ricco fregio d'un aureo rastro e di sei stelle ingemma. Marcantonio è con lui, giovane egregio, guarda colà misterioso emblemma: convien pur che soggiaccia, il senso esprime, l'infernal drago al'aquila sublime.
314
L'altro che segue e la colonna mostra bianca insu 'l minio ed ha sì fier l'aspetto, Sciarra s'appella, e 'n guerra mai né in giostra non fu più ardito cor, più franco petto. Virginio è quei che 'l puro argento inostra di tre traverse di rubino schietto, anima illustre e d'adornar ben degna del tuo bel fior la gloriosa insegna.
315
Vedi un che degli augei l'alta reina tarsiata ha di scacchi orati e neri, lucido sol dela virtù latina; Camillo ha nome, ascritto infra i primieri. Sabellio seco apar apar camina, specchio immortal di duci e di guerrieri; conosco ben l'impronta sua famosa ch'è la colomba e tra i leon la rosa.
316
Eccone un'altra coppia; al destro fianco veggio un baron di generose prove, Ruggier, che sovra 'l fondo azzurro e bianco inquartato l'augel porta di Giove. Veggio poi Sforza che gli vien dal manco, né con minor baldanza il destrier move; figura in su 'l turchin l'orbe di smalto aureo leon con aureo pomo in alto.
317
Ve' Gismondo ed Emilio. O stirpe altera, tra le fortune invitta e tra' perigli! Quei sovr'alta colonna aquila nera spiega che spiega l'ali, apre gli artigli, dove stretta in catene è quella fera che riforma lambendo i rozzi figli. Questi, ch'è de' più celebri e più conti, un cornio ha nel brocchier sovra tre monti.
318
Orazio è quegli là che nel vermiglio tre lune d'oro ancor crescenti ha sparte. Signor d'armi possente e di consiglio, del guerreggiar, del comandar sa l'arte. D'una ninfa del Tebro è costui figlio onde figlio lo stima altri di Marte; ed è ben tal, ché Marte ei sembra apunto, Marte quando è però teco congiunto.
319
Mario a lato gli va. L'armi che cinge, fuor lo scudo ch'è rosso, ha tutte bianche. Duo leoni in quel rosso egli dipinge che quattro pani d'oro han tra le branche. Annibaldo la lancia aprova stringe e 'n sembianze ne vien feroci e franche. Il bruno scorpion scolpisce in oro, che vessillo fia poi del fiero moro.
320
Il buon Curzio procede a lui vicino, Scipio con Fabio alfin dietro s'accampa. L'un nel targone azzur sculto d'or fino tien l'animal magnanimo che rampa. L'altro il quartier dorato e purpurino di croce trionfal per mezzo stampa. L'ultimo ha lista d'or che per traverso scacchier divide innargentato e perso.
321
Ma non vedi un di lor ch'ha già l'antenna sovra la coscia e, benché grave e grossa, lieve giunco gli sembra ed agil penna, stiam pur dunque a mirar quant'egli possa. Già fattosi da capo, ecco ch'accenna dritto insu 'l filo entro l'agon la mossa. Ecco volar qual folgore leggiero la piuma che fiammeggia insu 'l cimiero. –
322
Intanto poiché furo i nomi scritti de' cavalier dala divisa ardente e d'osservare i promulgati editti giuraro e per mirar tacque la gente; correndo ad un ad un gli emuli invitti, tutti si segnalar notabilmente; alcun non fu che non n'uscisse apieno o con vittoria o con applauso almeno.
323
Restava sol colui che dela bella brigata quasi il principal venia quando con foggia insolita e novella, il serraglio passò dela bastia; né so s'alcun sì ben disposto in sella l'agguagliasse giamai di leggiadria. Dopo tutti, costui venne solingo signorilmente a posseder l'arringo.
324
Il più superbo augel su la celata trionfante nel'atto ha per cimiero, qualor gonfio di fasto apre e dilata dele conche di smalto il cerchio intero e dela piuma florida e gemmata spiegando gli orbi di sue pompe altero, la bella scena dela coda grande di cento specchi illuminata spande.
325
Di più color la sovravesta intesse che la spoglia non è di Flora o d'Iri, in cui le cime dele penne istesse son di smeraldi in vece e di zaffiri, sì ben da dotto artifice commesse che par che 'ntorno il fermamento ei giri. Par con tant'occhi un Argo e sembra armato un giardino fiorito, un ciel stellato.
326
Con l'abito ha il destrier qualch'agguaglianza, non so s'altro mai tal ne fu veduto. Bianco ha il mantello e 'n disusata usanza sparso di nere macchie il pel canuto; ma le macchie e le rote hanno sembianza di ciglia e d'occhi, ond'ei rassembra occhiuto. Cervier s'appella e par mentre passeggia l'orgoglioso pavon quando vaneggia.
327
Un fusto intier di frassino silvestro per far buon colpo a bella posta elegge. Prima sel reca in man dal fianco destro, poi tra via l'alza e 'nsu la destra il regge. Ma qual braccio poria forte e maestro piegarlo pur, non che ridurlo in schegge? Tre volte corre e 'l saracin percote, ma quel duro troncon romper non pote.
328
Ed ecco dopo lui vi comparisce altro stranier che 'l popol folto allarga. Nel suo volto e negli anni april fiorisce, par che raggi d'amor per tutto sparga. Per obliquo ha costui tre mezze strisce di lucid'or nella purpurea targa e su l'elmetto, ch'è di salda tempra, la fenice immortal quando s'insempra.
329
Non solo eterne in questa esprime l'opre del proprio singolar pregio e valore, ma dela donna sua la beltà scopre, ch'è del mio bel Sebeto unico onore. Di morato satì l'armi ricopre, color gentil che pur dinota amore, in foggia di mandiglia o di guarnacca che con bottoni di rubin s'attacca.
330
Io non so dir se quel superbo arnese di tanti fregi e sì pomposo adorno già dal nobil signor del bel paese, a cui fan l'Alpi ampia corona intorno, al gran monarca del valor francese donato già nel trionfal ritorno, fusse tal ch'agguagliar potesse in parte di questa spoglia o la ricchezza o l'arte.
331
Di genitrice ispana e padre moro regge un destrier ch'agli atti è foco e vento. La groppa, il capo e tutto il resto ha d'oro, fuor che 'l sinistro piè che sembra argento, e dela bardatura il bel lavoro pur d'oro è tutto e d'oro il guernimento, d'oro le staffe e d'oro il fren spumante e d'or porta calzate anco le piante.
332
Del cavalier che lo cavalca e doma è l'occhio destro e 'l fior dela sua stalla. Ei stesso il pasce e Francalancia il noma, perché dal dritto corso unqua non falla. Vedesi insuperbir sotto la soma, lieto del peso che sostiene in spalla, cavar spesso l'arena e l'or lucente del fren sonoro essercitar col dente.
333
Senza mutar cavallo o prender fiato questi l'uom finto in tre carriere assale e ben tre volte in lui del pin ferrato rompe fin ala resta il tronco frale; e nela terza ha più secondo il fato e fa colpo miglior con forza eguale: nela buffa gli dà presso la vista, si ché tre botte in una botta acquista.
334
Fuor dela lizza ei s'è ritratto apena, quand'ecco in giubba d'or contesta a maglie giostrator nuovo. Un corsier falbo affrena, bravo e di sommo ardir nele battaglie. Su la cresta del'elmo ha la sirena tutta squamosa di dorate scaglie. Quelche s'imbraccia dala parte manca con tre gran fasce l'incarnato imbianca.
335
Bel cavalcante in maestoso gesto con largo giro il chiuso pian circonda. Va poi nel mezzo e da quel lato e questo spinge il destrier ch'è quasi al vento fronda. Dolce di bocca ed ala mano è presto e di gran core e di gran lena abonda. Spirito ha nome e gli conviene invero perch'oltremodo è spiritoso e fiero.
336
Cordon di sottil seta il regge a freno, barbaro pettoral l'orna a traverso, che d'auree borchie è tempestato e pieno e di gran perle orientali asperso. Ala testa frontal, fermaglio al seno gli fan due bolle di smeraldo terso e per mezzo le coste, ove si stringe, serica zona e gioiellata il cinge.
337
Del più fin or ch'invia l'alpe arimaspa fabricata e contesta ha sella e frangia. Serra la coda, il pavimento raspa e le gemme del fren rumina e mangia. Con tanta maestria le braccia innaspa, con tal arte in andando il passo cangia, che ne' suoi vaghi atteggiamenti e moti par che 'n aria schermisca e 'n terra nuoti.
338
Poiché conosce che il guerrier risolve dar spettacolo grato al'altrui viste, non sai dir, così destro ei si rivolve, se vola in aria o se nel suol sussiste; né pur col vago piè segna la polve, né su la messe offenderia l'ariste. E quegli or lo sospinge, or lo ritira, or lo sospende, or com'un torno il gira.
339
A suon di tamburini e di trombette, lo cui strepito rauco il ciel assorda, tre volte e quattro intorno egli il rimette, ed al pronto ubbidir l'aiuto accorda, sempre applicando ai salti, ale corvette col dolce impero del'agevol corda, dela gamba, del piede e del tallone or la polpa, or la staffa ed or lo sprone.
340
Talor l'arresta, di saltar già lasso, e nel raccorlo imprime orma sovr'orma. Poi di novo il volteggia a salto e passo mutando a un punto e disciplina e norma e mentre va con repolon più basso terra terra serpendo, un cerchio forma. Chiunque il mira al variar stupisce di tanti e tali e giramenti e bisce.
341
Spesso gli fa, sicome cionco o zoppo, o questo o quello alzar dele due braccia e dandogli un leggier mezzo galoppo, sovra tre piedi or quinci or quindi il caccia. Fermo nel centro alfin, con un bel groppo di saltetti minuti alza la faccia e 'l fa davante al tribunal divino inginocchiar con reverente inchino.
342
Per non troppo stancarlo, ancorché tutto sia foco e tutto spirto e tutto nervo e perché sa ch'è per usanza instrutto più ch'al corso al maneggio, accenna al servo, ch'un n'ha più fresco e riposato addutto ma disfrenato, indocile e protervo. La coda, il crin, la gamba, il capo e 'l viso solo ha di nero, il rimanente è griso.
343
Del color del cilicio orna la spoglia semplice berrettino e non rotato, onde quand'uscir suol fuor dela soglia, è da ciascun l'Ipocrito chiamato. Par mansueto agnel pria che si scioglia, sembra una furia poi discatenato. Così ricopre a chi non sa suo stile la superbia del cor d'abito umile.
344
Il cavalier con la sinistra mano su 'l pomo del'arcion la briglia stende, spiccato un leggier salto indi dal piano, senza staffa toccar sovra v'ascende. Quel ritroso e restio s'impenna invano, invan s'arretra e calcitra e contende, che vié più del guinzaglio e del capestro può l'arte in lui del domator maestro.
345
Pria dala verga e dalo spron corretto, poi con vezzi addolcito e fatto molle, quantunque ancor pien d'ombra e di sospetto consentir gli convenne a quant'ei volle; e benché gisse ov'era a gir costretto con precipizio impetuoso e folle, pur gli fè nondimeno un verde salce romper con bell'incontro infin al calce.
346
Lascia il polledro e fa menar dal paggio altro destrier ch'è del color del topo, superbo sì, ma non così selvaggio e sempre avezzo ad investir lo scopo. Spirto ha discreto e moderato e saggio e senza segno alcun capo etiopo. Con occhio ardente e con orecchia aguzza fremita, anela ed annitrisce e ruzza.
347
Di portar per l'agon l'usato incarco ferve già d'un desir non mai satollo e vuolsi delo sprone essergli parco, basta accennargli ed allentargli il collo; va più ratto che strale uscito d'arco, senza dar ala mano un picciol crollo; la via trangugia e rapido e leggiero, ruba di man la briglia al cavaliero.
348
Dal correr trito e dal'andar soave Turbine è detto e i turbini trapassa. La destra allor di smisurata trave arma il guerriero estrano, indi l'abbassa e nel facchin, benché massiccia e grave, tutta, qual fragil vetro, ei la fracassa. Due volte corse e fè l'istesso effetto, l'una al guanciale e l'altra al bacinetto.
349
Rivolta allora a Citerea Bellona che tace e con stupor la mira in volto: – Che ti par di costui (seco ragiona) ch'ad ogni altro nel corso il pregio ha tolto? S'io miro, oltre il valor dela persona, la patria ond'egli uscì, non mi par molto, poich'a lei qualunqu'altra in tali affari convien che ceda e da lei sola impari.
350
è figlio di Partenope famosa, Sergio, garzon d'indomito ardimento, ch'ai monti di Venafro e di Venosa ed ai piani di Bari e di Tarento, gente vincendo invitta e valorosa imposto ha il giogo e non ha peli al mento. Se 'n guerra conquistò spoglie e trofei che farà nele giostre e ne' tornei?
351
L'esser qui ben montato, io ben confesso, ch'altrui val molto, e fora il dir menzogna che dal cavallo al cavalier ben spesso e l'onor non resulti e la vergogna. Ma ch'ardire e vigore abbia in sestesso e di core e di corpo anco bisogna, loqual irruginisce e resta ottuso quando non v'è la buona scola e l'uso.
352
Quest'uso dunque, ch'affinar si suole col travaglio e 'l sudor, fiorisce quivi, e non v'ha loco in quanto gira il sole dove meglio s'esserciti e coltivi. Ma costui, d'alta stirpe altera prole, è tal che raro fia ch'altri v'arrivi. Rimira l'armi sue colà ritratte, un ciel di sangue con tre vie di latte. –
353
Più volea dir, ma l'altra allor repente il parlar le 'nterruppe e disse: – Or guarda guarda que' tre, che fior d'ardita gente sembrano in vista e 'n armeggiar gagliarda, mira i sembianti nobili, pon mente come ciascun tra l'armi e splenda ed arda. Già chi sien ben m'avviso. – E l'inventrice del'arboscel pacifico le dice:
354
– Son, s'io mal non m'appongo e non vaneggio, di Savoia i tre lumi, i tre fratelli, tra quanti qui nel'assemblea ne veggio pregiati, illustri ed incliti donzelli. Tengon nel piano augusto il real seggio tra que' confin deliziosi e belli a cui con molli braccia e dure fronti fan riparo tre fiumi e cento monti.
355
Candida è di ciascun la sovrainsegna, candide son le vesti e le lamiere. Ma l'un nel'elmo e nel brocchier disegna il sagittario del'eterne sfere; l'altro in questo ed in quel figura e segna croce, terror del'africane schiere; del terzo adorna il capo, adorna il fianco, posto in campo vermiglio un destrier bianco.
356
Tutti costor che vedi ed altri molti son qui per arte pur giunti di Teti. Ecco l'un dopo l'altro inun raccolti cominciano a spezzar faggi ed abeti. Doresio è quei che già gli occhiali ha sciolti al destrier ch'ha nel cor spirti inquieti: buon per giostra, atto a caccia, uso in battaglia, altro il mondo non ha di miglior taglia.
357
Sottile il capo, il collo ha curvo ed ambe brevi l'orecchie e l'una e l'altra acuta, aspre di nervi e muscoli le gambe, largo petto, ampio sen, groppa polputa. Spesso sbrana le fauci e lecca e lambe il fren dorato, il labro arriccia e sputa, né fu di corso mai, né mai di core velocità, ferocità maggiore.
358
Bruna ha la spoglia in ogni parte integra più che spento carbone o pece schietta. Ma bell'aria, occhio vivo e vista allegra, morbida pelle e rilucente e netta. Biancheggiar gli fa sol la fronte negra in forma di cometa una rosetta. Altri Corvo il chiamò, ma Biancastella per tal cagione il suo signor l'appella.
359
Alpino è l'altro e del sicano armento vivacissimo allievo un corsier preme, ne' campi là del fertile Agrigento pasciuto e nato del più nobil seme. Veste mantel tutto leardo argento senon che fosche ha sol le parti estreme, e l'ampia groppa e le spianate spalle gli ara con lunga lista un nero calle.
360
Su la cervice dala destra parte gli pende il crine e spesso il quassa e scote. S'aggira e per l'arene intorno sparte tesse prigioni e labirinti e rote. Quant'è dal suol fin ala cinghia ad arte par che misuri e 'n van l'aure percote. Ringhia, né volentier soggiace al freno, scorre qual lampo e chiamasi Baleno.
361
Vedilo là che con la man robusta felicemente il gran lancione ha rotto. Ecco or Leucippo insu gli arcion s'aggiusta, non men nel'armi essercitato e dotto. Vedi che già per dritta linea angusta sen va broccando il corridor ch'ha sotto. Il produsse Granata e col pennello nol saprebbe pittor formar più bello.
362
Non mai Saturno in sì leggiadre spoglie sonar d'alti nitriti intorno feo, per involarsi ala gelosa moglie, le foreste di Pelio e di Peneo. Al nobil volator la palma toglie che portò già per l'aria il mio Perseo. Perde appo lui quel che domò Polluce e Lucifero detto è dala luce.
363
Né più grate fattezze e signorili quel del'Aurora in oriente ha forse; né con più baldanzosi atti gentili il famoso Arione in Tebe corse. Vergin non mai sì lunghi o sì sottili in trecce e 'n groppi i suoi capelli attorse, sicome molli e delicate ei spiega le belle sete e 'n nastro d'or le lega.
364
Fama è ch'avendo il sol, giunto al'occaso, disciolto il carro insu l'arena ibera, del seme di Piroo concetto a caso partorillo del Tago una destriera. Partita con bel tratto infin al naso ha di bianco la fronte, alquanto nera, e di vaghi coturni innargentati tutti fin al ginocchio i piè calzati.
365
Il resto di gran pezze ha vario il manto, quasi per arte a più color tessute e 'l bel candor, che toglie al'Alpi il vanto quando al verno maggior son più canute, seminato di bigio è tuttoquanto in spesse stelle e 'n gocciole minute. Eccetto il capo, il piè, la coda e 'l crine, spruzzato par di ceneri e di brine.
366
Già già si move e fuor del folto stuolo del cor disfoga i generosi ardori. Ecco lievi ondeggiar per l'aria a volo del cimier bianco i tremolanti albori. Par l'aura il porti, apena liba il suolo e 'l suo duce conduce a sommi onori, là dove per valor più che per sorte rompe il saldo troncon col braccio forte. –
367
Così dicea Minerva e ben di quanto parlato avea veraci erano i detti, perch'altamente ale lor prove intanto posto avean fin gli armeggiatori eletti, onde volendo oltre la loda e 'l vanto remunerargli con cortesi effetti, con questo dir la dispensiera bella rivolse a lor la faccia e la favella:
368
– Or qualcosa avrò mai ch'al vostro merto, invitissimi eroi, ben si convegna? Non se fusse del mar l'erario aperto, ricchezza avria di tal valor condegna. Man che larga altrui dona, io so ben certo, che don picciolo e basso aborre e sdegna. Pur senza aver riguardo a vil tesoro, gradirete il desir con cui v'onoro.
369
Voi, che dove il Po sorge in picciol rivo, principi generosi, avete il trono, queste tre gemme or non prendete a schivo che 'n segno sol del buon voler vi dono. L'una è carbonchio e v'è intagliato al vivo cinto di fiamme il gran rettor del tuono quando i giganti fulmina dal'Etra; e 'l foco imita ben l'istessa pietra.
370
L'altra d'Apollo con la cetra e 'l plettro mostra incisa l'effigie in un zaffiro ed è legata in un anel d'elettro ch'ha di smalti eritrei distinto il giro. Nela terza lo dio che tien lo scettro del quinto cerchio, egregie man scolpiro, gemma di quella indomita durezza cui né foco disfà né ferro spezza.
371
Tu, che dal bel Sebeto in qua trascorso germoglio illustre di famosa gente, tanto vali al maneggio e tanto al corso, quest'elmo accetta limpido e lucente. Rassomiglia a vederlo un teschio d'orso e le pupille ha di piropo ardente, le gran fauci spalanca e son costrutti di diamanti arrotati i denti tutti.
372
Né spiaccia a te, degna progenie e chiara di quel sangue lodato, onor degli ostri, per cui col Tebro altero in nobil gara fia che 'l Reno minor contenda e giostri ed a cui già con Felsina prepara il Vaticano i più sublimi inchiostri, il pronto, ancorché povero tributo prender in grado, al tuo valor devuto.
373
Ecco una spoglia che i suoi stami fini intinti ha nel licor dele cocchiglie, ordita a sovraposte e di rubini fregiata e d'altre ancor gemme vermiglie. Molti piccioli specchi adamantini accrescon del lavor le meraviglie, consparsi in lei sì chiari e lampeggianti ch'abbarbaglian la vista a' riguardanti.
374
L'ostro insieme e 'l cristallo accoppiar volli a dinotarti con duo saggi avisi e la real grandezza a cui t'estolli e la chiara prudenza in cui t'affisi; ond'avran maggior gloria i sacri colli da te, da' tuoi nel'alta sede assisi, che quando in altra età Roma felice fu di mille favelle imperadrice.
375
Questo di fila d'or manto tessuto che infin al lembo è figurato a stelle, là dove tutte han di diamante acuto fissa al centro una punta e queste e quelle, tuo fia, signor, ch'hai qui recar saputo d'arnesi in campo invenzion sì belle, che non fia mai che 'n giostra altri compaia con portatura più leggiadra e gaia.
376
E 'nsieme a voi, che da' confini estremi del nobil Lazio per sì lunghi errori seco veniste, d'altri pregi e premi non mancheranno ancor publici onori. Ma se da farvi al crin degni diademi palme Idume non ha, Parnaso allori, di sé s'appaghi il gran valor latino, lumi eterni di Marte e di Quirino. –
377
Tacquesi, ed ecco allor mentre i destrieri già già Febo inchinava al mar d'Atlante, per diverso camin duo cavalieri in un tempo venir d'alto sembiante. Dorati ha l'un di lor gli arnesi interi, sovra l'elmo l'augel del gran tonante e nel tondo d'acciar rampante e dritto il feroce animal d'Ercole invitto.
378
Viensene assiso in un giannetto ibero figlio del vento e ben l'agguaglia al corso. Zefiro nominato è quel destriero, picciolo il capo ed ha solcato il dorso; raro crin, folta coda, occhio guerriero, lunato il collo e sovra 'l petto il morso; fremendo il rode e pien di spirti arditi squarcia l'aria co' passi e co' nitriti.
379
Salvo la fronte, ove per mezzo scende candidissima riga, è tutto soro. Barde ha purpuree, di purpuree bende gli fa ricco monile arnese moro. Sonora piggia e tremula gli pende giù dala sguancia di squillette d'oro. Alto la staffa e coturnato il piede, con lungo sprone il cavalier lo fiede.
380
L'abito del guerrier che segue appresso è di sciamito azzur, fatto a fogliami e di gigli minuti un nembo spesso v'è sparso, il cui contesto è d'aurei stami. Sculto in mezzo alo scudo ha il fiore istesso, un giglio sol, maggior che ne' riccami. Ed erge per cimier di gemme adorno il sollecito augel ch'annunzia il giorno.
381
Governa il fren d'un gran frison cortaldo ch'è del color del dattilo maturo, a par d'un monte ben quartato e saldo e tre talloni ha bianchi e l'altro oscuro. Mostra nel'occhio il cor focoso e caldo, segna la fronte nera argento puro; e col piè forte e col gagliardo passo stamperia le vestigia anco nel sasso.
382
Petto largo ha tre spanne e doppia spina e corta schiena e spaziosa coda, bocca squarciata e testa serpentina, di corno terso unghia sonante e soda; leva a tempo e ripon quando camina le grosse gambe e le ripiega e snoda. Tremoto è il nome suo, però che 'n guerra ciò ch'urta abbatte e fa tremar la terra.
383
Nel'incognita coppia ognuno affisse, pien di diletto e di stupore, il ciglio e come un doppio sol quivi apparisse, d'ognintorno ne nacque alto bisbiglio. Il nome d'amboduo prima si scrisse, il guerrier dal leone e quel dal giglio; indi fur dala sorte in egual loco a vicenda e delpari ammessi al gioco.
384
Dà di piedi al destrier prima colui che 'l giglio porta e rompe insu la cresta. Quel che porta il leon va dopo lui e nel loco medesmo il colpo assesta. Altre due volte corrono ambodui, né v'ha vantaggio in quella parte o in questa, che l'un e l'altro con tre lance rotte viene egualmente a guadagnar tre botte.
385
Un pregio esser non può che si divida tra duo campioni e già ne sono a lite. Vuol Citerea che 'l dubbio si decida con nove lance eguali e ben forbite. Ma Palla è di parer che per disfida le controversie lor sien diffinite. Battansi in giostra e chi più val di loro, sicome avrà la palma, abbia l'alloro.
386
Da corpo a corpo gli emuli superbi concordi a terminar la differenza, son posti in prova e con sembianti acerbi di qua, di là ne vanno a concorrenza. Dela vittoria a qual di lor si serbi su le punte del'aste è la sentenza. Cenna al trombetta allor Vener dal palco che dia la voce al concavo oricalco.
387
Quei dal tergo onde pende in mano il toglie, pon su l'orlo le labra e, mentre il tocca, nel petto pria quant'ha di spirto accoglie quinci il manda ale fauci, indi ala bocca. Gonfia e sgonfia le gote, aduna e scioglie l'aure del fiato e 'l suon ne scoppia e scocca. Rompe l'aria il gran bombo e 'l ciel percote e risponde tonando eco ale note.
388
Veder de' duo destrier, poiché fur mossi fu spavento lo scontro e fu diletto, quando rotti i troncon nodosi e grossi, fronte con fronte urtar, petto con petto. Rimbombar lunge e sfavillar percossi ambo gli scudi e l'un e l'altro elmetto. Fu del'armi il fulgor, de' colpi il suono agli occhi un lampo ed al'orecchie un tuono.
389
Il broccal delo scudo al'altro incise quel che venia con l'aquila grifagna; falsollo e la divisa anco divise, che dispersa n'andò per la campagna. L'altro segnò più basso e 'l ferro mise per entro al corpo al corridor di Spagna, che con tremoto poi venuto a fronte, n'andò col suo signor tutto in un monte.
390
Visto il suo bel destrier che sanguinoso per l'incontro mortal s'accoscia in terra, di vendicarlo il cavalier bramoso dale staffe si sbriga e 'l brando afferra: – Tu non sei né gentil né valoroso ch'a sì degno animal fai torto in guerra, guerrier villano e discortese, o scendi o da simil perfidia il tuo difendi. –
391
Così dice il dorato e quel del gallo: – Fu sciagura (risponde) e non oltraggio, degno di scusa involontario fallo, né creder ch'io da te voglia vantaggio. – Smonta con questo dir giù da cavallo e trae la spada con egual coraggio. Così fremendo di dispetto e d'onta l'un l'altro a un tempo in mezzo 'l campo affronta.
392
Gemon l'aure dintorno e l'aria freme, treman del vicin bosco antri e caverne. Son di questo e di quel le forze estreme e chi n'abbia il miglior mal si discerne. Lampeggiar vedi aprova i ferri insieme ed odi orrendi folgori caderne; per traverso e per dritto, or bassi or alti, tornan più volte a rinovar gli assalti.
393
Sonar le spade e risonar gli scudi fa del'aspra tenzon l'alta ruina. Par che battute da novelle incudi escan l'armi pur or dela fucina. Ardon lor le palpebre ai colpi crudi gli elmi infocati, la cui tempra è fina e le fiammelle e le scintille ardenti gli fan quasi invisibili ale genti.
394
Senza riposo alcun, senza dimora, or di taglio si tranno ed or di punta. In quella cote istessa ove talora l'acuto ferro si rintuzza e spunta ivi s'arrota, ivi s'irrita ancora, l'ira più dal furor scaldata e punta. Ed ecco alfin quel dal'aurato arnese risoluto s'aventa a nove offese.
395
Alzò la spada ed un fendente tale sovra le tempie al'aversario trasse, che rotto al gallo il rostro e tronche l'ale, fè che stordito al suol s'inginocchiasse. Fu forse Amor che per destin fatale con fronte china e con ginocchia basse, l'idol dal cielo a' suoi pensieri eletto volse pur ch'adorasse a suo dispetto.
396
Non è da dir, poich'egli in sé rivenne, con quanta rabbia e qual furor si mosse. Dritto verso la testa il colpo tenne, su la barbuta ad ambe man percosse. Al'aquila tagliò l'unghie e le penne, spezzò del barbazzal le piastre grosse,; squillò l'acciaio e tal fu quella botta che la spada di man gli cadde rotta.
397
Ruppe lo stocco e gli rimase apena de l'elsa d'oro in man la guardia intera e 'l colpo uscì di sì gagliarda lena ch'al nemico sbalzar fè la visiera. Ma, tolto il vel che ricopria la scena, si scoverse il guerriero esser guerriera e con le bionde chiome al'aura sparse bella non men che bellicosa apparse.
398
Come rosa fanciulla e pargoletta che dal novo botton non esce ancora, dala buccia in cui sta chiusa e ristretta s'affaccia alquanto a vagheggiar l'aurora, così, nel far di sé la giovinetta publica mostra del'elmetto fora, in quel vivo color si rinvermiglia che l'onestà dala vergogna piglia.
399
Ala vergogna, ala fatica or l'ira rossore aggiunge e ne divien più bella, onde molto più spessi aventa e tira i colpi in lui l'intrepida donzella. Ma l'altro allor che quel bel volto mira, senza moto riman, senza favella, trema, sospira e sparge a mille a mille più dal cor che dal'armi, alte faville.
400
E mentr'ella a ferirlo ha il ferro accinto per far ch'essangue a terra alfin trabocchi: – Che fai che fai? (le dice) eccomi estinto, senza che più la bella man mi tocchi. Morto m'hai già, nonch'abbattuto e vinto co' dolcissimi folgori degli occhi. Crudeltà più che gloria omai ti fia con più piaghe inasprir la piaga mia.
401
Ma poiché morto pur brama vedermi congiunto a beltà tanta un cor sì crudo, ecco la testa, ecco la gola inermi t'offro senza difesa e senza scudo. – Disse ed anch'ei restò, tolti gli schermi dela cuffia di ferro a capo ignudo e parve un sol, qualor più luminosi trae fuora i raggi in fosca nube ascosi.
402
Tosto che 'n luce uscì quelche pur dianzi di celar la celata avea costume, trovossi anch'ella un garzonetto innanzi che mettea pur allor le prime piume. Io non so dir, quanto l'un l'altro avanzi e 'n cui splenda d'amor più chiaro il lume. Sembran Pallade e Marte armati in campo di beltà, di valor gemino lampo.
403
L'afflitta Citerea, quando il bel viso si discoverse, ancorch'alquanto smorto, arse a un punto e gelò, ché le fu aviso di rivedere il caro Adon risorto. Ma che direm del fulmine improviso che si sente nel cor, poiché l'ha scorto, la giovane superba al primo instante? Quelche mai più non le successe avante.
404
S'a lui spezzossi entro la destra il brando, a lei si spezza il core in mezzo al petto, né meno, il cupid'occhio in lui fermando, perde le forze a quel novello oggetto. Già comincia a gustar, ratto cangiando nela guancia color, nel'alma affetto, le dolci amaritudini del core, le dolcezze amarissime d'amore.
405
Dialogi di sguardi e di sospiri che quinci e quindi ad incontrar si vanno, reflessi di pensieri e di desiri un bel muto concento insieme fanno. Ma l'un, che l'altra per maggior martiri armata tuttavia scorge a suo danno, pur come in atto di ferir l'aspetti, ripiglia il favellar con questi detti.
406
– Io vo' morir, ma volentier saprei l'alta cagione onde 'l mio mal procede. O donna o dea, se sì spietata sei ch'offender vogli pur chi pietà chiede, deh fammi noto almen chi sia colei che la pace mi nega e la mercede. Poi mi fia dolce e cara ogni ferita, morendo per le man dela mia vita.
407
Quelle, s'è giusto il prego, a trar sì pronte dale mie vene il sangue armi omicide, sospendi tanto sol che tu mi conte chi di due morti insieme oggi m'uccide. – Trattiene i colpi e la turbata fronte rasserenando alquanto aspro sorride e fiera in vista e mansueta in voce risponde allor la vergine feroce:
408
– Non son vil feminetta; il naspo e l'ago questa destra virile aborre e sprezza. Di guernirla di ferro anch'io m'appago ed è la spada a sostenere avezza. Non ne' cristalli fragili l'imago piacemi vagheggiar di mia bellezza; specchio m'è l'elmo rilucente e fino e questo terso scudo adamantino.
409
Sdegnar dunque non dei d'oprar la spada tentando incontr'a me l'ultima sorte, tanto che l'un rimanga e l'altro cada col fin dela vittoria o dela morte, poich'io ti so ben dir ch'aver m'aggrada più ch'aspetto leggiadro, animo forte. Ha la man feminile anco i suoi pregi e vinse duci e trionfò di regi.
410
Ma poich'odio non è né rissa antica ch'oggi qui ne conduce a trattar l'armi e tu mel chiedi con preghiera amica ed io di rado in uso ho di celarmi, se mi permette pur che 'l tutto io dica il tempo e 'l loco e piaceti ascoltarmi, istoria udrai, cui non fu pari alcuna stravaganza di stato o di fortuna.
411
Venne d'Ircania ad occupar la reggia la generosa vergine Tigrina ed ancor la possiede e signoreggia con quanta region seco confina; donna ch'ala beltà l'ardir pareggia, dele feroci Amazoni reina. Ma, benché fusse d'un tal regno erede, non s'appagò dela materna sede.
412
Sdegnò di star tra 'l Sero e 'l Messageta, genti inumane, immansuete e crude, né del'Imavo l'arrestò la meta né 'l fren dela Meotica palude né 'l freddo Tanai che quel passo vieta né 'l Caspio mar che quel confin rinchiude, siché con l'altre sue che trattan l'arco, non si spedisse a novi acquisti il varco.
413
La schiatta di costei, quant'ognun dice, è di Pantasilea scesa e d'Ettorre. Valore ebbe dal ciel quant'aver lice, né donna seco in leggiadria concorre. Ma del sesso viril disprezzatrice, l'amorose dolcezze odia ed aborre e 'l popol feminil governa e regge con dura troppo e 'ntolerabil legge.
414
La legge dele femine guerrere che già regnaro al Termodonte in riva è tal che sotto pene aspre e severe del commercio degli uomini le priva. Quinci avien che ciascuna è del piacere per cui si nasce totalmente schiva e, senon quanto a conservarle basta, vivon vita tra lor solinga e casta.
415
Era quest'uso in quelle parti antico finché, come dirò, fu poi dismesso, né si servian del genere nemico se non per propagarne il proprio sesso. Talor col forestier l'atto impudico per cagion dela prole era permesso, ma, serbando a nutrir sol le fanciulle, strangolavano i maschi entro le culle.
416
Quantunque universal fusse e commune lo statuto antichissimo ch'ho detto, fra tante nondimen n'erano alcune molto inclinate al natural diletto; e non potendo più starne digiune, né giacer solitarie in freddo letto, fer secreta congiura, indi pian piano si ribellaro e tolser l'armi in mano.
417
Tiranno allor di Parzia era Argamoro che fu gran tempo di Tigrina amante, di paese possente e di tesoro, forte e più ch'altro mai fiero gigante. Ma nulla gli giovò la forza o l'oro con cor di ferro e petto di diamante; mille rifiuti e mille scorni ei n'ebbe; ma tra l'aspre repulse il desir crebbe.
418
Or, già ala licenza il fren disciolto, le donzelle di Scizia e le matrone con lui s'uniro e l'appetito stolto col pretesto coprir dela ragione. Ond'egli un grosso essercito raccolto, fatto di tutte lor capo e campione, prese, sfogando il già concetto sdegno, a danneggiarla ed a turbarle il regno.
419
Ebbe seco in aiuto Alani e Traci e Medi e Battri e Sarmati ed Armeni, talché d'erranti barbari rapaci vidersi i piani in breve spazio pieni e di crudo signor fieri seguaci guastar villaggi e disertar terreni, crudelissimamente in ogni loco sacco e sangue spargendo e ferro e foco.
420
Armò sue squadre anch'ella e virilmente s'oppose a quel furor la donna forte, ma di gran lunga inferior di gente fu risospinta ale caucasee porte; quand'ecco Austrasio il cavalier valente, venne quivi di capo a dar per sorte a cui d'Aspurgo appartenea lo stato, semplice allora aventurier privato.
421
Bramoso Austrasio d'emendar l'oltraggio e di lei già per fama acceso il core, sentì, facendo a sì bel sol passaggio sotto clima gelato estremo ardore e, giunto presso a quel celeste raggio, se dianzi ardeva, incenerì d'amore. Amor in somma in cotal guisa il vinse che per non mai si scior seco si strinse.
422
Scettro a scettro congiunto e spada a spada, l'impeto affrena de' guerrier ladroni; scorre di qua di là l'ampia contrada e 'l gigante reprime e suoi squadroni; poi per non star sì lungamente a bada ed in una ridur molte tenzoni, da sol a sol, finché l'un l'altro uccida, in campo a tutto transito lo sfida.
423
Tigrina ogni ragion di quel reame d'uom sì famoso entro le man rimise, loqual venuto a singolar certame brando per brando il fier rivale uccise ed, al duce maggior rotto lo stame, si ruppe anco il suo campo e si divise, ché, vulgo imbelle essendo e mal instrutto, fu facil cosa a dissiparlo intutto.
424
Dal gran valor del principe germano, dal nobil volto e dal parlar cortese, dal'obligo che porta ala sua mano, vinta è Tigrina e non sa far difese. Fatto al possente arcier contrasto invano, come grata e gentile, alfin si rese e ferita e legata e prigioniera al gran giogo inchinò l'anima altera.
425
Ma d'onesto rispetto un dubbio greve la costringe a celar quelche desia che, benché dale leggi onde riceve regola il regno suo libera sia, in quelch'altrui vietò peccar non deve né convien ch'a disfarla essempio dia. Quindi onor, quinci amor le batton l'alma, pur l'affetto più dolce ottien la palma.
426
Qual d'ognintorno assediata e cinta da fameliche fiamme arida stoppia, è forza pur che divorata e vinta resti dal foco che stridendo scoppia, tal da quel crudo a vaneggiar sospinta, ch'ognor nov'esca al novo ardor raddoppia, cede, e benché ritrosa, alfin si piega e d'amor ad amor cambio non nega.
427
Austrasio intanto l'essortò parlando la ria costuma a cancellar del regno e le rubelle a richiamar dal bando che ben ebber cagion di giusto sdegno. Disse ch'abominabile e nefando, di civiltà, d'umanitate indegno era il rigor di quella legge dura, contraria al cielo, al mondo ed a natura.
428
Con più d'una ragion faconda e saggia mostrò quanto infelice è quella donna, laqual sestessa e l'universo oltraggia vivendo senza l'uom ch'è sua colonna; e ch'egli è ritrosia troppo selvaggia, quasi di fera alpestra avolta in gonna, voler che s'aborisca e si detesti il bel trastul degli abbracciari onesti.
429
Soggiunse ancor che 'l proibire al mondo il marital diletto era un delitto, ch'a conservarlo e renderlo fecondo fu dale stelle e dagli dei prescritto; e chi s'astien da quel piacer giocondo nega a natura il suo devuto dritto, anzi mentre ch'amor disdegna e fugge l'umana specie inquanto a sé distrugge.
430
Seguì di più, che se le loro antiche per qualch'ira privata odiar gli sposi, non devean l'altre poi sempre nemiche mostrarsi ai dolci altrui vezzi amorosi, né ridursi a durar tante fatiche nate solo ai domestici riposi, arando i campi e coltivando gli orti ch'eran propri mestier de' lor consorti.
431
Conchiuse alfin ch'oltre lo star sì sole per altro erano ancor donne infelici, ai passaggier per generar figlioli, esposte a guisa pur di meretrici; e ch'era non men misera la prole che del seme nascea de' lor nemici, costretta ancora a perder le mammelle, parti del sen le più gentili e belle.
432
Non penò molto il cavalier discreto per ben disporla a far questa mutanza, perch'oltre che la donna odio secreto portava al'empia e scelerata usanza, a revocar quel rigido divieto già da sé persuasa era a bastanza, per onestar de' lor trafitti cori con leggittimo titolo gli amori.
433
Così cessar le leggi inique e sozze, del pazzo abuso s'annullaro i riti, furon le guerre e le discordie mozze, le contumaci donne ebber mariti, ottenne Austrasio le bramate nozze, passò Tigrina agl'imenei graditi, concepinne a suo tempo e partorio pargoletta bambina e fui quell'io.
434
Nacqui, né fui però sì tosto nata che strano caso e portentoso avenne. Aquila bianca, d'oro incoronata, dal ciel battendo l'argentate penne, per le finestre dela stanza entrata dritto ala cuna, ov'io giacea, ne venne e mentr'io tra le fasce ancor vagia, mi ghermì con gli artigli e portò via.
435
Io non so se fu Giove in forma tale ch'aver volse di me pietosa cura o del grand'avo mio l'ombra immortale, già difensor dele troiane mura, che la rapace augella imperiale per insegna portò nel'armatura. Opra più tosto fu d'un mago antico che dela stirpe mia fu sempre amico.
436
Ella al vecchion dela Foresta Nera, così si nominava il negromante, l'aure trattando rapida e leggera, senza alcun mal depositommi avante. Vita mena costui dura ed austera là dela folta Ercinia infra le piante, e 'n quelle solitudini silvestri gli sono i libri suoi muti maestri.
437
Il buon vecchio di me prese il governo, cui per sempre obligata io mi conosco. Con zelo m'allevò più che paterno, sempre tra le fatiche entro quel bosco. Varcai rigidi fiumi al maggior verno, vegghiai gelide notti al ciel più fosco, lottai con orsi ed affrontai leoni, né temei d'assalir tigri e dragoni.
438
Austria nome mi pose; e 'ntanto essendo già de' tre lustri oltre l'età cresciuta, in Austrasio ch'un giorno a caccia uscendo avea de' suoi la compagnia perduta, mentre ch'a fronte avea cinghiale orrendo a caso m'abbattei non conosciuta. L'uno era inerme e l'altro fiero e forte, io questo uccisi e quel campai da morte.
439
Come alfin mi conobbe e come fui dale selve condotta ai gran palagi, lungo a dir fora e quali e quanti a lui fè di me poscia il savio alti presagi. Questo però tacer non voglio altrui, ch'ancor tolta ai travagli e data agli agi, tra le delizie sue la corte folle forza non ebbe mai di farmi molle.
440
Comprender puoi dal'abito s'io nacqui agli ozi vili o se viltà disprezzo, al'impero d'Amor mai non soggiacqui, mai non mi mosse allettamento o vezzo; e di poter mostrar più mi compiacqui in questo corpo ale fatiche avezzo le cicatrici degli assalti audaci che le vestigia de' lascivi baci.
441
Tolto dal genitor dunque congedo, di Germania soletta io fei partita e tra vani riposi aver non credo perduti i giorni in oziosa vita. Ma mentre alfin per nave in patria riedo, via sperando dal mar piana e spedita, dopo molte aventure, a queste spiagge tempestoso aquilone ecco mi tragge.
442
Or poiché 'n brevi detti udito hai quanto raccontar saprei mai del'esser mio, se lice pur, posta giù l'ira alquanto, il nemico essaudir com'ho fatt'io fa tu, narrando il tuo meco altrettanto, ch'ancor non men d'intenderlo desio, e 'l tuo sembiante e 'l tuo parlar mi pare di guerrier non oscuro e non vulgare. –
443
Così diss'ella e si ritrasse poi in quel contegno suo dolce e severo, quando: – Poiché così comandi e vuoi (cominciò rispondendo il cavaliero) de' miei, simili in parte ai casi tuoi, che sono ancor meravigliosi invero, con non lungo sermone a darti conto, feritrice mia bella, eccomi pronto.
444
Ardean tra 'l re Francone e 'l re Morgano guerre crudeli e mortalmente orrende e d'aspri assalti ognor con l'armi in mano alternavan tra lor fiere vicende. Dominava il primier tutto quel piano che 'nfin dal'Alpi ai Pirenei si stende; l'altro reggea dela maggior Brettagna quanto paese il gran Tamigi bagna.
445
Vennero alfin tra questa parte e quella per maritaggio ad amicar le spade e 'l re gallo al bretton diè la sorella, Fiordigiglio, che fior fu di beltade, Fiordigiglio gentil, di cui più bella non ebbe il mondo in questa o in altra etade dal lucid'orto al'occidente oscuro, dal'umid'austro al'agghiacciato arturo.
446
Ambiziosa di cotanto bene, Anglia con general pompa festiva la ricettò nele beate arene com'a sposa real si convenia. Felice chiama e fortunata tiene la disgiunta dal mondo estrema riva, dove seco traendo un dì novello sorge al cader del sole un sol più bello.
447
Loda il candido sen, la treccia bionda, le fresche guance, i seren'occhi ammira. Diresti ben che gelosia n'ha l'onda de l'ocean, ch'or viene, or si ritira, né per altro quell'isola circonda e dintorno a' suoi lidi si raggira, senon per custodir sì bel tesoro quasi serpe che guardi i pomi d'oro.
448
Era Morgano uom di gran forze ed era di membra poco men che gigantee, ma non avea quella prudenza intera che costumato principe aver dee. D'aspra natura impaziente e fiera, d'opre malvage e scelerate e ree. E ben fede facean di quanto ha detto la terribil sembianza e 'l sozzo aspetto.
449
La faccia ha bruna e di color ferrigna, illividita d'un crudel pallore, ciglia congiunte in union maligna, occhio fellone e sguardo traditore. Villanamente ador ador sogghigna con un sorriso che non vien dal core. I movimenti, i portamenti tutti son rigorosi e spaventosi e brutti.
450
Or io non so qual ria sciagura o sorte, con quai d'empia malia nodi tenaci le forze legò sì del fier consorte ch'ei non potè mai trarne altro che baci. Pur l'ama intanto, anzi d'amor più forte nel vietato diletto ardon le faci ed agli uffici inabile di sposo, quant'egli è men potente, è più geloso.
451
Fu consiglio, cred'io, di chi governa dele stelle lassù l'ordin fatale. Non volse dar la providenza eterna ad uom terreno una ventura tale e parve indegno ala bontà superna di cotanta beltà sposo mortale; onde serbolla a nozze eccelse e sante d'amor celeste e di divino amante.
452
Odi strano accidente, odi in che nova guisa dal ciel l'origine pigliai e dì se genitura altra si trova sì fatta al mondo o si trovò giamai. Indi al concetto il nascimento aprova simile, se m'ascolti, anco vedrai, mostruoso, ammirabile e ch'eccede ogni credenza intutto ed ogni fede.
453
Nela stagion che dela terra l'ombra dal fondo uscita del cimerio speco spegne il sol, copre il cielo e l'aria ingombra e fa muta la gente e 'l mondo cieco, mentr'ella dorme, ecco che 'n sogno l'ombra l'appar di Marte e si congiunge seco. Poi desta il giorno, di feconde some grave si sente il ventre e non sa come.
454
Turbasi e de' begli occhi il lume imbruna e languisce e stupisce e trema e gela e di sua dura e misera fortuna incontr'al ciel si lagna e si querela. Pur quanto può fin ala nona luna la gravidanza sua ricopre e cela. Ma qual secreto alfin non manifesta quel cauto mostro ch'ha cent'occhi in testa?
455
Morgano, entro 'l cui petto il foco acceso tempra col ghiaccio suo la gelosia, accorto alfin del disusato peso, del concetto innocente i segni spia. Oltre il sen grosso, onde 'l sospetto ha preso, gli accresce nel pensier la frenesia il veder gonfie ancor le poppe eburne del nettare d'Amor fontane ed urne.
456
La ritira in disparte, indi le chiede con torvo ciglio e con severa faccia del'onor maritale e dela fede le schernite ragioni e la minaccia. La sventurata, che da lui si vede già discoverta, di paura agghiaccia, ché di quel fiero cor le son ben noti troppo tremendi e repentini i moti.
457
Volea le labra allor allora aprire la bella donna e raccontar la cosa; ma non seppe il crudel tanto soffrire, tal gli bollia nel cor rabbia gelosa. Traendo fuor senza volerla udire, un suo spadon, con furia impetuosa, colpo tirò sì sconcio e smisurato che la tagliò dal'un al'altro lato.
458
Dico che dela spada il fil le mise sì per dritto nel corpo ed a misura, che la ruppe a traverso e la divise tutta per mezzo i fianchi e la cintura. Con le gambe dal busto allor recise quinci il tronco riman mezza figura, quindi il bel sen sul pavimento resta ale braccia attaccato ed ala testa.
459
Apena ella di sangue un largo fiume, in due pezzi caduta, a terra sparse, che fatta chiara in viso oltre il costume, pur com'un sol visibilmente apparse. Fuor de' begli occhi di celeste lume folgore uscì che l'abbagliò, che l'arse; sentissi il fier dal raggio e dal'ardore ferir la vista e fulminare il core.
460
E di quel lampo, ond'ebbe il cor ferito, tanta il sacro splendor luce gli porse, che 'n sé tornando il barbaro marito, di sua ferina immanità s'accorse. Onde del'opra rea tardi pentito, la man per ira e per dolor si morse e fisi gli occhi in quell'oggetto orrendo, forte a dolersi incominciò piangendo.
461
"Fiordigiglio mia cara (egli dicea) il cui nome gentil veracemente se forsennato pur non mi facea la passion che traviò la mente, per sestesso mostrar sol mi potea un intatto candor d'alma innocente, deh con qual mar di lagrime poss'io pagar giamai d'un sì bel sangue il rio?
462
Anima disleal, perfido core, che per sì vil misfatto infame sei, se già non valse a moverti l'amore che mentre visse ti portò costei, come almen non ritenne il tuo furore giusta pietà dela beltà di lei dal macchiar del bel sen le pure nevi e 'nsieme quell'amor che le devevi?
463
Stolta mia destra, che d'un tanto eccesso di ferità ti festi essecutrice, ragion non è che del gran mal commesso si faccia anco altra man vendicatrice. Serrò già contro lei, contro mestesso questo mio traditor braccio infelice, emendi Amor l'error ch'egli commise con l'odio che si deve a chi l'uccise.
464
Spada villana, al tuo signor ingrata, che nel mio bene incrudelir potesti ed ancor de' begli ostri insanguinata quasi accusando il feritor ne resti, se già fosti crudel, fosti spietata nel'alta crudeltà che commettesti, or a quel gran dolor che mi saetta non negar la pietate e la vendetta".
465
Così, piangendo e sospirando, disse e, tenendo nel pugno il ferro stretto, senza trovarsi alcun che l'impedisse sospinse il braccio ed applicollo al petto, e, trafitto appo lei ch'egli trafisse, pien d'amoroso e di rabbioso aspetto freddo cadendo e pallido ed essangue, insieme mescolò sangue con sangue.
466
Chi crederà prodigiose e nove altezze di miracoli divini? chi d'un corpo ch'è morto e non si move, uscir vide giamai vivi bambini? Nel ventre che spaccato era là dove hanno l'anche e le coste i lor confini, dentro l'aperte viscere anelante, spirar si vide e palpitar l'infante.
467
Il parto, ch'era per uscir già presto, accelerato dal fellon crudele, fuor del lacero sen pietoso e mesto di lei raccolse un famigliar fedele. A sua magion recollo in cavo cesto sotto panni appiattato e sotto tele, e quivi il fè con sì benigna aita dala moglie allattar che 'l tenne in vita.
468
Sì vissi e crebbi ed, oh stupor! del petto scritte portai nela sinistra parte note di sangue il cui tenor fu letto: "Fiammadoro è costui, figlio di Marte". Quindi poi Fiammador fui sempre detto e fu di quel gran dio mirabil arte che come mi campò pria ch'io nascessi, così, credo, curò gli altri successi.
469
Il mio leal custode, il balio fido, sovra una lieve e ben spalmata fusta tragittando a Calesso il salso lido, passò di Gallia al'alta reggia augusta, dove inteso l'annunzio, udito il grido del'onta indegna e dell'ingiuria ingiusta, il mio gran zio che governava il regno pianse di duolo ed avampò di sdegno.
470
Per vendicar dela sorella i torti, mosse poi l'armi e grand'incendio accese. Questo il principio fu di tante morti, quinci nacquer le risse e le contese che con odio mortal tra i petti forti durano ancor del franco e del'inglese, che tra lor confinando, han d'ambo i lati cagion di star su le frontiere armati.
471
Fece il re quivi intanto ammaestrarmi come regio garzon nutrir si debbe. Ma di fuggir poi gli ozi e seguir l'armi anco in me con l'età la voglia crebbe. Vezzo, prego o consiglio a distornarmi da sì nobil pensier forza non ebbe. Così dal ciel guidato e dala sorte sconosciuto e notturno uscii di corte.
472
Già di paesi e popoli diversi costumi assai, peregrinando, ho visti. Molto errai, molto oprai, molto soffersi per far d'eterno onor pregiati acquisti. Poi per l'Egeo tra i flutti e i venti aversi ne venni anch'io sicome tu venisti; quel borea istesso che 'l tuo legno spinse anco a prender qui porto il mio costrinse.
473
Narrate io t'ho gran meraviglie e tali che volto forse avran di favolose; ond'essendo sì strani i miei natali, credo, che 'l ciel mi serbi a strane cose. E certo o di gran beni o di gran mali fortune attendo o liete o dolorose, secondo che di gioia o di martire per te m'è dato o vivere o morire. –
474
Così divisa, ed ecco ingiù disceso, mentre queste ragion passan tra loro, tutto concorre ad onorargli inteso del celeste collegio il concistoro. Là've in duo petti era egual foco acceso, con la madre d'Amor venner costoro; ed ella con sereni occhi ridenti fè l'aria risonar di tali accenti:
475
– O coppia degna e da' più degni eroi sol per gloria del mondo al mondo uscita, qui gran tempo aspettata e 'n ciel da noi troppo ben conosciuta e ben gradita, deponete omai l'armi e sia tra voi la tenzon con lo sdegno inun sopita. Canginsi in vezzi le discordie e l'ire e sia pari l'amor, com'è l'ardire.
476
Ardete, anime belle; ai vostri ardori son propizie le stelle, i cieli amici! Già le Grazie pudiche e i casti Amori v'arridon tutti con benigni auspici. Fortunati desir, beati cori, che 'n sì nobile incendio ardon felici; esca onde trae la fiaccola e 'l focile d'Amor e d'Imeneo fiamma gentile.
477
Lunga stagion tra dilettosi affanni sotto un giogo dolcissimo vivrete. Vivran le glorie vostre al par degli anni, n'andranno i vostri onor di là da Lete. Già spiegando per voi la Fama i vanni, tutte scorre del ciel le quattro mete e sparge intorno i fiati suoi sonori dal meriggio ai trion, dagl'Indi ai Mori.
478
Le due gran monarchie nel mondo sole, cedan Greci e Romani e Persi e Siri, per voi fien grandi e per la vostra prole laqual fia ch'Asia tema, Europa ammiri. Le lor terre, i loro mari apena il sole visitar potrà mai con mille giri, d'amicizia congiunte e d'allianza, emule di grandezze e di possanza.
479
Tu, che per doppia via l'alme rubelle, verginella real, vinci in battaglia, rischiara i raggi dele luci belle, né del morto destrier punto ti caglia. So che del sol le stalle e che le stelle non l'hanno tal ch'appo 'l tuo merto vaglia; questo mio nondimen con lieta faccia, ch'è miglior de' miglior, gradir ti piaccia.
480
Là nel fonte del sol dove in pastura la corridrice nomade col pardo si copulò, d'adultera mistura concetto nacque e fu chiamato Ippardo. Parte chiara ala spoglia e parte oscura quasi piuma di storno ha del leardo, stellata in guisa tal tutta a rotelle che 'n lui le macchie istesse anco son belle.
481
Tenero il tolse ala materna mamma e frenollo e domollo Arte maestra. Spinselo or dietro a cerva, or dietro a damma, or per campagna, or per montagna alpestra. Pronto ai salti, agli assalti, uso è qual fiamma, girarsi a manca e raggirarsi a destra e veloce e feroce a meraviglia la genitrice e 'l genitor somiglia.
482
E tu franco guerrier, ch'oggi ten vai nel trionfo d'amor con tanto fasto e sovr'ogni trofeo ti pregi assai d'uscir vinto e prigion dal gran contrasto, non languir più, né più lagnarti omai del brando rotto o delo scudo guasto. Lascia pur l'armi usate e prendi quelle ch'or io t'arreco assai più forti e belle.
483
Questa spada biforme onde già fue dal buon Perseo l'orribil Orca uccisa, Anfisbena ei chiamò, però che 'n due, come vedi, ha la lama ingiù divisa. Aguzza l'una è dele parti sue, ma si termina l'altra in altra guisa, ché nel'estremità curva diviene, l'una taglia di lor, l'altra ritiene.
484
Degna del fianco ben fora di Marte l'arme onde possessore oggi ti faccio, ma perde appo lo scudo il pregio in parte che peso fia del valoroso braccio. De' suoi lavori il gran mistero e l'arte altri ti scoprirà, questo mi taccio. Vi vedrai del futuro occulte cose e de' tuoi successor l'opre famose. –
485
Barbaro scudo a questo dir recato fu da molti valletti in un momento. Nel'incude di Lenno è fabricato, d'oro ha il bellico, il circolo d'argento e di minute istorie effigiato l'orlo, a cui fanno intorno ampio ornamento, ogni figura sua vivace e bella poco men che non spira e non favella.
486
Allor lo dio che signoreggia in Delo, rivolto a specolar quelle sculture, de' secreti ineffabili del cielo affisa gli occhi entro le nebbie oscure; indi, squarciando il tenebroso velo che i gesti asconde del'età future, pien di spirito sacro ed indovino a Fiammadoro interpreta il destino:
487
– Guarda (dicea) nel mezzo e vedrai pria d'uno in tre gigli la mutata insegna. Tal qual è sarà sempre in tua balia mentre il peso mortal l'alma sostegna. Da indi in poi custode il ciel ne fia finché 'l gran Clodoveo nel mondo vegna. Per miracolo allor lo scudo istesso fia dinovo alla terra ancor concesso.
488
Volgiti al cerchio poi del ricco arnese e mira quante imagini v'ha sculte. Son de' tuoi gran Borbon le chiare imprese che sotto oscuro vel giacciono occulte, finch'un tanto splendor fatto palese dale penne più nobili e più culte, in quanto l'ocean bagna e circonda, per mille lustri illustre, i rai diffonda.
489
Nel gallico terreno, ancorch'angusto sia quasi tutto a tal legnaggio il mondo, in cotal guisa di quel ceppo augusto fia radicato il gran pedal fecondo, che giamai quercia il suo robusto busto non piantò sì nel più profondo fondo. Tronco a cui non fia mai che vento crolli, fertile di radici e di rampolli.
490
Per conoscer apien qual sia la pianta, basta solo assaggiarne un frutto o dui. Questo però di frutti ha copia tanta che ne confonde e ne satolla altrui; e come l'arbor d'oro onde si vanta l'Esperia, abondasi de' pomi sui, che chi la scote per carpirne un solo ne fa mille talor piovere al suolo.
491
Di tant'avi e nipoti e padri e figli lasciando dunque il numero infinito, converrà ch'al miglior solo m'appigli: ed ecco un sol fra mille io ten'addito. Vedi del'alfabeto a piè de' gigli il decimo elemento ivi scolpito: il nome è quel di quel garzon reale a cui promette il ciel gloria immortale.
492
Gloria immortal trarrà da chiari pregi del genitor non men ch'eterno essempio, del genitore, a' cui gran fatti egregi benché s'opponga il fato iniquo ed empio, la fenice però sarà de' regi, di pietà, di giustizia il trono e 'l tempio, un Numa in pace, un Alessandro in guerra, un vero nume, un vivo lume in terra.
493
L'esser nato d'un re che di valore fia specchio al mondo e fior d'ogni bontate, di cui saran con sempiterno onore più vittorie che guerre annoverate, somma laude gli fia, ma vie maggiore il secondar di lui l'orme onorate; felice inun di posseder ben degno e la virtute ereditaria e 'l regno.
494
Quai poeti di lui, quali oratori potranno, ancorché celebri e celesti, o in note sciolte o in numeri canori tanto mai dir che più da dir non resti? Che può pensar de' suoi sovrani onori, che può narrar de' suoi sublimi gesti, secca ogni vena, ogni virtù perduta, intelletto confuso e lingua muta?
495
Quegl'infelici e miseri ch'oppressi dal crudel di Bisanzio empio tiranno dele dure catene i ferri istessi logori quasi con le membra avranno, per lui sol fiano in libertà rimessi, per la sua man fia vendicato il danno; e poiché l'oriente avrà distrutto, si farà tributario il mondo tutto.
496
Non di sol, non di gel tanto ardimento affrenar mai potranno ardori o brume. Veggio l'Indo e 'l Gelon, quel di spavento gelar, questo sudar contro il costume. Veggio la luna trace il puro argento macchiar di sangue, impoverir di lume; torbido il Nil già per sett'occhi piange e l'aureo suo pallor raddoppia il Gange.
497
Veggio che sol per lui la Tana estrema più di timor che di rigore agghiaccia; scote i suoi boschi il Caucaso che trema di quel valor che 'l giogo gli minaccia; già cede il Parto e disusata tema con non mentita fuga in fuga il caccia; veggio gli archi depor Meroe al suo nome e di saette disarmar le chiome.
498
Marte, nonch'altri, ilqual per tema eletto s'ha l'albergo lassù nel cerchio quinto, converrà che più alto abbia ricetto, s'esser non vuol anch'egli in guerra vinto. Fia Giove ancor d'alzar il ciel costretto ed allargar del'universo il cinto, che 'l suo nome, il suo ardir non ben si serra tra gli spazi del'aria e dela terra.
499
E come il suo magnanimo pensiero termine non avrà che lo capisca, così confin che 'l chiuda anco l'impero non troverà dov'ei di gire ardisca e non in questo sol noto emispero fia che lo scettro suo si stabilisca, ma dove ancor con affannata lena giungono stanchi i miei corsieri apena.
500
è ver che 'n su 'l bel fior del'età fresca contraria avrà sediziosa gente, diversa assai dala bontà francesca, disleale, ostinata, empia, insolente. Vedi vedile in mano il foco e l'esca con cui semina intorno incendio ardente, che nel sen dela patria appreso e sparso l'ha quasi il corpo incenerito ed arso.
501
Per intutto estirpar l'Idra ramosa, che quanto più moltiplica più noce, l'armi giuste intraprende e non riposa l'infaticabil giovane feroce. Suda ed anela ala stagion nevosa, quando adusto da borea il verno coce; se 'n ciel rugge il leon, latra la cagna, ei sotto i raggi miei marcia in campagna.
502
Con le squadre più fide e più devote movesi ad espugnar l'empia caterva che le leggi calpesta, il giogo scote e ricusa ubbidir soggetta e serva; vegghia, studia, travaglia il più che pote quella peste a scacciar fiera e proterva, che del'afflitta Gallia in modo orrendo va per le chiuse viscere serpendo.
503
è giunto a tale il suo valor sovrano ch'omai vince e trionfa e non combatte. Son dal nome vie più che dala mano prese le rocche e le città disfatte; solo col vento dele penne al piano la sua gran fama l'alte mura abbatte; cede ogni forte, ogni castel si rende: misero chi contrasta e si difende!
504
Sassel ben d'Angerì la turba stolta che l'accordo pospone ala difesa. Ecco Salmuria a' rei ladron ritolta, né Bergeracco poi fa gran contesa. Ecco la prima e la seconda volta Cleracco a forza è soggiogata e presa, Pouso, Mondur, Lunello ed ecco mille racquistate in un punto e piazze e ville.
505
Fa ben due volte a Montalban ritorno, né per pioggia o per neve assalto allenta, ma col fiero cannon la notte e 'l giorno l'eccelse torri e 'l gran giron tormenta. Passa quindi a Narbona e tutti intorno gli ammutinati popoli spaventa; e posto campo ala città sovrana di cadaveri ostili i fossi appiana.
506
E mentre ivi di sangue il campo tinge, da lunge ala Roccella anco fa guerra. Spernon da un lato e Suesson la cinge e di soccorso ogni camin le serra, né minor forza la combatte e stringe dala parte del mar che dela terra, dove al gran porto del'alpestra rocca tenta industre ingegner chiuder la bocca.
507
Spianta le selve e le miniere vota e con legni e con ferri il mar affrena, e copulando vien, benché remota, d'entrambo i capi l'un'e l'altra arena; ed acciocché sue machine non scota, quasi in dura prigion l'onda incatena, e 'l buon duce di Guisa insu l'entrata il varco guarda con possente armata.
508
Tien del rege costui la vece e 'l loco, guerrier cui non fia mai chi si pareggi. Vanne e sprezza pur l'onda e sprezza il foco, inclito eroe che la gran classe reggi! Ben avrai quella e questo a temer poco, milita il ciel per te mentre guerreggi e l'un e l'altro orribile elemento ti favorisce e la fortuna e 'l vento.
509
Mira con qual inganno han mossi i legni le ribellate e debellate genti, che portan seco insidiosi ingegni d'occulti fuochi e d'artifici ardenti; ma di toccar sì nobil corpo indegni scoppiano a voto i perfidi stromenti, volan le fiamme e 'nsieme il mar confonde le nebbie e i fumi e le faville e l'onde.
510
Vedi ogni altro vascello irne lontano, soletto ei si riman su l'ammirante. Tutto incontro gli vien lo stuol villano; ei non lascia però di girne avante, anzi principe insieme e capitano e soldato in un punto e navigante, minacciando il nocchier ritroso e tardo atterrisce il Terror sol con lo sguardo.
511
Può ben l'aspro conflitto ivi vedersi pien d'accidenti tragici e mortali; vele stracciate ed uomini sommersi e remi rotti ed arbori e fanali. Spettacoli d'orror così diversi oggetti ti parrian più ch'infernali, s'udir potessi ancor gli alti rimbombi che fanno i cavi bronzi e i fusi piombi.
512
Ecco la strage delo stuol rubello, ecco i navili suoi sparsi e distrutti. L'animoso signor di cui favello, fa del sangue fellon vermigli i flutti. Saltando va da questo legno a quello e la sua spada è scudo agli altri tutti. Col grido e con la man fulmina e tuona, così la fè difende e la corona.
513
Intanto al popol falso e contumace perdona alfin placato il gran Luigi e dopo lungo assedio e pertinace dispiega in Mompelier la fiordiligi, quindi con la vittoria e con la pace tra la palma e l'olivo entra in Parigi e lieta sotto il trionfal vessillo torna la Francia al bel viver tranquillo.
514
Tornan l'Arti più belle e le Virtudi poco dianzi fugaci e peregrine, fioriscon gli alti ingegni e i sacri studi, crescon i lauri a coronargli il crine, riposan l'armi orrende, i ferri crudi pendon dimessi e le battaglie han fine. Son fatti i cavi scudi e i voti usberghi nidi di cigni e di colombe alberghi. –
515
Qui tacque Apollo e 'l pescator Fileno, che presente ascoltò quant'egli disse, quanto diss'egli e tutto il filo apieno di que' tragici amori in carte scrisse. Giunse intanto la notte e nel sereno tempio del ciel le sue lucerne affisse. Tornaro a Stige le tartaree genti, l'altre ale stelle e l'altre agli elementi.
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